DOCkS della Bloody Roses Secret Society

Mary Mapple e la Spezieria della Morte, di K.B. Wingard

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folgorata
view post Posted on 9/1/2013, 15:55




Frida, Helga e la Signora Meyer
Macaron



K.B. Wingard

Mary Mapple e la spezieria della morte



Parlano i lupi nella brughiera, uno spazio infinito. L’ululato risuona nel vento, tra nubi fosche. Un aquilone nero non sarebbe strano in un cielo del genere e nulla di strano ci sarebbe se una bimba pallida e vestita di nero corresse sotto e ne tirasse il filo.
Cosa ci stesse a fare Mapple sotto quel cielo carico non era facile a comprendersi. Non si vedeva in giro nemmeno una casa, un tetto o un comignolo. O meglio, non sarebbe stato affatto facile a comprendersi senza i ben noti fatti di sei mesi, avvenuti per la precisione in Applestrasse, a Shnorr, nella Foresta Nera.


1. Una sciagura immancabile

In Apfelstrasse le tre socie della bottega Spezie&Delizie avevano il sacro terrore di cose intangibili tipo spettri, fate e fantasmi. La signora Helga Howl, il capo, era una donna alta e grassoccia. Aveva una piramide di capelli gialli e unghie laccate color sangue. Rachel Mayer era bassa e curva, con un caschetto di capelli bianchi. Gli occhi erano molto sporgenti e sempre pronti a spiare le persone di nascosto. Frida Keller era alta, ossuta e tremante.
Nessuna aveva mai avuto figli.
Di marmocchi, non ne avevano messi al mondo e non avrebbero mai voluto frequentarne. Li disapprovavano tutti a esclusione dell’assaggiatrice della televisione: una ragazzina con la faccia rossa e il potere di decretare la confetteria migliore dell’anno. Per le tre socie era la bambina più bella del mondo. Era piuttosto grassa per via di tutti quei dolciumi ma non importava. Un tesoro! Completamente diversa, insomma, da un essere infelice come la neonata adottata sei anni prima da Archibald, il fratello di Helga.
Trovata in un cassonetto! Si poteva essere nati sotto una stella peggiore? Lo aveva rivelato anni prima una telefonata giunta dall’America e fino a quel giorno sei anni dopo le tre signore erano riuscite a scampare alla sola idea di toccare l’argomento. Non avrebbe potuto esserci angoscia più tremenda. Ne erano sempre state certe, quella bambina avrebbe procurato al caro Archibald la peggiore delle sciagure. L’unica fortuna era la lontananza. Il fratello di Helga abitava oltre Oceano perciò loro non avrebbero mai avuto nulla a che fare con la bambina.
Del resto, lo sapevano tutti, i bambini portavano guai. Quando arrivavano c’era sempre un adulto destinato a mangiare l’insalata dalla parte delle radici. Insomma i mocciosi attiravano “l’abominevole”. E in fatto di cose intangibili nulla era più spaventoso dell’“abominevole”. Attirare “l’abominevole” sul povero Archibald era il minimo, con una bambina tanto sfortunata da nascere nella spazzatura!
E infatti puntualmente quel mattino di aprile in cui tutto ebbe inizio le tre socie avevano appena saputo della disgrazia. La notizia della tragedia era strisciata all’interno della bottega Spezie&Delizie con la posta dell’alba, sottile e spaventosa come un telegramma. Lo aveva portato Dirk Martin con la sua divisa blu elettrico e cappello rigido. Lo aveva consegnato ad Helga con la solennità degna appunto di un funerale.
Il telegramma era assai breve. Archibald, il fratello di Helga, nel sistemare l’insegna del suo emporio a Howell era caduto dalla scala e si era sfracellato a terra. Così Helga, Frida e la signora Meyer si erano rintanate attorno al tavolino della bottega.
«È accaduto! Come avevo previsto!» ruggì Helga con in mano il telegramma per farsi vento. Affilò lo sguardo e fece rullare sul tavolo gli artigli rossi della mano libera. Nessuno osò parlare e lei continuò: «Vi ricordate? “Fa così pena!” disse Archibald quando telefonò dall’America sei anni fa. “Una bambina strappata alla morte, pensate” queste sono state le sue parole! “Trovata appena nata in un cassonetto della spazzatura! L’ho adottata. Fa così pena!”» Helga fece scricchiolare i denti. «Pena!»
Le tre donne scossero la testa, Helga ne faceva molta, molta di più.

Frida ondeggiò in punta di piedi verso il fondo della bottega dove una scala di legno saliva al ballatoio. Le era sembrato di aver intravisto il cappello a punta del vecchio Appleby oltre la balaustra ma non ne era sicura. Barcollò: magari si era già svegliato. Lo volesse il Cielo! Helga aveva un bisogno disperato di un vaticinio favorevole! E Appleby era uno scaccia-spiriti in un certo senso. Solo lui forse poteva inventarsi qualcosa per dissipare l’ala nera della morte. La tragedia aveva fatto calare la sventura sull’intera bottega.
«La situazione è grave. Povero Archibald! Gli avevamo detto di non prendere la bambina» si sbracciò Frida appena vide la lunga vestaglia blu incedere giù per la scala.

