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Il Secondo Avvento

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arabafelix
view post Posted on 13/12/2010, 13:50




Capitolo 1

Efeso. Turchia. a D. 2000. Marzo.

Bedir Tarsim si affrettò ad uscire dal locale. Vi era rimasto dieci minuti dieci, e solo per bere qualcosa. Maledetto quel vento gelido. Faceva rabbrividire.
«Tempo da lupi», biascicò «Ma, appena tornato, mi sentiranno»
Il caro Ulubelen lo aveva preso per i fondelli, inviandolo in missione sulle tracce di un’antica leggenda. Così aveva detto. Balle. Il suo stimatissimo capo aveva tralasciato di informarlo che c’erano persone disposte ad uccidere, per quell’antica leggenda. Se poi era davvero una leggenda e di ciò cominciava a dubitarne.
Imprecò silenziosamente. Stava andando tutto male, maledizione.
Primo: era stata l’ultima persona a venire in contatto con la vecchia custode della Casa di Meryem, prima che questa fosse assassinata, ergo la polizia lo aveva immediatamente fermato trattenendolo in caserma cinque ore filate. Cinque ore, prima di convincersi che lui non c’entrava per nulla con la morte della vecchia e di rilasciarlo, con tante scuse.
Secondo. Qualcuno lo stava seguendo. Con quali intenzioni non era dato di saperlo. Ma lui non si fidava molto. La vecchia gli aveva consegnato un plico, sigillato. E, probabilmente, quel plico non doveva giungere a destinazione. Perciò doveva stare attento, molto attento. E, appena a casa, si sarebbe fatto sentire. Oh sì, che si sarebbe fatto sentire. Non potevano pretendere troppo da lui. Come quella idea cretina di tatuarsi il messaggio sulla coscia. Ma che cosa credevano? Che fosse un agente segreto? Era un archeologo, maledizione, e rischiare la pelle per verificare un’antica storiella non rientrava nelle sue immediate aspirazioni. Sollevò il bavero della giacca per ripararsi meglio dal freddo e riprese a camminare velocemente. Quei documenti scottavano, scottavano come il fuoco e non vedeva l’ora di disfarsene. Un’occhiata all’orologio. Era ancora presto, troppo presto. L’appuntamento per la consegna, visti i suoi problemi con la giustizia turca, era stato spostato alle ventidue e, non possedendo né il nome né il numero di telefono del suo contatto, la questione era chiusa.
Girò l’angolo, dirigendosi verso il suo albergo. Gli parve di notare, con la coda dell’occhio, un’ombra scomparire dentro un portone. Il cuore prese a battergli disordinatamente. Si guardò attorno: neanche un’anima. Riprese a camminare, allungando il passo. Doveva smetterla di preoccuparsi, rischiava di diventare paranoico. Ormai mancavano solo poche ore all’incontro, poi avrebbe consegnato il tutto e sarebbe rientrato immediatamente ad Ankara, con il primo volo disponibile e avrebbe smesso con quel lavoro. Una cattedra all’Università di Ankara era l’ideale per lui. Niente più spedizioni fortunose. Da lontano vide l’insegna dell’Hotel. Si rilassò, era arrivato. Meno male. Si sarebbe barricato nella sua stanza e non ne sarebbe più uscito, fino all’ultimo momento.
Qualcosa lo punse sul collo. Si grattò con l’unghia. La testa cominciò a girargli vorticosamente. Il mondo gli turbinò attorno; ebbe solo il tempo di capire che stava per morire e si augurò che Ulubelen ricevesse il suo messaggio e che, inch’allah, sapesse interpretarlo. Poi ogni luce si spense.


Capitolo 2

Ankara. Turchia. Sede del Ministero della Cultura. a. D. 2000. Marzo.

Akim Ulubelen, onnipotente ministro alla cultura del Governo Turco, era appena rientrato nel suo appartamento, dopo otto, interminabili ore, trascorse a leggere documenti redatti in un linguaggio talmente astruso da costringerlo a sforzi immani per comprenderne il significato. Ora, finalmente, poteva concedersi qualche ora di riposo, infilarsi una giacca da camera, bere un succo d’arancia, buttarsi sulla prima poltrona che gli capitava a tiro e ripensare a quello che era successo.
Bedir Tarsim aveva trovato quello che doveva trovare e ciò voleva dire che tutta la faccenda non era da prendere sottogamba; ma ci aveva anche lasciato la pelle e questo significava che avevano davvero messo le mani su una brutta gatta da pelare. Le possibilità erano due: o Tarsim, nonostante le sue raccomandazioni, aveva commesso un passo falso, oppure, come risultava dai rapporti della polizia, era veramente rimasto vittima di un tentativo di rapina e questo sarebbe stato il meno dei mali. Nella disgrazia, una fortuna: Tarsim era riuscito a fargli pervenire una traccia. Una mappa. Il luogo dove si nascondevano documenti scottanti e un terribile segreto.
Ulubelen si alzò, si diresse verso un quadro che riproduceva una veduta del Bosforo, lo tolse dalla parete. Dietro, una piccola cassaforte murata. Compose la combinazione e lo sportello si aprì, con un debole scatto. Ne trasse un foglio e un paio di fotografie, che studiò con estrema attenzione. Il corpo senza vita era quello di Bedir, disteso su un tavolo d’obitorio. All’interno della coscia sinistra, s’intravedevano un disegno, una mappa rudimentale tuttavia abbastanza riconoscibile e una scritta.

