DOCkS della Bloody Roses Secret Society

PORCACCIA, UN VAMPIRO!, «Che vuole dal mio frigo?»

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mandar
view post Posted on 13/6/2010, 21:23 by: mandar




TRE

L'indecisione è come un materasso dalle molle schiacciate. Ti ci puoi rigirare sopra per ore ma comodo non starai mai, perciò dopo aver inviato il messaggio mi sentii meglio, soddisfatto di aver compiuto una scelta. Mi alzai dalla scrivania e spensi la lampada. Se qualcuno me l'avesse predetto una certa notte dell'anno precedente, riflettei toccandomi istintivamente il naso, gli avrei dato del pazzo.
Tornai in cucina e vi trovai Loris al tavolo con un libro davanti e gli occhi al televisore. Occupava lo schermo Sua Divinità Mediatica il Presidente, circonfuso di luce azzurra su uno sfondo di libri intonsi.
«Trapano» mi preoccupai, «ti devo mandare a San Patrignano?»
«No» mi rispose senza voltarsi, «sono solo affascinato dagli abissi della psicopatologia. Che ha lo scassone, s’è incastrato di nuovo?»
Stavo provando a cambiare canale ma il tasto non rispondeva.
«Tieni» mi disse porgendomi una matita per forzare il pulsante.
Riuscii a sintonizzare su MTV, dove Marilyn Manson in guêpière e calze a rete si stava dimenando su un palco finto. «Scusa ma quell’altro mi faceva impressione.»
«Quasi me ne dimenticavo, è arrivata quella per te.»
Mi indicò la credenza e io vidi la busta, la presi, lessi il mittente, la strappai in quattro, aprii il coperchio della spazzatura e ce la buttai.
«Tuo padre?» mi chiese.
«Mmh-mmh.»
«Non vuoi neanche leggerla?»
«No.»
«Forse…»
«Quell’uomo non ha niente di buono per me» lo interruppi.
«Tu non ne parli mai e io non mi impiccio, se non vuoi» riattaccò, «ma se vi chiariste forse ti rassereneresti.»
«Sono già serenissimo, grazie.»
«Stanotte hai urlato di nuovo. Stavo venendo a svegliarti quando hai smesso da solo.»
«O la pianti col pippone o me ne vado.»
In effetti, ero già sulla soglia.
«Va bene» rispose studiandosi le unghie.
Sospirai, rassegnato a qualche straccio di spiegazione. «Nonostante ciò che ha fatto» dissi tornando indietro, «io ora sto bene e non intendo farmi rovinare di nuovo la vita.»
Mi appoggiai al muro a fissarmi la punta delle scarpe.
«Sai tu» concluse lui insaccando la testa tra le spalle.
A interrompere quel momento imbarazzato fu il tonfo sordo della porta sbattuta. Apparve Domenico, stravolto neanche l’avessero passato in centrifuga, senza ammorbidente.
«M’hanno inculato» rispose ai nostri sguardi interrogativi. «Diciassette.» Prese un bicchiere e si versò l’acqua. «Da stamattina fino ad ora per una caccola di diciassette.»
«Contronatura fa male» commentò Loris chiudendo il libro.
«Diciassette. Voglio morire» ripeté crollando sulla sedia.
«Il prossimo appello?» chiesi.
«Tra un mese.»
«Buono.»
«Il Flagello di Dio c’è?» volle sapere.
«No.»
«Meno male, ci mancavano solo i suoi giudizi non richiesti.»
«Per consolarti stasera ti cucino una cosa sfiziosa» gli promise Loris.
«Finché non prepara il Cespuglio a me va bene tutto» rispose poggiando la testa sul tavolo.
«Grazie tante» commentai.
«A proposito.» Loris si alzò e guardò nella dispensa. «Domani dobbiamo per forza fare la spesa.»
«Come stiamo a soldi?» domandai.
«Di merda» ci informò Domenico senza staccare la faccia dalla formica.
Loris volse gli occhi al cielo. «Evviva, di nuovo pasta al burro fino a lunedì.»
«A levarti l’amatriciana diventi una Bestia di Satana» osservai.
«Sfido che stai tranquillo» rispose infilandomi un dito nello stomaco, «tu sei un asceta. Letterato e asceta, un incubo.»