Morgan Appleby seguì la socia giovane di Spezie&Delizie verso il tavolino della bottega. Emise un lungo sospiro e per poco gli occhialetti non gli scivolarono giù da dal naso. Frida piangeva come se fosse in fuga da un fantasma e continuava a parlare di una bambina. Scrollò la testa. Raramente la socia giovane coglieva il punto della questione.
«Povero Archibald e povera Helga!,» mormorò Appleby quando ebbe raggiunto le tre donne e chinò il cappello a punta verso quella con i capelli biondi e il vestito rosso fuoco:
«Signora Howl è un triste giorno questo. Ha tutto il mio affetto, cara.»
Helga Howl emise un sospiro simile a un ruggito e fece balenare un lampo negli occhi socchiusi: «Non ho bisogna di compassione. Sono furiosa con mio fratello! E ben gli sta. Non è un caso se io, Frida e Rachel siamo tanto felici di non avere figli, né ci è mai passato per la testa di averne!»
«Scusi?» Morgan Appleby sbirciò le facce delle altre due signore sedute al tavolo.
Anche Frida faceva di sì con la testa riccia color topo:
«Lo sanno tutti. L’arrivo di un neonato significa che qualche adulto deve andarsene. Altrimenti sulla terra non ci sarebbe posto per tutti!»
«Conosciamo le conseguenze di avere intorno un bambino,» Rachel Meyer, in verde evidenziatore, aveva espresso la sua opinione e l’aveva conclusa con un “uhuu” basso simile al verso di un gufo.
Appleby ebbe una stretta al cuore e si accarezzò la barba per tutta la lunghezza.
«I bambini non fanno alcun male e, Helga, lei deve essere davvero scossa per fare questi discorsi.» Il pensiero di tanta ingiustizia gli calpestò il cuore. Per giunta anche le altre erano d’accordo. E accavallavano le voci per spiegare.
L’innominabile abominevole andava evitata, mai nominata e meno che mai sfidata come invece facevano i clienti. Inveivano contro il destino per essere stati separati dai cari defunti. E così, incauti, si lasciavano andare ai rimpianti e alle lamentele, attiravano l’ “abominevole” - così chiamavano la morte - come ape al miele. Per allontanarla invece si dovevano dimenticare gli estinti, bisognava vestire colori allegri e sopratutto bisognava evitare di mettere al mondo dei figli. Ormai lo ripetevano da un buon quarto d’ora.
Appleby si accomodò sulla sedia e si schiarì la voce:
«Guardando un po’ oltre… la punta delle proprie scarpe, si potrebbe avere un’idea meno ristretta in fatto di vita e di morte…»
«Non dica quella parola» gufò la signora Meyer e si arruffò il caschetto di capelli bianchi. «È inutile sfidare l’innominabile, alla fin fine l’ha sempre vinta. Meglio non stuzzicarla, mi creda.»
E Frida si strinse addosso il golfino azzurro: «Mi meraviglio. Dovrebbe avere più tatto Herr Appleby.»
«Che tatto e tatto… - ringhiò Helga - è questione di non attirarci addosso più iella di quanta già non ce ne sia in giro,» concluse con gli occhi fissi al telegramma.
«Su, Helga, concentrati sull’eredità cara,» la signora Meyer orientò gli occhi a palla verso Appleby con aria minacciosa.
La sorella di Archibald si avventò a muso duro contro la socia anziana e diede l’impressione di volersela mangiare:
«Non c’è nessuna eredità. Archibald era sull’orlo del fallimento. Hanno preso tutto le banche,» sibilò tra i denti.
Appleby aggrottò i sopracciglioni canuti:
«Non vi chiedete piuttosto perché accadano cose del genere? Perché soffrano anche le persone più innocenti?»
«Stiamo con i piedi ben piantati per terra, Herr Appleby… tra mezz’ora arriveranno i clienti. Sbrighiamoci! - Helga puntò gli occhi sul registratore di cassa - Cerchiamo di essere concreti e materiali insomma. Per esempio chiediamoci come mio fratello abbia potuto adottare una bambina trovata in un cassonetto, il 2 novembre! Il giorno dei morti!» sbraitò e batté un pugno sul tavolo.
«E per di più avvolta in una carta da regalo con su la faccia del Babbo Natale della Coca Cola,» aggiunse Frida con voce lugubre.
«E questo cosa c’entra?» minacciò Helga Howl dilatando le narici.
La signora Meyer setacciò con gli occhi sporgenti l’intero busto di Frida:
«Una sciocchezza delle tue, Frida. Non si vede come potrebbero aggravare la situazione una carta da regalo, il Natale e la Coca Cola!»
«Beh, riguardano i bambini, no?» uscì da sotto i ricci color topo la vocina di Frida.
Rachel Meyer si arrese contro lo schienale della sedia e rispose a denti stretti: «No, cara.»
«Su, su. - Disse Appleby carezzevole - Magari quel Babbo Natale della carta regalo era uno spirito buono in grado di proteggere la bambina e scongiurare cose luttuose!»
Helga soffiò aria feroce dalle narici:
«Si è visto! Come no! Ci mancano gli spettri adesso. Una vera fissazione questa degli spettri, Appleby!»
Appleby sollevò il dito indice: «Ho detto “spiriti” non “spettri”. E mi spiace per lei, signora Helga, ma il mondo è attraversato da spiriti pienamente attivi. Il mondo della leggenda e degli eroi…»
«Figurarsi!» La bocca di Helga era una riga sottile e violacea.
«Mmmm - Rachel Meyer afferrò il bastone da passeggio appoggiato al tavolo e lo batté due volte sul pavimento - non l’abbiamo convocata per questo, Appleby. Helga ha bisogno di un consulto, confortante possibilmente.»
«È presto detto, Frau Helga, - i baffi gli tremarono per trattenere il sorriso. - Il suo negozio diventerà presto famoso in tutto il mondo.»
«Dice davvero? - le palpebre inferiori Helga Howl si sollevarono in segno di sfida. - Non mi sta prendendo in giro?»
«Non mi permetterei mai. E poi non sono io a dirlo ma le stelle…» e indicò le travi del soffitto.
Frida lo interruppe: «E io, allora?»
«Le stelle sono cieche in proposito,» ammise Appleby con un gesto a due dita come per benedirla.
«Ecco. Lei per me non prevede mai grandi eventi. Nemmeno tragedie o malattie come fa per gli altri!»
Il professor Morgan Appleby protese la faccia. Non era facile trovare una logica nel discorso della socia giovane. Ma rinunciò subito, un brontolio allo stomaco reclamava una dose mattutina di cioccolata, panna e perle di toffies. Del resto avere una stanza al terzo piano sopra Spezie & Delizie, aveva i suoi vantaggi.

Le tre socie osservarono Appleby tentennare in direzione delle scale per tornare in camera: la barba enormemente lunga e bianca, i baffi spioventi, la vestaglia blu e il cappello foderato di pelo in tinta con la vestaglia. Sembrava lo spettro di un mago piombato dal mondo delle fate e dei fantasmi apposta per terrorizzarle. Helga si eresse e marciò verso la porta a vetri. Quand’ebbe voltato il cartello su “aperto” lampeggiò con gli occhi in direzione di Frida e Meyer e fece loro segno di seguirla. Spalancò l’uscio, e una volta all’esterno, si voltò verso la vetrina come dovesse studiarne l’allestimento. Ma trafisse il cristallo con gli occhi senza vedere alcunché.
«È sempre più irritante averlo intorno.» Disse tra i denti poi strinse le mani a pugno e se le portò davanti alla bocca.
Doveva controllarsi. Lei, Frida e la signora Meyer avevano frequentato i migliori maghi di Schnorr e dell’intera Baden-Württemberg. Poi si erano decise per Appleby. Era un astrologo appena arrivato dal Regno Unito e avrebbe chiamato su di loro la benevolenza delle stelle del tutto gratuitamente in cambio della stanza.
«Dio solo sa - tremò la voce di Frida - con tutte queste disgrazie se non abbiamo bisogno di sapere cosa ci aspetta.»
«Non dev’essere per forza lui. Di astrologhi ce ne sono tanti,» Rachel ritirò la testa com un tacchino.
Helga batté l’uno contro l’altro i pugni davanti alla bocca:
«Dobbiamo trovare un pretesto qualsiasi per sloggiarlo.»
Le altre annuirono ed Helga continuò a riflettere. Era un discorso fatto tante volte. Non si erano mai decise a dargli la disdetta solo perché era l’unico che in situazioni d’emergenza dava loro una speranza. Le emergenze scattavano in caso di cattivi presagi come quando la “Sentinella della Foresta Nera” dava oroscopi sfavorevoli, o come in questo della disgrazia di Archibald. Tuttavia quella fissazione di Appleby per il mondo degli spettri era insopportabile: tutto quello spingerle ad affrontare le paure, quei suoi racconti dell’orrore in cui fate ed eroi combattevano l’innominabile. Come se non bastassero i clienti a parlare continuamente di incolmabili perdite, estremo trapasso, eccetera.
Tra confetti, tisane e caramelle la gente si spingeva sul tema “caro defunto” e finiva per sospirare: Ah! Potessi riavere mio marito, il mio gatto, il mio cactus! Helga rabbrividì e continuò a rimuginare in silenzio davanti alla vetrina.
Tutte proprietà dell’innominabile abominevole, ormai. Meglio evitare di invocarne la restituzione. Era pericoloso solo pensarci, figurarsi dirlo ad alta voce.
«Parlare di spettri è la via sicura per attirare l’innominabile» finì per sbottare Helga. E per fortuna non guardò in su. Avrebbe visto Appleby alla finestra preso a masticarsi i baffi per non ridere.