Aslan Bey. Dormiente. Iraq.

Erano stati tatuati in modo artigianale. Probabilmente il suo archeologo, non avendo altro sottomano, aveva usato l’inchiostro della stilografica. Ulubelen trattenne a stento un moto di compiacimento, se non altro il suo uomo ci aveva pensato, prima di essere eliminato; qualcosa doveva averlo messo sull’avviso. Ma di sicuro non era stato abbastanza abile. Oppure non si sarebbe trovato sul tavolo di un obitorio.
Tralasciando l’omicidio, Ulubelen non poteva lamentarsi di come si erano messe le cose. Trattandosi di uno dei suoi uomini, infatti, la polizia di Efeso si era messa in contatto con il suo Ministero, chiedendo lumi. E lui era salito sul primo aereo e si era precipitato sul posto. Il corpo di Bedir era stato subito inumato, su suo ordine: l’archeologo non aveva parenti stretti, per fortuna, e lui aveva potuto occuparsene personalmente, eliminando dalla faccia della terra ogni traccia della mappa. Anche la scomparsa della vecchia custode della cappella di Meryem era stata presto liquidata. Il gesto di un folle. Nessuno aveva collegato le due morti. Ulubelen ripose le foto, aprì la lettera. Mancava intestazione:

Ho bisogno del suo aiuto. Invii subito ad Efeso un suo uomo. Deve cercare…

Ripiegò il foglio, non era necessario proseguire con la lettura, ormai conosceva il contenuto a memoria. Ulubelen richiuse anche il foglio nella cassaforte, appoggiandolo sopra le fotografie, poi tornò alla sua poltrona e vi si sprofondò. Non sarebbe riuscito a dormire, tanto valeva programmare la sua prossima mossa.


 
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folgorata
view post Posted on 13/12/2010, 14:35




«ui. Come quella idea cretina di tatuarsi il messaggio sulla coscia. Ma che cosa credevano? Che fosse un agente segreto? »
Qui sembra che gli sia stato richiesto di tatuarsi mentre poi dalle parole del capo Uluvattelapesca sembra che quella di tatuarsi sia stata una brillante idea di Bedir

Bisogna far capire subito dove siamo. Propongo una cosa così:
«Maledetto quel vento da Bosforo. Faceva rabbrividire.
«Tempo da lupi», biascicò «Ma, appena tornato, mi sentiranno»
Il caro Ulubelen lo aveva preso per i fondelli, inviandolo a Efeso sulle tracce di un’antica leggenda.»

Come non detto, l'hai scritto sopra a chiare lettere che il luogo è Efeso in Turchia. Sono scema.

Edited by folgorata - 13/12/2010, 15:09
 
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folgorata
view post Posted on 13/12/2010, 15:10




Domanda: il capitolo 2 si dovrebbe svolgere al ministero, ma invece dici che Ulubelen rientra nel suo appartamento. È alloggiato presso il ministero?
 
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arabafelix
view post Posted on 13/12/2010, 15:18




Grazie per l'intervento. Ho provveduto alla correzione dell'incongruenza. Il tatuaggio era un'idea di Ulubelen.
Per quanto riguarda l'ubicazione dell'appartamento del ministro, consigliatemi voi. Dove sarebbe meglio situarlo?
E poi che faccio? Riposto il testo corretto?
 
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mandar
view post Posted on 13/12/2010, 15:32




Ciao! Oggi sono di corsissima ma domani ti leggo per bene e se ti va ne parliamo. :)
 
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folgorata
view post Posted on 13/12/2010, 16:10




Per dare un po' d'atmosfera, non potresti inserire qualche cosa di turco:
«Ora, finalmente, poteva concedersi qualche ora di riposo, infilarsi una giacca da camera (invece di giacca da camera, bisognerebbe trovare un comodo indumento turco, che ne o un termine tipo caffetano), bere un succo d’arancia, buttarsi sulla prima poltrona (invece di dire genericamente poltrona, potresti usare un termine più preciso, pensa che ciò che in italia si chiama ottomana è appunto la chaise long. Ho cercato ma non ho trovato altro nome che saldalye, ma non mi pare il caso) che gli capitava a tiro e ripensare a quello che era successo.