«Devi curare la tua alimentazione» continuò Domenico, «altrimenti quando la smetti con le seghe e ti decidi a concedere la tua virtù a Carolina non rendi.»
«E ne risente il prestigio di questa casa onorata» finì Loris scavandomi le costole e intercettando con l’altra mano la mia controreazione di strizzamento delle palle.
«Che deve farti di più, quella santa ragazza, la danza del ventre?» riattaccò la faccia spalmata sul tavolo. «Pensa ai disperati, che per conoscere una donna devono gonfiare il collo come le otarde. Il tuo è uno schiaffo alla miseria.»
«Sicuro siano le otarde?» chiesi cercando di bloccare il braccio di Loris.
«Che sono le otarde?» domandò quello mentre mi abbrancava alla vita.
«Uccelli» risposi piegandomi per avvinghiarmi alla sua gamba.
«E gonfiano il collo?» continuò spingendomi giù la testa col gomito.
«È un rituale di corteggiamento» spiegai prima di addentargli una coscia.
«Grazioso duo di coglioni» ci richiamò Domenico, «posso avere la vostra attenzione? Stasera si esce. E per la miseria si rimorchia!»
«Bravo il guerriero Superseiàn» approvò Loris. «Cespuglio, al tre io lascio te e tu lasci me. Va bene?»
«Bene.»
Al tre ci mollammo e lui andò a prendere la pentola grande.
Io guardai la spazzatura e pensai che, se mi fossi sconvolto a sufficienza, con un po’ di fortuna quella notte non avrei sognato. Un sonno alcolico nero e piatto, denso come petrolio, che mi avvolgesse e mi ingoiasse.

Verso mezzanotte Domenico, Loris ed io eravamo alla prima canna e alla seconda tequila bum bum. Stravaccato sulla panca, i neuroni a mollo in un brodo delizioso di cannabinoli e alcoli, guardavo Carola, avvolta in quella sciarpa arancio che le metteva in risalto i grandi occhi nocciola e l’incarnato delicato. Lei e Sonia mi avevano messo in mezzo ai loro strali sarcastici, nella fattispecie avanzando dubbi sulla mia appartenenza al genere umano affermando, invece, che ero l'anello di congiunzione tra la pecora e il cavolo nero. All’inizio mi ero difeso, poi mi ero afflosciato per offrirmi più comodamente alle loro freccette avvelenate, purché offrissero il prossimo giro, ovvio. Ogni tanto gettavo un'occhiata verso l'entrata, domandandomi se il mio amico vampiro si sarebbe fatto vedere, eppure mi sentivo un coglione contento.
Domenico aveva puntato una bruna formosa, molto carina. Lo invitammo a muoversi, sennò avremmo fatto l’alba. Gli dissi una cosa tipo «Va’ con lo spirito indomito dei cavalieri medievali davanti al Giudizio di Dio.»
«Che cazzo ha detto?» chiese lumi a Loris.
«Portaci le sue mutande» sintetizzò lui. «Ma quello non è il ragazzo della macchina?»
Mi alzai e andai incontro a Ludovico barcollando giusto un pochino.
«Eccoti qua. Ormai credevo mi avresti bidonato.»
«Buonasera a vossignoria. Avevo da sbrigare un impegno.»
«Ah non ne voglio sapere niente» mi schernii agitando le mani.
Sorrise. «Bugiardo. Forse ti ho disturbato.»
Torsi il busto verso Carola e mi rigirai come un pupazzetto a molla. «Magari. È una faccenda complicata.»
Lui salutò Loris e mi prese per il braccio portandomi verso il bancone. «Tu hai bisogno di un tonico.»
«Sì ma stasera tocca a me. Vodka? Tequila?»
«Insisto, signore. Ho appena ricevuto il compenso per l’ultima consulenza. T’è d’obbligo accettare.» Stava chiamando il barista.
«Quand’è così, vodka liscia.»
«Due» ordinò. «E inoltre,» si interruppe per porgermi il bicchiere, «il galantuomo di cui ti ho già accennato mi ha offerto un altro lavoro, molto più interessante e remunerativo.»
«A te e ai polli danarosi!» brindai. Allora mi accorsi con un certo gusto che neanche lui era sobrio. Non fatto a cocuzza, ma alterato sì.
«Di che si tratta?» domandai.
«Catalogazione di una bellissima biblioteca privata.»
«E chi se la sta piangendo?»