Era nella sua camera al primo piano e aveva spiato tutta conversazione avvenuta in strada. Le angosce delle tre signore sembravano senza fine.
Ormai tutte le loro precauzioni non bastavano più. E la lista delle cose da evitare, scansare e rifuggire si allungava di giorno in giorno: rovesciare il sale, incrociare gatti neri; guardare carri funebri vuoti, parlare di cari estinti, avere a che fare con bambini …E ora all’elenco si aggiungeva: ospitare i filosofi con la mania degli spiriti. Del resto dietro il banco della bottega di Apfelstrasse spiccava una scritta “Non sono gradite le sorprese, meno ancora le improvvisate e non si danno merci a credito”. Appleby si allontanò dalla finestra e pulì col dito la tazza di cioccolato. Lo succhiò e cercò di cancellare l’eco delle voci delle tre socie ormai alle prese con i primi avventori.
Qualcuno di istruito le avrebbe paragonate alle tre megere del Macbeth ma un occhio acuto non si sarebbe fatto sfuggire la verità. Non vi era nulla di stregonesco in loro, anzi, nel negozio regnava l’ordine e la disciplina. Nulla era capace però di scacciare nelle tre donne la paura che qualcosa potesse essere fuori posto.
Helga Howl aveva quarant’anni. Teneva i capelli biondi raccolti in un alto chignon a forma di torre o piramide, utile ai numerosi clienti della spezieria per individuarla nei momenti di ressa. Helga era sola. L’unico parente vivente era stato il fratello Archibald.
La socia giovane Frida Keller, era ossuta e aveva quei capelli ricci color topo, il suo campo erano le erbe cosmetiche: oli di calendula, tinture madri di spirea per i brufoli, olio di lavanda contro le punture d’insetto. Camminava un po’ curva in avanti, abitudine acquisita a forza di restare china sulle clienti per impiastricciare loro la faccia. Frida abitava con la vecchia madre appena fuori paese. Appleby tese l’orecchio. Era proprio la voce di Frida quella e risaliva dalla bottega.
Sembrava tutta presa a discutere con la Meyer.
«Non c’è dubbio. È vera quella cosa dei bambini che fanno trapassare. Se hai notato, quando aumentano le richieste di lenitivi per la crosta lattea dei neonati calano le vendite di unguenti antiemorroidari per gli anziani.»
«Shsss. Non a voce alta, cara!» arrivò secco il rimbrotto della signora Meyer.
Appleby smise di leccare la tazza e fissò il vuoto poi si batte con l’indice sulla tempia.
Doveva essere “antiemorroidari” la cosa da dire piano. Ma non perché “antiemorroidari” facesse paura. Forse era perché curava il bruciore di parti basse e nascoste di cui la signora Meyer preferiva ignorare l’esistenza. Era una tipa eccentrica del resto e anche lei era molto sola. Era vedova e viveva in fondo alla via. Era già avanti con gli anni e ne andava molto fiera. Agitava il caschetto gonfio di capelli bianchi, come fosse una corona. E batteva il bastone a terra, come fosse uno scettro. Vi si appoggiava nel camminare e doveva essere davvero utile perché Rachel Meyer era capace di restare in piedi in negozio per ore e ore.
Il quel momento Appleby udì uno scampanellio provenire dalla porta della bottega, seguito a breve da un altro e un altro ancora. La notizia della dipartita di Archibald doveva essersi sparsa e la gente del paese avrebbe ingannato la mattinata ad assaggiare tisane e compiangere Helga. Meglio andarsi a fare una passeggiata, non sarebbe stato di nessuna utilità per quel giorno. Così si tolse la vestaglia blu e il cappello imbottito a punta, e indossò una vecchia redingote color tabacco con sei mantelline. Si calzò sulla testa la scodella di lana tweed e cercò di scivolare inosservato sul ballatoio. Come previsto tuttavia, continuava ad arrivare gente e il tintinnio dei campanelli sulla porta a vetri annunciò difatti un ennesimo ingresso. Appleby lanciò uno sguardo distratto oltre la balaustra e si immobilizzò.
Un berretto rigido blu e oro stava facendo capolino nel locale. Era ancora Dirk Martin, il postino, una seconda volta quel giorno, e indossava la borsa a tracolla delle consegne.
Il postino si fece largo, chiese permesso e menò borsate. Avvistato il pinnacolo giallo dei capelli di Helga, si sporse in quella direzione: «Signora Helga, una notifica.»
Helga era in fondo al negozio in piedi dietro l’alto trespolo della cassa e Frida si precipitò verso il postino a mani tese.
«Prego, dia a me. Lo consegno io.»
Per tutta risposta il giovane Dirk fece un passo indietro, serrò la borsa e ritirò la mano con la grande busta bianca.
«È mio dovere consegnarlo direttamente alla destinataria: Frau Helga Hawl, Apfelstrasse 40, Schnorr, Baden Wurtemberg, Foresta Nera.»
Non aveva terminato di parlare, Frida Keller si era voltata di scatto e gli aveva pestato un piede con gusto. Ciò tuttavia non impedì al postino di raggiungere Helga.
Questa inforcò gli occhiali e aprì il lembo incollato con una rasoiata dell’unghia rossa. Poi estrasse un fascicolo di fogli e il viso prese impercettibilmente a muoversi da destra a sinistra nel silenzio generale.
Quando Helga sollevò lo sguardo dai fogli era paonazza fino alle orecchie.
Frida si ritrasse e portò le mani alla faccia.
La signora Meyer si avvicinò e posò la mano sulla spalla dell’amica.
«Cosa accade? Helga!» chiese intanto si protese verso i fogli.
Alla fine Helga girò il viso intorno e raddrizzò il busto all’improvviso consapevole della presenza dei clienti. Si schiarì la gola e annunciò:
«Signori per oggi si chiude,» la voce vibrò distorta come se il collo fosse stretto da un cappio, quasi irriconoscibile. Appleby in un brivido studiò le braccia di Helga aprirsi come grandi ali e sospingere la gente all’esterno.
Appena la donna ebbe girato la chiave nella toppa per chiudere, nel negozio si levò il grido della signora Meyer:
«Helga!»
L’interpellata si voltò lentamente in direzione del caschetto bianco e lo trovò chino sulla missiva.
«È un provvedimento d’autorità! - stava dicendo Rachel - Ti affidano la bambina!»





Vai al capitolo 2

Edited by Mollie Miles - 19/11/2014, 21:00
 
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emerson
view post Posted on 9/1/2013, 16:54




Il primo capitolo è intrigante ma non mi è chiaro perché l'arrivo di una nuova persona debba comportare la morte di un'altra.
 
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alices
view post Posted on 9/1/2013, 17:14




Dunque, a tratti non è molto chiaro, aggiungerei più movenze a quelle tre signore, anche quando sono in negozio che poi escono, è un pò confuso come è costruito ma ci sta che sia una cosa mia eh, ma ti fai delle domande in effetti. Ho notato delle virgole strane, ma lascio chi è più capace di me per quello ^^

Una cosa all'inizio, secondo me non va così. Io farei:
"Ecco i lupi. Parlano in quello spazio infinito che è la brughiera. Ululano chiedendo “perché???”. La domanda risuona nel vento, tra nubi fosche che si susseguono e si mangiano l'un l'altra."
 