Appartamento:
Mah se si trattasse di un ambasciata, ci starebbe l'idea di un appartamento interno...
Ma così no. Bisogna pensare a un appartamento sontuosissimo con vista. Il ministro Ulubelen lo immaginiamo come un satrapo.

Per le correzioni fai come vuoi, puoi farle subito o tutte insiem tra qualche giorno.

ripensare a quello che era successo.
Meglio:
ripensare a ciò che era successo.

trovato quello che doveva trovare e ciò voleva dire
Miglio:
trovato ciò che doveva trovare e ciò voleva dire

Se l'idea del tuatuaggio era di Ulublen, qui devi mettere:
Tarsim era riuscito a fargli pervenire LA mappa.

CITAZIONE
se non altro il suo uomo ci aveva pensato, prima di essere eliminato; qualcosa doveva averlo messo sull’avviso.

Questa frase diventa:
se non altro il suo uomo era riuscito ad eseguire gli ordini prima di essere eliminato; qualcosa doveva averlo messo sull’avviso.

Anche la scomparsa della vecchia custode della cappella di Meryem era stata presto liquidata.
Qua meglio:
Anche la scomparsa della vecchia custode della cappella di Meryem era stata presto archiviata/insabbiata.

Mancava intestazione:

Meglio:
Mancava l'intestazione:

tornò alla sua poltrona e vi si sprofondò.
Qua devi aggiungere dettagli di colore alla sua poltrona distesa e affondò tra i cuscini intessuti d'oro, una cosa così

Poi sopra, invece del succo d'arancia potresti fargli bere una bevanda tipica turca, non so quale.

CITAZIONE
Secondo. Qualcuno lo stava seguendo.

Per simmetria col precendente punto primo devi mettere:
Secondo: qualcuno lo stava seguendo.

CITAZIONE
E, appena a casa, si sarebbe fatto sentire. Oh sì, che si sarebbe fatto sentire.

Ripetizione enfatica.
Meglio:
E, appena a casa, si sarebbe fatto sentire. Oh sì, ...

CITAZIONE
Quei documenti scottavano, scottavano come il fuoco e non vedeva l’ora di disfarsene.

Ripetizione enfatica.
Meglio:
Quei documenti scottavano, gli bruciavano tra le mani come tizzoni e non vedeva l’ora di disfarsene.

CITAZIONE
Ankara. Turchia. Sede del Ministero della Cultura. a. D. 2000. Marzo.

Per quanto sopra detto, meglio:
Ankara. Turchia. Appartamenti privati del Ministro della Cultura. a. D. 2000. Marzo.

CITAZIONE
talmente astruso da costringerlo a sforzi immani per comprenderne il significato.

"ne" pleonastico, meglio:
talmente astruso da costringerlo a sforzi immani per comprendere il significato.

CITAZIONE
questo sarebbe stato il meno dei mali

Meglio:
questo sarebbe stato il minore dei mali
 
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gaiottina1
view post Posted on 13/12/2010, 20:18




Ciao arabafelix!
benvenuta fra noi!
verresti per favore qui
https://docks.forumcommunity.net/?t=38190353
a dirci due parole due su di te? image
 
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folgorata
view post Posted on 13/12/2010, 23:21




Arabafelix dimenticavo. Dovresti rimandarmi la trama in email, più schematica e completa. tre righe a capitolo. Non ha importanza l'aspetto narrativo, nel senso: non ha importanza che sia avvincente. Deve solo consentirmi di verificare bene tutti i punti di consequenzialità e coerenza interni. Mi raccomando fino alla fine, completa.
 
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mandar
view post Posted on 15/12/2010, 17:19




Ciao arabafelix!
Eccomi. Ho qualche suggeriemnto da darti, se ti va. :)
cosa importante, l'attacco. Spieghi troppo. Hai troppa fretta di dare le tue informazioni. Mi hai detto il nome del tipo, cosa deve fare, il plico della vechia morte e che è incazzato col capo. Troppo, perchè non hai dedicato ancora una riga al luogo, all'atmosfera. sei in un bar di Efeso, figo! fammelo vedere, dammi gli odori. :) infilami nel tuo mondo e dammi le informazioni. così renderai più intrigante anche l'agguato successivo.

