DOCkS della Bloody Roses Secret Society

Il Secondo Avvento

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arabafelix
view post Posted on 13/12/2010, 13:50 by: arabafelix




Capitolo 1

Efeso. Turchia. a D. 2000. Marzo.

Bedir Tarsim si affrettò ad uscire dal locale. Vi era rimasto dieci minuti dieci, e solo per bere qualcosa. Maledetto quel vento gelido. Faceva rabbrividire.
«Tempo da lupi», biascicò «Ma, appena tornato, mi sentiranno»
Il caro Ulubelen lo aveva preso per i fondelli, inviandolo in missione sulle tracce di un’antica leggenda. Così aveva detto. Balle. Il suo stimatissimo capo aveva tralasciato di informarlo che c’erano persone disposte ad uccidere, per quell’antica leggenda. Se poi era davvero una leggenda e di ciò cominciava a dubitarne.
Imprecò silenziosamente. Stava andando tutto male, maledizione.
Primo: era stata l’ultima persona a venire in contatto con la vecchia custode della Casa di Meryem, prima che questa fosse assassinata, ergo la polizia lo aveva immediatamente fermato trattenendolo in caserma cinque ore filate. Cinque ore, prima di convincersi che lui non c’entrava per nulla con la morte della vecchia e di rilasciarlo, con tante scuse.
Secondo. Qualcuno lo stava seguendo. Con quali intenzioni non era dato di saperlo. Ma lui non si fidava molto. La vecchia gli aveva consegnato un plico, sigillato. E, probabilmente, quel plico non doveva giungere a destinazione. Perciò doveva stare attento, molto attento. E, appena a casa, si sarebbe fatto sentire. Oh sì, che si sarebbe fatto sentire. Non potevano pretendere troppo da lui. Come quella idea cretina di tatuarsi il messaggio sulla coscia. Ma che cosa credevano? Che fosse un agente segreto? Era un archeologo, maledizione, e rischiare la pelle per verificare un’antica storiella non rientrava nelle sue immediate aspirazioni. Sollevò il bavero della giacca per ripararsi meglio dal freddo e riprese a camminare velocemente. Quei documenti scottavano, scottavano come il fuoco e non vedeva l’ora di disfarsene. Un’occhiata all’orologio. Era ancora presto, troppo presto. L’appuntamento per la consegna, visti i suoi problemi con la giustizia turca, era stato spostato alle ventidue e, non possedendo né il nome né il numero di telefono del suo contatto, la questione era chiusa.
Girò l’angolo, dirigendosi verso il suo albergo. Gli parve di notare, con la coda dell’occhio, un’ombra scomparire dentro un portone. Il cuore prese a battergli disordinatamente. Si guardò attorno: neanche un’anima. Riprese a camminare, allungando il passo. Doveva smetterla di preoccuparsi, rischiava di diventare paranoico. Ormai mancavano solo poche ore all’incontro, poi avrebbe consegnato il tutto e sarebbe rientrato immediatamente ad Ankara, con il primo volo disponibile e avrebbe smesso con quel lavoro. Una cattedra all’Università di Ankara era l’ideale per lui. Niente più spedizioni fortunose. Da lontano vide l’insegna dell’Hotel. Si rilassò, era arrivato. Meno male. Si sarebbe barricato nella sua stanza e non ne sarebbe più uscito, fino all’ultimo momento.
Qualcosa lo punse sul collo. Si grattò con l’unghia. La testa cominciò a girargli vorticosamente. Il mondo gli turbinò attorno; ebbe solo il tempo di capire che stava per morire e si augurò che Ulubelen ricevesse il suo messaggio e che, inch’allah, sapesse interpretarlo. Poi ogni luce si spense.


Capitolo 2

Ankara. Turchia. Sede del Ministero della Cultura. a. D. 2000. Marzo.

Akim Ulubelen, onnipotente ministro alla cultura del Governo Turco, era appena rientrato nel suo appartamento, dopo otto, interminabili ore, trascorse a leggere documenti redatti in un linguaggio talmente astruso da costringerlo a sforzi immani per comprenderne il significato. Ora, finalmente, poteva concedersi qualche ora di riposo, infilarsi una giacca da camera, bere un succo d’arancia, buttarsi sulla prima poltrona che gli capitava a tiro e ripensare a quello che era successo.
Bedir Tarsim aveva trovato quello che doveva trovare e ciò voleva dire che tutta la faccenda non era da prendere sottogamba; ma ci aveva anche lasciato la pelle e questo significava che avevano davvero messo le mani su una brutta gatta da pelare. Le possibilità erano due: o Tarsim, nonostante le sue raccomandazioni, aveva commesso un passo falso, oppure, come risultava dai rapporti della polizia, era veramente rimasto vittima di un tentativo di rapina e questo sarebbe stato il meno dei mali. Nella disgrazia, una fortuna: Tarsim era riuscito a fargli pervenire una traccia. Una mappa. Il luogo dove si nascondevano documenti scottanti e un terribile segreto.
Ulubelen si alzò, si diresse verso un quadro che riproduceva una veduta del Bosforo, lo tolse dalla parete. Dietro, una piccola cassaforte murata. Compose la combinazione e lo sportello si aprì, con un debole scatto. Ne trasse un foglio e un paio di fotografie, che studiò con estrema attenzione. Il corpo senza vita era quello di Bedir, disteso su un tavolo d’obitorio. All’interno della coscia sinistra, s’intravedevano un disegno, una mappa rudimentale tuttavia abbastanza riconoscibile e una scritta.

Aslan Bey. Dormiente. Iraq.

Erano stati tatuati in modo artigianale. Probabilmente il suo archeologo, non avendo altro sottomano, aveva usato l’inchiostro della stilografica. Ulubelen trattenne a stento un moto di compiacimento, se non altro il suo uomo ci aveva pensato, prima di essere eliminato; qualcosa doveva averlo messo sull’avviso. Ma di sicuro non era stato abbastanza abile. Oppure non si sarebbe trovato sul tavolo di un obitorio.
Tralasciando l’omicidio, Ulubelen non poteva lamentarsi di come si erano messe le cose. Trattandosi di uno dei suoi uomini, infatti, la polizia di Efeso si era messa in contatto con il suo Ministero, chiedendo lumi. E lui era salito sul primo aereo e si era precipitato sul posto. Il corpo di Bedir era stato subito inumato, su suo ordine: l’archeologo non aveva parenti stretti, per fortuna, e lui aveva potuto occuparsene personalmente, eliminando dalla faccia della terra ogni traccia della mappa. Anche la scomparsa della vecchia custode della cappella di Meryem era stata presto liquidata. Il gesto di un folle. Nessuno aveva collegato le due morti. Ulubelen ripose le foto, aprì la lettera. Mancava intestazione:

Ho bisogno del suo aiuto. Invii subito ad Efeso un suo uomo. Deve cercare…

Ripiegò il foglio, non era necessario proseguire con la lettura, ormai conosceva il contenuto a memoria. Ulubelen richiuse anche il foglio nella cassaforte, appoggiandolo sopra le fotografie, poi tornò alla sua poltrona e vi si sprofondò. Non sarebbe riuscito a dormire, tanto valeva programmare la sua prossima mossa.


 
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