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folgorata
view post Posted on 9/1/2013, 17:30




Emerson tutto il sottotesto del romanzo è su questo tema. Comunque è per le tre donne una superstizione come le altre, più importante delle altre in questo caso.

Si forse Alice la cosa della bussola non è chiara per chi non sa che cos'è la bussola. Lo spiego meglio.

L'incipit lo rivedrò alla fine. tutto il romanzo è nato da lì da quelle dieci righe che mi sono venute alla mente.
 
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emerson
view post Posted on 9/1/2013, 18:01




[QUOTE=folgorata,9/1/2013, 17:30 ?t=53432419&st=0#entry372393530]
Emerson tutto il sottotesto del romanzo è su questo tema. Comunque è per le tre donne una superstizione come le altre, più importante delle altre in questo caso.

Il mio dubbio, in mancanza di una spiegazione, è che anziché una superstizione fosse proprio un luogo magico dove non potessero coesistere più di un certo numero di individui. Adesso rileggo.
 
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folgorata
view post Posted on 9/1/2013, 18:22




Ho cambiato Emerson effettivamente la prima affermazione a riguardo non era chiaramente attribuibili ai pensieri dei personaggi. Anzi grazie della tua nota.

Per quanto riguarda la bussola Alice ho fatto come il carabiniere che non sapeva scrivere "guardrail": ho buttato la testa in mezzo alla strada :-)
 
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emerson
view post Posted on 9/1/2013, 18:46




Prendi questi suggerimenti per quello che valgono. Ognuno mette nello scrivere una musicalità diversa e le mie frasi, anche se vogliono essere esplicative, potrebbero non adattarsi. Non so spiegarmi meglio.

"Su questa fortuna, le altre, sia Helga che Frida erano d’accordo."

(personalmente metterei: che questo rappresentasse per lei una fortuna tutti erano d'accordo.)

"come l’ordine perfetto del negozio non riusciva a eliminare la paura che qualcosa comunque potesse essere fuori posto."

(come l’ordine perfetto del negozio fosse più di una semplice mania. Un oggetto fuori posto poteva creare il panico nelle donne.)
 
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mandar
view post Posted on 9/1/2013, 19:35




Che cosa ci stesse a fare Appletree sotto quel cielo carico non era affatto chiaro VIRGOLA tanto più che non si vedeva in giro nemmeno una casa, un tetto o un comignolo. O meglio VIRGOLA non sarebbe stato affatto chiaro se non si sapesse ciò che era accaduto in Applestrasse non più tardi di tre mesi prima.
In agosto, nel negozio Spezie&Delizie, Helga e le sue due amiche Frida e Meyer erano ben felici di non avere né marito, né figli. E non avevano affatto intenzione di averne. Avevano deciso da tempo che non ne avrebbero avuti mai. Lo sapevano bene loro che l’arrivo di un neonato significava che qualcun'altro qualcun altro doveva andarsene - nel senso di tirare le cuoia - per fare posto al nuovo venuto.
..........

Su questa fortuna, le altre, sia Helga che FridaVIRGOLA erano d’accordo. Le tre amiche avevano infatti in comune ben più del gran numero di passate disgrazie. Anche Helga era sola. L’unico parente vivente era un fratello in AmericaVIRGOLA il quale oltre che di restare lontano aveva avuto il buon gusto di fare fortuna e di inviarle il denaro necessario per aprire la spezieria. Helga, Frida e la signora Meyer avevano finito così per trovarsi d’accordo su molte cose in fatto di vita, di morte e consimili. Non si vergognavano affatto VIRGOLA per esempio VIRGOLA di badare a non rovesciare il sale e di non incrociare gatti neri; temevano il passaggio dei carri funebri vuoti e interrogavano piene di trepidazione le carte su una serie infinita di disgrazie che sarebbero sempre potute accadere. Dietro il bancone del negozio spiccava una scritta a chiare lettere gotiche “Non sono gradite le sorprese, meno ancora le improvvisate e non si danno merci a credito”. Avevano frequentato i migliori maghi di Schnorr e dell’intera Baden-Württemberg e a loro volta avevano appreso “i segreti del mestiere”. Helga leggeva il té con le sue amiche, Frida e Meyer, e aveva perfino accettato un ospite pagante come il signor Applewhite, un astrologo cui le tre si rivolgevano nelle emergenze. Qualcuno di istruito le avrebbe paragonate alle tre streghe del Macbeth VIRGOLA mentre i più acuti tra i frequentatori di Spezie&Delizie potevano notare come l’ordine perfetto del negozio non riusciva a eliminare la paura che qualcosa comunque potesse essere fuori posto.
Quel giorno di fine agosto Helga, Frida e la signora Meyer erano presissime nella lettura dei tarocchi le cui previsioni tuttavia si ostinavano a smentire i fatti riferiti da una cliente. Nel negozio di tisane ed erbe era tutto un via vai di gente che cercava di sfuggire alla malasorte. La coda di persone in attesa di un consulto si allungava. Tra gli alti scaffali di legno scuro c’era gran ressa.
Le tre signore erano così indaffarate che nessuna tra loro alzava lo sguardo e aveva modo di scorgere la lunga barba bianca che penzolava appesa tra una colonnina e l’altra del ballatoio. Era come una matassa di cotone idrofilo appuntita. Helga, Frida e la signora Meyer non si accorsero neppure del naso adunco e arrossato che sporgeva poco sopra la barba e spuntava dalla ringhiera dietro cui il signor Applewhite si teneva riparato. Se lo avessero visto, di certo gli avrebbero chiesto di scendere a risolvere la questione con la cliente in difficoltà. Ma di convocarlo andandolo a chiamare in camera, non se ne parlava. Non lo avrebbero mai fatto. Accadeva solamente in casi eccezionali come quelli di clienti veramente delusi che minacciassero di rivolgersi a esperti più qualificati. Quel giorno in effetti si sarebbe presentato un caso straordinario davvero ma Helga, Frida e la signora Meyer ancora non lo sapevanoVIRGOLA e quando lo avessero saputo non avrebbero avuto il tempo di ricorrere al loro ospite astrologo per un vaticinio straordinario.
Il tintinnio dei campanelli sulla porta a vetri annunciò difatti un ennesimo ingresso. Un berretto rigido blu e oro fece capolino nel locale affollato. Era il postino e indossava la borsa a tracolla delle consegne. Si fece largo chiedendo permesso a forza di borsate. Avvistato il pinnacolo giallo dei capelli di Helga, si sporse in quella direzione: «Signora Helga, un telegramma.»
“Telegramma” come una parola magica ridusse tutti al silenzio. Helga era in piedi dietro l’alto trespolo a tre piedi per consulti veloci. Rabbonì la cliente con lo sguardo, inforcò gli occhiali e con le unghie laccate afferrò il telegramma. Lo aprì senza fretta e il viso prese impercettibilmente a muoversi da destra a sinistra, e viceversa, cambiando colore. Quando Helga sollevò lo sguardo dal rettangolo giallino era paonazza fino sulle orecchie.
«Una bambina!» articolò infine e il timbro era tanto alterato da far pensare che qualcuno la stesse strozzando.
Frida la pavida si ritrasse spaventata portando le mani alla faccia e arretrando.
«Oh povera Helga!» disse la signora Meyer passando la mano sulla grande schiena dell’amica, intanto protese il viso e lo sguardo verso il telegramma.
Helga dal canto suo aveva fatto presto a riprendersi. Tirò la bocca in una smorfia dura: «Ovviamente ogni generosità presenta il conto prima o poi. - E aggiunse a fior di labbra - Sembra dopotutto che un'altra disgraziata verrà ad abitare in Applestrasse.» Poi girò il viso intorno e raddrizzò il busto come si fosse resa conto solo in quel momento della presenza dei clienti. Si schiarì la gola e lesse ad alta voce. «Cara Helga, ha sette anni e non ha alcun parente che possa occuparsi di lei. Me ne sono assunto la tutela. Ti chiedo di accudirla come a suo tempo facesti con me. Ti telefono per spiegazioni. Arriva all’aeroporto di Friburgo con un volo proveniente da Newark alle 18 del 3 agosto.»
«Ma è adesso!», il grido di Frida interruppe la lettura.
La faccia di Helga accennò un sorriso ma gli occhi dilatati fissarono la cliente insoddisfatta: «Mi deve scusare signora: un’emergenza. È anche meglio: nel prossimo consulto la situazione di suo nipote Fritz si sarà chiarita. Vedrà.»
«Come mai ti ha avvertito tanto all’ultimo, cara Helga?» chiese la signora Mayer.
«Che domande VIRGOLA signora Meyer», borbottò Helga le cui braccia si erano aperte come grandi ali e sospingevano la gente all’esterno. «Sapeva benissimo che avvertendomi per tempo la mia artrosi all’anca si sarebbe aggravata all’improvviso con ricovero in ospedale e innesto di una protesi.»
«Ma adesso cosa ci succederà?» balbettò Frida chiudendo la porta dietro l’ultimo cliente.
«Oh cosa vuoi che succeda? - Rispose la voce soffocata di Helga tutta presa a infilare il cappotto – A tirare le cuoia sarà la vecchia Scolnits del numero 16.» La veccha Scolnits era un’immigrata polacca che vivendo praticamente di solo yogurt aveva raggiunto i 102 anni.
«Speriamo che basti… - tremò la voce della signora Meyer - Di solito la morte colpisce più vicino… in famiglia. Vero cara? Nella famiglia dei nuovi bambini intendo…»
«Oh VIRGOLA non creda di potersi considerare fuori da ogni rischioVIRGOLA signora Meyer. Scommettiamo che chiamerà zie anche voi due?»
«Glielo vieteremo», sentenziò Frida.
«Sarà la prima cosa da chiarire a questa signorina. Prometti che lo farai Helga», squittì la signora Meyer e la risposta si levò attenuata dalla sciarpa che già avvolgeva la faccia di Helga: «Già mi viene mal di testa. Chissà quante domande mi farà.» Il tono era lugubre e Helga, prima di aprire la porta e andarsene, si fermò sullo zerbino borbottando: «Ma non resterò ad aspettare che mi crolli il tetto sulla testa». Estrasse di tasca il mazzo di chiavi con cui intendeva richiudere e fermò la mano a mezz’aria. «Il bisogno aguzza l’ingegno e benedetto sia il pastore. Avete presente il passo di domenica scorsa, quello in cui l’uomo diviene padrone del creato? BeneVIRGOLA faremo così: non la chiameremo con il suo nome.»
«Giusto! - Trillò la signora Meyer - Trarremo in inganno la morte, non saprà che la bambina si trova qui.»
«E che nome le daremo?», chiese spaesata Frida ed Helga rispose:
«Non so. Ci vuole un nome vuoto, un nome che si confonda con altri… Che non faccia fare domande.»
«”Trasparente”!», azzardò Frida.
«”Non c’è”», contropropose asciutta la signora Meyer.
«Ma no…», disse Helga spazientita. Erano già tutte e tre con i piedi sulla strada e stava per girare le chiavi nella toppa quando si fermò. «“Appletree”! Un piccolo albero prolifico, tanto simile al soprannome che qua hanno dato al nostro ospite… al signor Applewhite per via della barba bianca. E non creerà domande imbarazzanti.»
«Giusto - assentì la signora Meyer – Ce l’avevamo proprio sotto il naso.» E nemmeno lei si avvide della ragnatela sospetta tesa a metà tra la luna e un comignolo. Né notò il grosso ragno peloso che pareva ghermire l'insegna Spezie&delizie.