Cap 2.
anche qui, invece di dire "Akim Ulubelen, onnipotente ministro alla cultura del Governo Turco" fammi vedere un portaborse che si genuflette al passaggio del ministro, cose così. Il tuo lettore in questo modo capisce chi ha di fronte ma ci arriva da solo, e l'effetto è più potente.
meno minore dei mali
"Una mappa. Il luogo dove si nascondevano documenti scottanti e un terribile segreto." questa parte proprio non mi piace: sono termini abusati, che ormai non significano più nulla. cos'è questa mappa? un punto di partenza per la caccia? qualcosa del genere?
anche qui, descrivi la casa del Ministro, dammi dettagli, arricchisci!

 
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folgorata
view post Posted on 15/12/2010, 20:31




Sono d'accordo con Mandar che è stata molto più precisa di me nel dire che definire le pennellate di colore che anche secondo me sono necessarie. tuttavia non concordo con Mandar circa la quantità di informazioni che dai all'inizio. Secondo me dici il giusto. E siccome l'attacco prende, suggerirei di cogliere i suggerimenti di Mandar nel aggiungere qualche mezza frase qui e lì, qualche dettaglio, qualche pennelleta appunto, senza ripensare la scena, che il giallo vuole secca.
 
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gaiottina1
view post Posted on 16/12/2010, 20:49




questo attacco mi ricorda parecchio Ken Follet che fino ad una decina di anni fa era uno dei miei preferiti. Ma torniamo a noi:
concordo con mandar (una volta tanto!) secondo me qui
Il caro Ulubelen lo aveva preso per i fondelli, inviandolo in missione sulle tracce di un’antica leggenda. Così aveva detto. Balle. Il suo stimatissimo capo aveva tralasciato di informarlo che c’erano persone disposte ad uccidere, per quell’antica leggenda. Se poi era davvero una leggenda e di ciò cominciava a dubitarne. ci sono troppe informazioni: la missione, la leggenda, le balle, le persone disposte ad uccidere. Io farei una selezione.
A me la faccenda del tatuaggio non convince tanto, farsi un tatuaggio mica è tanto facile, mica basta una penna, ti devi bucare la pelle. Non so.
Mi spiace un po' che il tipo muoia, pensavo fosse il protagonista, ma va bene così:-)
il pezzo del diplomatico mi sembra ok, forse si ci vuole qualche dettaglio turco in più. Io non amo l'oriente a dire il vero. vediamo:-)

Scusa Arabafelix, sono talmente abituata ad usare l'accetta che mi scordavo quasi: ovviamente il pezzo scorre benissimo, scorrevole e fluido:-)
 
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arabafelix
view post Posted on 16/12/2010, 23:40




CITAZIONE (gaiottina1 @ 16/12/2010, 20:49) 
questo attacco mi ricorda parecchio Ken Follet che fino ad una decina di anni fa era uno dei miei preferiti. Ma torniamo a noi:
concordo con mandar (una volta tanto!) secondo me qui
Il caro Ulubelen lo aveva preso per i fondelli, inviandolo in missione sulle tracce di un’antica leggenda. Così aveva detto. Balle. Il suo stimatissimo capo aveva tralasciato di informarlo che c’erano persone disposte ad uccidere, per quell’antica leggenda. Se poi era davvero una leggenda e di ciò cominciava a dubitarne. ci sono troppe informazioni: la missione, la leggenda, le balle, le persone disposte ad uccidere. Io farei una selezione.
A me la faccenda del tatuaggio non convince tanto, farsi un tatuaggio mica è tanto facile, mica basta una penna, ti devi bucare la pelle. Non so.
Mi spiace un po' che il tipo muoia, pensavo fosse il protagonista, ma va bene così:-)
il pezzo del diplomatico mi sembra ok, forse si ci vuole qualche dettaglio turco in più. Io non amo l'oriente a dire il vero. vediamo:-)

Scusa Arabafelix, sono talmente abituata ad usare l'accetta che mi scordavo quasi: ovviamente il pezzo scorre benissimo, scorrevole e fluido:-)

ho seguito i vostri consigli. Provo ad inserire il testo riveduto e corretto, mi dite se va bene?

Capitolo 1

Efeso. Turchia. a D. 2000. Marzo.