«Un hidalgo madrileno con molti cognomi, poca fortuna al gioco e ancor meno cervello.» Vuotò il bicchiere con un gesto secco. «Hanno già trasferito i libri in una piccola città dell’Albania, dove potrò restarmene tranquillo.»
L'idea che partisse mi smontò il buonumore. Per qualche assurdo motivo mi sentii deluso, quasi offeso, e gli puntai contro un indice traballante. «Tu vuoi stare tranquillo? Ma per favore!»
Si strinse nelle spalle. «Sono un’anima semplice.»
Mi venne in testa un altro pensiero, ancora più incongruo, e gli diedi fiato. «Non ti credo. Ludovico, chi ti sta inseguendo?»
Di colpo raddrizzò il collo, come un predatore che avesse scorto un'ombra tra i cespugli. «Strana congettura, la tua. O cerchi di dirmi qualcosa?»
«Io? No» risposi spaesato. Poi mi allarmai. «Hei no, calma, non capire male. Non ho parlato con nessuno, di te. Della tua peculiarità, voglio dire.»
Scoppiò a ridere, di una bassa risata di gola. «Sono stato definito in moltissimi modi, e spesso non si trattava di epiteti gentili, ma peculiare, prima d’ora, mai.»
Risi anch’io, una stiracchiata risatina acuta. «Ho appena perso dieci anni di vita» pigolai.
«Ti presterei qualcuno dei miei, se potessi.»
«Ne hai in più?» perseverai, entusiasta che il cambio d’argomento ci allontanasse dai terreni minati.
«D’avanzo.»
«Quanti, esattamente?»
Si mordicchiò il labbro e scosse la testa. «Tanto non ci crederesti.»
«Mettimi alla prova» m’impuntai, ormai realmente curioso di sapere dove avrebbe condotto quel discorso surreale, solo che mi ritrovai Domenico attaccato alla manica.
«Ci sta. Ci sta e ci sta. Ciao Ludovico. Non mi aspettate alzati, ammesso che l’abbiate mai fatto. Io vado e torno con quelle mutande dei cavalieri medievali. Arrivederci Ludovico. Tieni Cespuglietto mio bello» e sparì dopo avermi infilato in bocca la fine del carciofo al pakistano nero schioccandomi un rumoroso bacio in fronte.
Tirai e lo passai a Ludovico, tornando all’attacco. «Ti faccio notare che mi hai raccontato cose assai più compromettenti della tua data di nascita.»
«Se tanto ti cale» disse lui portandoselo alle labbra, «sono nato proprio da queste parti, a Cassano, nell’estate del 1606. Non ho mai saputo la data precisa.»
Smisi di sorridere. «Tu mi stai prendendo per il culo» affermai.
«No.»
«No?»
«Ti sembra tanto? Sai, quando avevo diciassette anni mio padre mi affidò alle cure di una signora di esperienza perché facesse di me un uomo. Ero atterrito e lei mettendomi sotto mi disse “Non preoccuparti, gioia mia, non importa quanto ne hai ma come lo usi.” Credo valga anche per il tempo.» Poi vide qualcuno al di sopra della mia spalla, le labbra gli si atteggiarono nel più bastardo e strafottente dei sorrisi, alzò la mano e fece ciao ciao. Mi voltai, dall’altro capo del bancone ci osservava un uomo sui cinquanta, squadrato come un blocco di marmo, al quale la calvizie aveva potato buona parte della testa rotonda. Ricambiò il saluto con l’espressione di chi vorrebbe mescolarti tutte le ossa a randellate.
«Amico tuo?» chiesi a Ludovico, osservando l'altro.
«È un maresciallo dei Carabinieri.»
«E che vuole?»
«Me. Ha una pazienza, sono mesi che mi segue.»
Mi rigirai. «E ti metti pure a sfotterlo?»
«Mi sono affezionato. Per di più, tra poco gli darò un dolore. La persona che sta pedinando con tanto zelo si dissolverà come un sogno all’alba» spiegò allargando le dita a ventaglio, tipo abracadabra.
«Che hai, una specie di doppia identità?»
«Sì, come Paperino e Paperinik» si scompisciò.
«Fanculo» sospirai, lasciando che ridesse di me con tutto comodo. «E quell’altra storia, com’è finita?» gli chiesi dopo.