Bello, ma bello bello. se lo avessi tra le mani starei già leggendo il cap 2.

Lo psso far leggere alla mia maica Ricciolineri, grande estimatrice di Princhet?
 
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margaret gaiottina
view post Posted on 9/1/2013, 21:06




Inizio interessante assai:-)
Non è vero che è solo per barbosi!
Dunque, ecco le mie perplessità:

Non dovrebbe essere "parlano i lupi nella brughiera?"


Il vestitino che “si ammoscia” non è proprio il massimo. Io metterei si affloscia, mi piace molto di più.


O meglio non sarebbe stato affatto chiaro se non si sapesse ciò che era accaduto in Apples non più tardi di tre mesi prima. Qui secondo me la consecutio non va. Io scriverei così: va se non sarebbe stato affatto chiaro se non si fosse saputo.

40 lo scriverei in lettere.

Qualcuno di istruito le avrebbe paragonate alle tre streghe del Macbeth mentre i più acuti tra i frequentatori di Spezie&Delizie potevano notare come l’ordine perfetto del negozio non riusciva a eliminare la paura che qualcosa comunque potesse essere fuori posto. Questo pezzo mi lascia perplessa: paura di chi? Non si capisce bene.

Frida e la signora Meyer ancora non lo sapevano e quando lo avessero saputo (Io qui metterei avrebbero saputo) non avrebbero avuto il tempo di ricorrere al loro ospite astrologo per un vaticinio straordinario.
 
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folgorata
view post Posted on 9/1/2013, 21:39




Non dovrebbe essere "parlano i lupi nella brughiera?"
ASSOLUTAMENTE Sì SONO D'ACCORDO


Il vestitino che “si ammoscia” non è proprio il massimo. Io metterei si affloscia, mi piace molto di più.
ASSOLUTAMENTE Sì SONO D'ACCORDO

O meglio non sarebbe stato affatto chiaro se non si sapesse ciò che era accaduto in Apples non più tardi di tre mesi prima. Qui secondo me la consecutio non va. Io scriverei così: va se non sarebbe stato affatto chiaro se non si fosse saputo.
MI ERA VENUTO IL DUBBIO E SECONDO ME HAI RAGIONE

40 lo scriverei in lettere.
ASSOLUTAMENTE Sì SONO D'ACCORDO

Qualcuno di istruito le avrebbe paragonate alle tre streghe del Macbeth mentre i più acuti tra i frequentatori di Spezie&Delizie potevano notare come l’ordine perfetto del negozio non riusciva a eliminare la paura che qualcosa comunque potesse essere fuori posto. Questo pezzo mi lascia perplessa: paura di chi? Non si capisce bene.
NON SONO D'ACCORDO NEL CONTESTO A MIO AVVISO SI CAPISCE CHE L'OCCHIO DI UN OSSERVATORE ACUTO AVREBBE NOTATO COME L'ORDINE GIà PERFETTO NON RIUSCIVA A METTERE A TACERE LA PAURA SERPEGGIANTE (NELLE TRE DONNE) CHE COMUNQUE QUALCOSA FOSSE FUORI POSTO

Frida e la signora Meyer ancora non lo sapevano e quando lo avessero saputo (Io qui metterei avrebbero saputo) non avrebbero avuto il tempo di ricorrere al loro ospite astrologo per un vaticinio straordinario.
ASSOLUTAMENTE Sì SONO D'ACCORDO: ERA COSì ME L'HA FATTO CAMBIARE FOLGORINA MA A ME NON SEMBRAVA GIUSTO

Supergrazie non pensavo mai che potesse incontrare i tuoi gusti.