Bedir Tarsim si affrettò ad entrare nel locale, maledicendo quel vento gelido che lo aveva intirizzito. Si guardò intorno: il localino sembrava niente male. Ma gli avventori erano pochi. Probabilmente gli abitanti di Efeso avevano preferito restarsene in casa, al caldo. Andò a sedersi ad un tavolino d’angolo, sprofondando nella poltroncina di raso. Si tolse il giaccone e fece cenno al cameriere. Il ragazzo si avvicinò subito.
«Buongiorno, desidera?»
«Qualcosa di caldo»
«Tè nero, tè alla mela, saleph? Oppure perferisce una raki?»
Tarsim ci pensò su qualche secondo. Non aveva voglia di bersi un tè, e neppure la raki lo convinceva, non amava particolarmente il sapore di anice. Decise per la saleph. Una tazza di latte bollente aromatizzato alla cannella lo avrebbe sicuramente riscaldato. Il ragazzo si allontanò.
«Tempo da lupi», biascicò «Ma, appena tornato, mi sentiranno»
Il caro Ulubelen lo aveva preso per i fondelli, inviandolo in missione sulle tracce di un’antica leggenda. Così aveva detto. Balle. Il suo stimatissimo capo aveva tralasciato di informarlo che c’erano persone disposte ad uccidere, per quell’antica leggenda.
Imprecò silenziosamente. Stava andando tutto male, maledizione.
Primo: era stata l’ultima persona a venire in contatto con la vecchia custode della Casa di Meryem, prima che questa fosse assassinata, ergo la polizia lo aveva immediatamente fermato trattenendolo in caserma cinque ore filate. Cinque ore, prima di convincersi che lui non c’entrava per nulla con quella morte e di rilasciarlo, con tante scuse.
Secondo: qualcuno lo stava seguendo. Con quali intenzioni non era dato di saperlo. Ma lui non si fidava molto. Non più. E, appena a casa, si sarebbe fatto sentire. Oh sì. Non potevano pretendere troppo da lui. Come quella idea cretina di tatuarsi il messaggio sulla coscia. Ma che cosa credevano? Che fosse un agente segreto? Era un archeologo, maledizione, e rischiare la pelle per verificare un’antica storiella non rientrava nelle sue immediate aspirazioni.
Scuotendosi, buttò giù d’un fiato la tazza di latte bollente che il ragazzo gli aveva servito, lasciò il denaro sul tavolino e s’infilò nuovamente il giaccone, sollevando anche il bavero per ripararsi meglio dal freddo e uscì dal locale. Un’occhiata all’orologio. Era ancora presto, troppo presto. L’ora dell’appuntamento, visti i suoi problemi con la giustizia turca, era stato spostato alle ventidue e, non possedendo né il nome né il numero di telefono del suo contatto, la questione era chiusa.
Girò l’angolo, dirigendosi verso il suo albergo. Gli parve di notare, con la coda dell’occhio, un’ombra scomparire dentro un portone. Il cuore prese a battergli disordinatamente. Si guardò attorno: neanche un’anima. Riprese a camminare, allungando il passo. Doveva smetterla di preoccuparsi, rischiava di diventare paranoico. Ormai mancavano solo poche ore all’incontro, poi avrebbe consegnato il tutto e sarebbe rientrato immediatamente ad Ankara, con il primo volo disponibile e avrebbe smesso con quel lavoro. Una cattedra all’Università era l’ideale per lui. Niente più spedizioni fortunose. Da lontano vide l’insegna dell’Hotel. Si rilassò, era arrivato. Meno male. Si sarebbe barricato nella sua stanza e non ne sarebbe più uscito, fino all’ultimo momento.
Qualcosa lo punse sul collo. Si grattò con l’unghia. La testa cominciò a girargli vorticosamente. Il mondo gli turbinò attorno; ebbe solo il tempo di capire che stava per morire e si augurò che Ulubelen ricevesse il suo messaggio e che, inch’allah, sapesse interpretarlo. Poi ogni luce si spense.





Capitolo 2

Ankara. Turchia. Appartamenti privati del ministro Ulubelen. a. D. 2000. Marzo.