«Quale?» asciugandosi una lacrima.
«La prostituta.»
«Ero un ragazzino timido e scappai tenendomi su i pantaloni.» Diede l’ultimo tiro, gettò il filtro in un posacenere lercio e si congedò. «Devo salutare una persona, ci vediamo.» Poi mi sorrise. «Non è vero, non ci vedremo più. Addio Andrea, e buona fortuna» sussurrò prima di allontanarsi.
Mettiamola così: se una persona, dalla quale ti aspetti una gamma di comportamenti modulabili tra la ferocia e l’ironia, ti rifila un sorriso dolce e malinconico, quel sorriso sortisce lo stesso effetto di una sputazza nell’occhio, a freddo. Quindi, o mi aveva sempre preso per i fondelli oppure io non avevo capito un beneamato cazzo. Chissà per quanto ci avrei rimuginato se non mi avesse distratto la presenza di Stefano, la faccia tirata come una balestra, auspicio sicuro di disastro imminente. Zigzagai tra tavoli e cristiani e gli toccai il braccio.
«Ciao Stè, tutto bene?»
«Va malissimo. Malissimo.» Si guardava attorno per accertarsi che nessuno ci ascoltasse. «Abbiamo litigato. Una cosa tremenda. Quella troia non mi vuole.» Si passò una mano sulla fronte imperlata. «Non mi vuole, dice che sono instabile, che con me è infelice.»
Aveva gli occhi lucidi.
«Usciamo» gli proposi. Lui annuì e fece per seguirmi ma si bloccò.
«E quello che ci fa qua?» Stava indicando Ludovico.
«Quello chi?» Magari mi ero sbagliato. Magari non ce l'aveva affatto con Ludovico.
«Vicino alla stufa, l’intellettuale dark dei miei coglioni. Vedilo, dritto neanche gli avessero infilato un bastone nel culo!»
Non mi ero sbagliato.
«Andiamo a parlare fuori» insistetti prendendogli il braccio ma lui si divincolò.
«Io lo ammazzo. Quella troia se l’è portato a casa e se l’è sbattuto per ore. Io l’ammazzo.»
«È passato un anno e non stavate neanche insieme» dissi.
Mi guardò schifato. «Tu lo sapevi, brutto figlio di puttana.»
Non riuscii a trattenerlo. Si fece largo fino a Ludovico e gli agguantò la spalla, sovrastandolo con la sua altezza. Lo rincorsi e gli sentii dire: «Vieni fuori pezzo di merda.»
«A tua disposizione» fu la risposta divertita.
Tentai di nuovo di bloccare Stefano, che mi spinse su un paio di ragazzine. Quelle strillarono e mi ritrovai addosso due bestioni. Dopo le mie scuse ripetute si tolsero di mezzo e potei guadagnare l’uscita.
In strada non c’erano.
No, eccoli più avanti. Stefano stava sferrando un pugno che Ludovico schivò, agile come un gatto. Stefano provò ancora a colpirlo, e di nuovo, riuscendo solo a percuotere l'aria mentre l'altro sembrava danzargli intorno, finché la sua rabbia divenne furia cieca e gli si avventò addosso. Ludovico l’assecondò e lo sbatté sul cofano di un’auto, poi gli bloccò il collo col braccio. L’antifurto iniziò a strillare. Il labbro di Stefano sanguinava. Ludovico snudò i denti e fece per piegarsi su Stefano. Io gridai. Ludovico si fermò ma non si ritrasse. Accorse altra gente, tre o quattro ragazzi. Ludovico mollò Stefano e fece un passo indietro. Spostò gli occhi su di me, e il furore gelido che vi lessi non l'avrei dimenticato mai. Si voltò e andò via. Mi chinai su Stefano, era ammaccato e dolorante ma tutto intero.
Quella per me fu una notte tremenda. Dopo aver riaccompagnato a casa Stefano, che non aveva voluto saperne del Pronto Soccorso, mi ero chiuso in camera mia. Sdraiato col cuscino sulla faccia, mi ripetevo che ero un incosciente e un pazzo e un criminale. Avevo portato un mostro nella vita dei miei amici perché ne ero rimasto affascinato e avevo dato troppe cose per scontate. Dovevo rimediare, decisi. Ludovico andava fermato, perché se avesse fatto del male a qualcuno sarebbe stata solo colpa mia.
 
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