CITAZIONE (mandar @ 9/1/2013, 19:35) 
Avevano deciso da tempo che non ne avrebbero avuti mai. Lo sapevano bene loro che l’arrivo di un neonato significava che qualcun'altro qualcun altro doveva andarsene - nel senso di tirare le cuoia - per fare posto al nuovo venuto.

Bestia ma bestia ma bestia ma bestia che sono :-((((((((((((((( braccia rubate all'agricoltura (ma neanche tanto come dicevo oggi pomeriggio ero in giro per paglia:-)

CITAZIONE (emerson @ 9/1/2013, 18:46) 
Prendi questi suggerimenti per quello che valgono. Ognuno mette nello scrivere una musicalità diversa e le mie frasi, anche se vogliono essere esplicative, potrebbero non adattarsi. Non so spiegarmi meglio.

"Su questa fortuna, le altre, sia Helga che Frida erano d’accordo."

(personalmente metterei: che questo rappresentasse per lei una fortuna tutti erano d'accordo.)

"come l’ordine perfetto del negozio non riusciva a eliminare la paura che qualcosa comunque potesse essere fuori posto."

(come l’ordine perfetto del negozio fosse più di una semplice mania. Un oggetto fuori posto poteva creare il panico nelle donne.)

Mi fai molto sorridere Emerson perchè questi interventi non piegano la lingua: piegano il significato a qualcosa che ti "torna" :-) eh eh
Allora abbiamo delle donne apparentemente equilibrate che non lo sono affatto, e l'ordine perfetto del negozio è una spia di questo disordine interiore. contrariamente a ciò che si potrebbe pensare un ordine maniacale è il tentativo vano di mettere ordine dentro se stessi. Quel qualche cosa fuori posto temuto non riguarda gli oggetti nel negozio ma qualcosa nella testa delle protagoniste... Protagoniste tanto sfasate appunto da ritenere collettivamente una fortuna aver perso marito e figli pur di non avere bambini tra i piedi, bambini che loro vedono come sciagure che portano morte...

Per questo motivo l'arrivo di una bambina è vissuto come una gravissima minaccia, e loro vogliono far finta di non vederla neppure la bambina, le negano perfino il diritto al suo nome nella speranza di nascondere il suo arrivo al controllo occhiuto della morte.... Solo che un ragno che penzola dalla luna è già in agguato ed ha ascoltato tutto... :-)))))))
 
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mandar
view post Posted on 9/1/2013, 23:33




CITAZIONE
Frida e la signora Meyer ancora non lo sapevano e quando lo avessero saputo (Io qui metterei avrebbero saputo) non avrebbero avuto il tempo di ricorrere al loro ospite astrologo per un vaticinio straordinario.
ASSOLUTAMENTE Sì SONO D'ACCORDO: ERA COSì ME L'HA FATTO CAMBIARE FOLGORINA MA A ME NON SEMBRAVA GIUSTO

aspè, sono diverse: quando lo avessero saputo è una temporale-ipotetica (vuol dire"quando e se mai lo sapranno") quando lo avrebbero saputo è "Futuro nel passato" (dai per certo che lo sapranno). Tu che vuoi dire?

Futuro nel passato appunto come avevo inutilmente cercato di spiegare a mia figlia :-)

Edited by folgorata - 10/1/2013, 09:18
 
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Goldrose
view post Posted on 10/1/2013, 01:44




Ecco finalmente la piccola Appletree. Si fa decisamente un passo indietro e mi piace. Di seguito, però, ti ho messo in blu ciò che io scriverei in modo un pochino diverso.
:-)