Il ministro Akim Ulubelen, stava rientrando nel suo appartamento, dopo otto, interminabili ore, trascorse in ufficio a leggere documenti redatti in un linguaggio talmente astruso da costringerlo a sforzi immani per comprendere il significato. Ma, ora, sospirò si sarebbe concesso una serata di tutto riposo.
Sulla soglia lo aspettava il maggiordomo. «Il signore si sente stanco?»
«Direi di sì» borbottò Ulubelen entrando nell’atrio.
Consegnò all’uomo il cappotto e gettò la borsa sul pavimento.
«Il signore desidera cenare?»
«No. Non subito, almeno. Portami qualcosa di comodo da indossare, e preparami il narghilè.»
«Nel salotto giallo, signore?»
«No, in quello rosso»
Precedendo il maggiordomo entrò nella sala e si buttò sulla prima poltrona che gli capitò a tiro, ripensando quello che era successo.
Bedir Tarsim aveva trovato ciò che doveva trovare e ciò voleva dire che tutta la faccenda non era da prendere sottogamba; ma ci aveva anche lasciato la pelle e questo significava che avevano davvero messo le mani su una brutta gatta da pelare. Le possibilità erano due: o Tarsim, nonostante le sue raccomandazioni, aveva commesso un passo falso, oppure, come risultava dai rapporti della polizia, era veramente rimasto vittima di un tentativo di rapina e questo sarebbe stato il minore dei mali. Nella disgrazia, una fortuna: Tarsim aveva ascoltato il suo suggerimento ed era riuscito a fargli pervenire la traccia che aspettava. Una mappa. Il luogo dove si nascondevano documenti scottanti e un terribile segreto.
Ulubelen si alzò, si diresse verso un quadro che riproduceva una veduta del Bosforo, lo tolse dalla parete. Dietro, una piccola cassaforte murata. Compose la combinazione e lo sportello si aprì, con un debole scatto. Ne trasse un foglio e un paio di fotografie, che studiò con estrema attenzione. Il corpo senza vita era quello di Bedir, disteso su un tavolo d’obitorio. All’interno della coscia sinistra, s’intravedevano un disegno, una mappa rudimentale tuttavia abbastanza riconoscibile e una scritta.

Aslan Bey. Dormiente. Iraq.

Il suo uomo aveva portato a termine la missione. Ma di sicuro non era stato abbastanza abile. Oppure non si sarebbe trovato sul tavolo di un obitorio. Tralasciando l’omicidio, Ulubelen non poteva lamentarsi di come si erano messe le cose. Trattandosi di uno dei suoi uomini, infatti, la polizia di Efeso si era messa in contatto con il suo Ministero, chiedendo lumi. E lui era salito sul primo aereo e si era precipitato sul posto. Il corpo di Bedir era stato subito inumato, su suo ordine: l’archeologo non aveva parenti stretti, per fortuna, e lui aveva potuto occuparsene personalmente, eliminando dalla faccia della terra ogni traccia di ciò che era andato a cercare. Anche la scomparsa della vecchia custode della cappella di Meryem era stata presto archiviata. Il gesto di un folle, questa la versione ufficiale. Nessuno aveva collegato le due morti. Ulubelen ripose le foto, aprì la lettera. Mancava l’intestazione:

Ho bisogno del suo aiuto. Invii subito ad Efeso un suo uomo. Deve cercare…

Ripiegò il foglio, non era necessario proseguire con la lettura, ormai conosceva il contenuto a memoria. Richiuse anche quello nella cassaforte, appoggiandolo sopra le fotografie. Andò sulla terrazza, gettò un’occhiata al Bosforo illuminato, che si stendeva sotto. La vista era magnifica, ma quella sera non riusciva a godersela. Allora tornò alla sua poltrona, sprimacciò i cuscini di velluto rosso e oro e vi si sprofondò. Poteva anche evitare di cenare: non aveva fame. Inutile anche andare a letto: non sarebbe riuscito a dormire. Tanto valeva programmare la sua prossima mossa. Chiudendo gli occhi, riprese a fumare il narghilè.
 
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folgorata
view post Posted on 17/12/2010, 01:09




Sono d'accordo con Gaia sia sulla frase con troppe informazioni sia sul tatuaggio, era una cosa che avevo notato ma l'avevo accettata nell'ambito del patto narrativo. È un dettaglio da rivalutare.

@Arabafelix.
Ora è tardi, leggo domani la revisione! :-)

Edited by folgorata - 17/12/2010, 01:27
 
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mandar
view post Posted on 17/12/2010, 17:37




Cap 1:
così va molto molto meglio, brava! stavolta mi piace.
cap 2:
ok, io sono della gestapo della grammatica :P
CITAZIONE
Il ministro Akim Ulubelen, stava rientrando nel suo appartamento,

non va: mai virgola tra soggetto e predicato, o tra predicato e complemento oggetto. Sulla materia ho sfrantecato i coglioni a tutti in questo post.
questa non mi piace:
CITAZIONE
Il luogo dove si nascondevano documenti scottanti e un terribile segreto.

fa cartoon.
per il resto, mi hai incuriosita e il testo scorre. :)
aspetto aggiornamenti
 
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arabafelix
view post Posted on 17/12/2010, 18:13




scusa, hai ragione, la virgola mi è sfuggita. Adesso vedrò di cambiare anche la frase incriminata. Ne troverò una che sia meno ridondante.
Per il momento posso postare anche il terzo e il quarto capitolo.
Se vado troppo di fretta fatemelo sapere

Capitolo 3

Vorkuta. Siberia. Centro di Ricerche Sperimentali sulla Riproduzione Umana. a. D. 2000 Marzo.