Capitolo 1

Parlano i lupi correndo sulla brughiera, coprendone lo spazio che pare infinito. Ululano chiedendo “perché???”. La domanda risuona nel vento, tra nubi fosche che si susseguono mangiandosi l'un l'altra. Un aquilone nero non sarebbe nulla di strano in un cielo del genere e nulla di strano vi sarebbe se una bimba vestita di nero vi corresse sotto trattenendone il filo. Il vestitino si gonfia sotto la vita per poi svuotarsi aderendo al corpo magro ma le guance sono rosate come mele settembrine. Che cosa ci stesse a fare Appletree sotto quel cielo carico non era affatto chiaro tanto più lì, dove non c’erano case, tetti ne comignoli. O meglio non sarebbe stato affatto chiaro se nessuno fosse stato al corrente riguardo ciò che era accaduto in Applestrasse non più tardi di tre mesi prima.
In agosto, infatti, nel negozio Spezie&Delizie, Helga e le sue due amiche Frida e Meyer discutevano sul fatto di essere ben felici di non avere né marito, né figli. E non avevano affatto intenzione di averne nè ora né mai. Lo sapevano bene loro che l’arrivo di un neonato significava che qualcun'altro doveva tirare le cuoia per fare posto al nuovo venuto. La più convinta, sulla questione, era Helga la proprietaria alta e corpulenta di Spezie&Delizie. Una bottega di gran successo che le aveva consentito di acquistare l’intero edificio. Erano anni che Helga viveva nella grande casa sopra il negozio dall’aria innocua che a ben guardare però era molto più di questo.
Quarant’anni anni e capelli biondi raccolti in un alto chignon a forma di torre che era utile ai numerosi clienti della spezieria per individuarla nei momenti di ressa.
Frida, invece, era la commessa della rivendita di calzature sita sempre in Applestrasse, non lontano dalla spezieria. A differenza dell’amica Frida era ossuta e aveva capelli ricci e scuri. Camminava un po’ curva in avanti, abitudine forse acquisita a forza di restare china per infilare le scarpe ai clienti. I suoi occhi piccoli e vispi erano assai attenti ai particolari tanto che aveva notato che ogni qualvolta il proprietario del negozio faceva un ordinativo di calzature per bambini, accompagnava l’ordine con la resa di una partita di scarpe per adulti. Era accaduto solo la settimana precedente e Frida, com’era ovvio, era corsa dalle amiche a raccontare l’accaduto. In verità, approfittava di ogni momento libero per correre alla spezieria.
Infine, tra le amiche di Helga, c’era la signora Meyer, la vedova che viveva in fondo alla via. Era una donna già avanti con gli anni.Portava un casco gonfio di capelli bianchi sulla testa e camminava appoggiandosi a un bastone. Ciononostante faceva presenza fissa nel negozio Spezie&Delizie ed era capace di restare in piedi ore e ore. A differenza delle altre due donne sembrava che un marito lo avesse avuto e perfino una breve gravidanza seguita dalla perdita del bambino non ancora nato. Nulla però sembrava poter convincere gli abitanti di Applestrasse che la doppia perdita risultasse essere per la donna una sventura. Su questa fortuna, le altre, sia Helga che Frida erano d’accordo. Le tre amiche avevano infatti in comune ben più del gran numero di passate disgrazie. Anche Helga era sola. L’unico parente vivente era un fratello che viveva in America e, avendo avuto il buon gusto di fare fortuna, aveva potuto inviarle il denaro necessario per aprire la spezieria. Helga, Frida e la signora Meyer avevano finito così per trovarsi d’accordo su molte cose in fatto di vita, di morte e consimili. Non si vergognavano affatto, per esempio, di badare a non rovesciare il sale e di non incrociare gatti neri; temevano il passaggio dei carri funebri vuoti e interrogavano, piene di trepidazione, le carte su una serie infinita di disgrazie che sarebbero sempre potute accadere. Dietro il bancone del negozio spiccava una scritta a chiare lettere gotiche “Non sono gradite le sorprese, meno ancora le improvvisate e non si danno merci a credito”. Avevano frequentato i migliori maghi di Schnorr e dell’intera Baden-Württemberg e a loro volta avevano appreso “i segreti del mestiere”. Helga leggeva il tea con le sue amiche, Frida e Meyer, e aveva perfino accettato un ospite pagante come il signor Applewhite, un astrologo ma solo perchè si potevano rivolgere a lui nelle emergenze. I più istruisti le paragonovano alle tre streghe del Macbeth mentre, i più acuti tra i frequentatori di Spezie&Delizie, erano convinti che l’ordine perfetto del negozio non era poi così perfetto e che qualcosa comunque potesse essere fuori posto.
Quel giorno di fine agosto, insomma, Helga, Frida e la signora Meyer erano presissime nella lettura dei tarocchi le cui previsioni tuttavia si ostinavano a smentire i fatti riferiti da una cliente. Nel negozio di tisane ed erbe era tutto un via vai di gente che cercava di sfuggire alla malasorte. La coda di persone in attesa di un consulto si allungava. Tra gli alti scaffali di legno scuro c’era gran ressa.
Le tre signore erano così indaffarate che nessuna vide la lunga barba bianca che penzolava tra una colonnina e l’altra del ballatoio, come una matassa di cotone idrofilo appuntita. E non si accorsero neppure del naso adunco e arrossato che sporgeva poco sopra la barba e spuntava dalla ringhiera dietro cui il signor Applewhite si teneva riparato. Se lo avessero visto, di certo gli avrebbero chiesto di scendere a risolvere la questione con la cliente in difficoltà. Ma di convocarlo andandolo a chiamare in camera, non se ne parlava. Non lo avrebbero mai fatto. Accadeva solamente in casi eccezionali come quelli di clienti veramente delusi che minacciavano di rivolgersi a esperti più qualificati. Quel giorno, in effetti, si sarebbe presentato un caso davvero insolito ma Helga, Frida e la signora Meyer ancora non lo sapevano e quando lo avessero saputo non avrebbero avuto il tempo di ricorrere al loro ospite astrologo per un vaticinio straordinario.
Il tintinnio dei campanelli sulla porta a vetri annunciò l’ennesimo ingresso. Un berretto rigido blu e oro fece capolino nel locale affollato. Era il postino e indossava la borsa a tracolla delle consegne. Si fece largo a forza di borsate. Avvistato il pinnacolo giallo dei capelli di Helga, si sporse in quella direzione: «Signora Helga, un telegramma.»
“Telegramma” come una parola magica ridusse tutti al silenzio. Helga era in piedi dietro l’alto trespolo a tre piedi per consulti veloci. Rabbonì la cliente con lo sguardo, inforcò gli occhiali e con le unghie laccate afferrò il telegramma. Lo aprì senza fretta e il viso prese impercettibilmente a muoversi da destra a sinistra, e viceversa, cambiando colore. Quando Helga sollevò lo sguardo dal rettangolo giallino era paonazza fino sulle orecchie.
«Una bambina!» articolò infine e il timbro era tanto alterato da far pensare che qualcuno la stesse strozzando.
Frida, la pavida, si ritrasse spaventata portando le mani alla faccia e arretrando.
«Oh povera Helga!» disse la signora Meyer passando la mano sulla grande schiena dell’amica mentre allungava lo sguardo verso il telegramma.
Helga dal canto suo aveva fatto presto a riprendersi. Tirò la bocca in una smorfia dura: «Ovviamente ogni generosità presenta il conto prima o poi. - E aggiunse a fior di labbra - Sembra dopotutto che un'altra disgraziata verrà ad abitare in Applestrasse.» Poi girò il viso intorno e raddrizzò il busto come si fosse resa conto solo in quel momento della presenza dei clienti. Si schiarì la gola e lesse ad alta voce. «Cara Helga, ha sette anni e non ha alcun parente che possa occuparsi di lei. Me ne sono assunto la tutela. Ti chiedo di accudirla come a suo tempo facesti con me. Ti telefono per spiegazioni. Arriva all’aeroporto di Friburgo con un volo proveniente da Newark alle 18 del 3 agosto.»
«Ma è adesso!», il grido di Frida interruppe la lettura.
La faccia di Helga accennò un sorriso ma gli occhi dilatati fissarono la cliente insoddisfatta: «Mi deve scusare signora: un’emergenza. È anche meglio: nel prossimo consulto la situazione di suo nipote Fritz si sarà chiarita. Vedrà.»
«Come mai ti ha avvertito tanto all’ultimo, cara Helga?» chiese la signora Mayer.
«Che domande signora Meyer», borbottò Helga le cui braccia si erano aperte come grandi ali e sospingevano la gente all’esterno. «Sapeva benissimo che avvertendomi per tempo la mia artrosi all’anca si sarebbe aggravata all’improvviso con ricovero in ospedale e innesto di una protesi.»
«Ma adesso cosa ci succederà?» balbettò Frida chiudendo la porta dietro l’ultimo cliente.
«Oh cosa vuoi che succeda? - Rispose la voce soffocata di Helga tutta presa a infilare il cappotto – A tirare le cuoia sarà la vecchia Scolnits del numero 16.» La veccha Scolnits era un’immigrata polacca che, vivendo praticamente di solo yogurt, aveva raggiunto i 102 anni.
«Speriamo che basti… - tremò la voce della signora Meyer - Di solito la morte colpisce più vicino… in famiglia. Vero cara? Nella famiglia dei nuovi bambini intendo…»
«Oh non creda di potersi considerare fuori da ogni rischio signora Meyer. Scommettiamo che chiamerà zie anche voi due?»
«Glielo vieteremo», sentenziò Frida.
«Sarà la prima cosa da chiarire a questa signorina. Prometti che lo farai Helga», squittì la signora Meyer e la risposta si levò attenuata dalla sciarpa che già avvolgeva la faccia di Helga: «Già mi viene mal di testa. Chissà quante domande mi farà.» Il tono con cui pronunciò quelle parole era lugubre. Prima di aprire la porta e andarsene, si fermò sullo zerbino borbottando: «Ma non resterò ad aspettare che mi crolli il tetto sulla testa». Estrasse dalla tasca il mazzo di chiavi con cui intendeva richiudere e fermò la mano a mezz’aria. «Il bisogno aguzza l’ingegno e benedetto sia il pastore. Avete presente il passo di domenica scorsa, quello in cui l’uomo diviene padrone del creato? Bene faremo così: non la chiameremo con il suo nome.»
«Giusto! - Trillò la signora Meyer - Trarremo in inganno la morte, non saprà che la bambina si trova qui.»
«E che nome le daremo?», chiese spaesata Frida ed Helga rispose:
«Non so. Ci vuole un nome vuoto, un nome che si confonda con altri… Che non stimoli domande.»
«”Trasparente”!», azzardò Frida.
«”Non c’è”», tirò asciutta la signora Meyer.
«Ma no…», disse Helga spazientita. Erano già tutte e tre con i piedi sulla strada e stava per girare le chiavi nella toppa quando si fermò. «“Appletree”! Un piccolo albero prolifico, tanto simile al soprannome che qua hanno dato al nostro ospite… al signor Applewhite per via della barba bianca. E non creerà domande imbarazzanti.»
«Giusto - assentì la signora Meyer – Ce l’avevamo proprio sotto il naso.» E nemmeno lei si avvide della ragnatela sospetta tesa a metà tra la luna e un comignolo. Né notò il grosso ragno peloso che pareva ghermire l'insegna Spezie&delizie.
 