Di primo acchito la zona appariva deserta. Un’immensa distesa di neve dalla quale spuntavano, qui e là, rade conifere. Il tipico paesaggio siberiano. Ma un occhio allenato non avrebbe faticato ad individuare, in lontananza, i tetti di parecchie dacie le cui travi di legno rompevano, in modo impercettibile, la monotonia del paesaggio. Dai camini uscivano sottili fili di fumo che si confondevano con le basse nubi: unico segno di presenza umana. Un cartello, all’ingresso, avvertiva che gli edifici facevano parte di un nuovo Centro di Ricerche. Il personale era pochissimo e accuratamente selezionato.
All’interno di una queste dacie, allungato su una poltrona di un comodo salottino, un uomo robusto, che poteva dimostrare una sessantina d’anni, sembrava dormire profondamente. In realtà rifletteva. Era trascorso molto tempo da quanto si era messo in testa di trovare ciò che l’umanità intera cercava da secoli e, in quella ricerca, non aveva certo risparmiato le forze. Grazie alle sue conoscenze, e alle sue possibilità economiche, aveva anche compiuto qualche passo nella direzione giusta ma, purtroppo, l’obiettivo finale era ancora lontano e al di là da venire.
Mosse impercettibilmente la gamba, mettendosi più comodo. Le palpebre chiuse fremettero. Inutile rimpiangere il passato, non si poteva cambiare ciò che era stato. Ciò che non era stato, si corresse automaticamente. Ora doveva solo aspettare, ma era difficile restarsene con le mani in mano quando il suo unico desiderio sarebbe stato quello di muoversi personalmente. Non poteva, maledizione, non poteva! Doveva rassegnarsi, non ce l’avrebbe mai fatta. Perciò aveva messo in moto il suo vecchio amico. Sogghignò. Era sicuro che il pomposo cardinale non avrebbe voluto aiutarlo, non erano mai andati molto d’accordo, ma lui possedeva le armi per costringerlo e metterlo con le spalle al muro. Finora si era limitato alle minacce, ma presto sarebbe passato ai fatti.
Peccato che non fosse il solo a cercare quell’antico talismano. Lo provavano i due morti di Efeso. Ma era sicuro di arrivare primo. La partita, per quanto lo riguardava, era ancora aperta e tutta da giocare. Non per niente possedeva la chiave che faceva girare il mondo del terzo millennio: il denaro. Molto denaro. Impressionanti quantità di denaro. Sogghignò nuovamente. Era sicuramente l’uomo più ricco del pianeta, anche se nessuno lo avrebbe mai sospettato. Tutti lo conoscevano come medico, anzi, era considerato un valente scienziato con il pallino della filantropia. Per sicurezza personale, e soprattutto per non farsi scoprire, non controllava neppure il suo patrimonio di persona, ma lo gestiva per mezzo di società anonime. Una miriade di società, che in un modo o nell’altro, facevano capo a persone di sua fiducia. Chi, salvo che non sapesse che cosa cercare, e non avesse avuto a disposizione mezzi e tempo, sarebbe risalito fino a lui? Da anni viveva in quella remota parte del mondo, e il suo nome, che sarebbe ben potuto comparire nel Gotha della finanza internazionale, era totalmente sconosciuto. C’era chi compariva per lui, chi operava seguendo le sue direttive. Lui era la mente che tirava i fili, gli altri erano solo il braccio che agiva. Ma stava diventando vecchio e adesso doveva anche fare i conti con quella lurida malattia...
Tornò improvvisamente serio. Se fosse riuscito nel suo intento la vecchiaia, la malattia, la morte, non gli avrebbero più fatto paura e non era detto che non potesse arrivare addirittura all’immortalità. Avvertì una fitta allo stomaco. Fame, registrò il suo cervello, meccanicamente. Aprendo gli occhi, gettò una breve occhiata all’orologio che portava al polso. Le diciannove. Prima di mangiare, però, doveva occuparsi di quella piccola faccenda. A Roma dovevano essere certi che non stava affatto scherzando
Si alzò, si diresse verso lo studio e accese la trasmittente.
«Mister Durrand?»
«Sono io»
«Mi ascolti bene…»

Capitolo 4

Abidjan. Costa d’Avorio. a. D. 2000. Aprile

Il professor Michel Durrand, probabile candidato al Nobel per l’economia, contrariamente al suo solito, si era concesso una breve vacanza. Questa la motivazione ufficiale. Ma la persona con cui aveva appuntamento nella sua camera d’hotel, quella mattina, non era un amico, non era neppure un socio o un collega. Era un perfetto sconosciuto.
Qualcuno bussò, il professore aprì la porta.
«Prego si accomodi pure»
Il gigantesco nero non se lo fece ripetere. Durrand lo osservò attentamente. All’incirca di mezza età, di corporatura enorme, centoventi, centotrenta chili di peso distribuiti su un metro e novanta d’altezza. Indossava un abito a giacca di taglio occidentale, d’ottima fattura, ed alle dita grassocce brillavano tre anelli. Diamanti, di qualche carato l’uno. La pelle, nera e lucida, era in stridente contrasto con la camicia, bianca e immacolata.
«Lei è dottor Durrand?» S’informò il nuovo arrivato, sfoderando una voce roca e gutturale. Spiacevole quanto il suo aspetto.
Michel non aveva tempo di guardare tanto per il sottile. Sebbene quell’uomo fosse proprio uno dei tipi che meno apprezzava, pacchiano, volgare e palesemente arricchito, gli era tuttavia necessario.
«Sono io, lei è…»
Fu interrotto da un cenno
«La prego, niente nomi. Meno circola il mio nome, e quello del mio paese, meglio è per tutti. Non per niente ho stabilito di incontrarci in una zona neutra. Abijan è un porto di mare…» lo avvertì l’interpellato, con fare burbero.
«Va bene, niente nomi» concesse Durrand, tagliando corto. «Veniamo dunque a noi»
«Sono a sua disposizione»
«Lei sa perché è qui?»
«Mi è stato ordinato di venire a parlare con lei. E, come vede, sono venuto»
«Bene, vedo che sa starsene abbottonato. Gradisce qualcosa da bere?»
«Uno scotch»
Durrand suonò per il cameriere.
«Uno scotch per il signore e una birra per me» ordinò al giovane che, in giacca rossa con alamari dorati, si era presentato alla porta, attendendo ordini.
Non appena uscito il ragazzo, il francese riprese:
«Ho già avuto i necessari contatti con il suo diretto superiore. Lui sa quello che voglio.»
«Le dispiacerebbe chiarirlo anche a me? In fin dei conti sono io a muovere le fila»
«Niente in contrario.» Sorrise Durrand. Quell’uomo non era uno stupido, doveva procedere con i piedi di piombo «desidero che le missioni cattoliche in Africa, abbiano, come dire... qualche difficoltà»
L’ospite lo guardò, corrugando appena un sopracciglio folto e cespuglioso.
«In che senso?»
«Nel senso che vi ho detto. Qualche difficoltà»
«Attacchi a sorpresa?»
«Esatto.»
«Vi costerà parecchio. In Africa i guerriglieri hanno sempre bisogno di fondi e se si muovono è per uno scopo. Nessuno fa niente per niente»
«Lo so, ma sono disposto a pagare. E, comunque, questi sono problemi miei e non devono interessarla»
«Contento voi… a me basta avere la mia parte. Non volevo impicciarmi nei suoi affari»
«Ecco, bene, si preoccupi di se stesso e non pensi a nulla.»
Il cameriere tornò con le ordinazioni. I due tacquero finchè la porta non si richiuse.
«C’è qualche limite da rispettare?» riprese l’ospite, non appena furono di nuovo soli.
«Affermativo. Diciamo che il primo colpo deve essere duro, ma senza esagerare. Per il momento almeno.» Replicò il francese sorseggiando la birra. Era gelata al punto giusto. Il servizio era ineccepibile.
«Va bene, ma le ripeto che questo scherzetto le costerà parecchio.»
«Sta ancora impicciandosi degli affari miei, caro signore. A lei non deve interessare quanto denaro mi costerà, ma solo il come e il quando.»
Durrand era estremamente serio, appoggiò il bicchiere vuoto sul tavolino di cristallo. L’interlocutore si alzò.
«Ok, ok. Non si arrabbi, ritiro quello che ho detto. Adesso credo sia giunto il momento di andarmene. I miei superiori hanno trovato la sua proposta molto appetibile e io anche. Stia tranquillo, avrà ciò che desidera»
«Ci conto » mormorò Durrand alzandosi a sua volta.
Uscito l’uomo, Michel si concesse qualche minuto per riflettere, poi si alzò e si diresse verso il computer. Gli restava ancora qualcosa da fare.
Il messaggio mail raggiunse Vorkuta, in Siberia. Il testo diceva semplicemente: Operazione conclusa con successo.

 
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