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queenlina
view post Posted on 10/1/2013, 08:00




Edward Punch

Appletree e la spezieria della morte



Capitolo 1

Parlano i lupi sulla nella (ho visto che già te lo hanno segnalato anche le altre) brughiera, uno spazio infinito. Ululano chiedendo “perché???”. La domanda risuona nel vento, tra nubi fosche che si susseguono e si mangiano l'un l'altra. Un aquilone nero non sarebbe nulla di strano in un cielo del genere e nulla di strano vi sarebbe se una bimba vestita di nero corresse sotto trattenendone il filo. Un vestitino di quelli che si aprono a palla sotto la vita dalla vita in giù, si ammoscia sul corpo magro ma le guance sono rosate come mele settembrine. Che cosa ci stesse a fare Appletree sotto quel cielo carico non era affatto chiaro, tanto più che non si vedeva in giro nemmeno una casa, un tetto o un comignolo. O meglio, non sarebbe stato affatto chiaro se non si sapesse ciò che era accaduto in Applestrasse non più tardi di tre mesi prima.
In agosto, nel negozio Spezie&Delizie, Helga e le sue due amiche Frida e Meyer erano ben felici di non avere né marito, né figli. E non avevano affatto intenzione di averne. Avevano deciso da tempo che non ne avrebbero avuti mai. Lo sapevano bene loro che l’arrivo di un neonato significava che qualcun'altro qualcun altro (già segnalato anche da Mandar) doveva andarsene - nel senso di tirare le cuoia - per fare posto al nuovo venuto.
Helga era la proprietaria alta e corpulenta di Spezie&Delizie. Una bottega di gran successo che le aveva consentito di acquistare l’intero edificio. Erano anni che Helga viveva nella grande casa sopra il negozio dall’aria innocua, che a ben guardare però era molto più di questo.
Helga aveva 40 quaranta anni e i capelli biondi raccolti in un alto chignon a forma di torre che era utile ai numerosi clienti della spezieria per individuarla nei momenti di ressa.
Una delle sue due amiche, Frida, era la commessa della rivendita di calzature non lontano, lungo la medesima Applestrasse; era ossuta e aveva capelli ricci e scuri. Camminava un po’ curva in avanti, abitudine forse acquisita a forza di restare china per infilare le scarpe ai clienti. Aveva notato che ogni qualvolta il proprietario del negozio faceva un ordinativo di calzature per bambini, accompagnava l’ordine con la resa di una partita di scarpe per adulti. Frida approfittava di ogni momento libero per correre nella bottega di Helga.
Infine tra le amiche di Helga c’era la signora Meyer, la vedova che viveva in fondo alla via. Era una donna già avanti con gli anni, aveva un caschetto gonfio di capelli bianchi e camminava appoggiandosi a un bastone. Ciononostante faceva presenza fissa nel negozio Spezie&Delizie, ed era capace di restare in piedi ore e ore. A differenza delle altre due donne sembrava che un marito lo avesse avuto, e perfino una breve gravidanza seguita dalla perdita del bambino non ancora nato. Nulla però sembrava poter convincere gli abitanti di Applestrasse che la doppia perdita risultasse essere per la donna una sventura. Su questa fortuna, le altre, sia Helga che Frida erano d’accordo. Le tre amiche avevano infatti in comune ben più del gran numero di passate disgrazie. Anche Helga era sola. L’unico parente vivente era un fratello in America il quale oltre che di restare lontano, aveva avuto il buon gusto di fare fortuna e di inviarle il denaro necessario per aprire la spezieria. Helga, Frida e la signora Meyer avevano finito così per trovarsi d’accordo su molte cose in fatto di vita, di morte e consimili. Non si vergognavano affatto per esempio di badare a non rovesciare il sale e di non incrociare gatti neri; temevano il passaggio dei carri funebri vuoti e interrogavano piene di trepidazione le carte su una serie infinita di disgrazie che sarebbero sempre potute accadere. Dietro il bancone del negozio spiccava una scritta a chiare lettere gotiche “Non sono gradite le sorprese, meno ancora le improvvisate e non si danno merci a credito”. Avevano frequentato i migliori maghi di Schnorr e dell’intera Baden-Württemberg e a loro volta avevano appreso “i segreti del mestiere”. Helga leggeva il té con le sue amiche, Frida e Meyer, e aveva perfino accettato un ospite pagante come il signor Applewhite, un astrologo cui le tre si rivolgevano nelle emergenze. Qualcuno di istruito le avrebbe paragonate alle tre streghe del Macbeth mentre i più acuti tra i frequentatori di Spezie&Delizie potevano notare come l’ordine perfetto del negozio non riusciva a eliminare la paura che qualcosa comunque potesse essere fuori posto.
Quel giorno di fine agosto, Helga, Frida e la signora Meyer erano presissime nella lettura dei tarocchi le cui previsioni tuttavia si ostinavano a smentire i fatti riferiti da una cliente. Nel negozio di tisane ed erbe era tutto un via vai di gente che cercava di sfuggire alla malasorte. La coda di persone in attesa di un consulto si allungava. Tra gli alti scaffali di legno scuro c’era gran ressa.
Le tre signore erano così indaffarate che nessuna tra di loro alzava lo sguardo e aveva modo di scorgere la lunga barba bianca che penzolava appesa tra una colonnina e l’altra del ballatoio. Era come una matassa di cotone idrofilo appuntita. Helga, Frida e la signora Meyer non si accorsero neppure del naso adunco e arrossato che sporgeva poco sopra la barba e spuntava dalla ringhiera dietro cui il signor Applewhite si teneva riparato. Se lo avessero visto, di certo gli avrebbero chiesto di scendere a risolvere la questione con la cliente in difficoltà. Ma di convocarlo andandolo a chiamare in camera, non se ne parlava. Non lo avrebbero mai fatto. Accadeva solamente in casi eccezionali, come quelli di con clienti veramente delusi che minacciassero di rivolgersi a esperti più qualificati. Quel giorno in effetti si sarebbe presentato un caso straordinario davvero, ma Helga, Frida e la signora Meyer ancora non lo sapevano e quando lo avessero saputo non avrebbero avuto il tempo di ricorrere al loro ospite astrologo per un vaticinio straordinario.
Il tintinnio dei campanelli sulla porta a vetri annunciò difatti un ennesimo ingresso. Un berretto rigido blu e oro fece capolino nel locale affollato. Era il postino e indossava la borsa a tracolla delle consegne a tracolla. Si fece largo chiedendo permesso a forza di borsate. Avvistato il pinnacolo giallo dei capelli di Helga, si sporse in quella direzione: (qui c'è un cambio di punto di vista mentre nella frase successiva torni al precedente, insomma eri con le amiche, qui sei negli occhi del postino) «Signora Helga, un telegramma.»
“Telegramma” come una parola magica ridusse tutti al silenzio. Helga era in piedi dietro l’alto trespolo a tre piedi per consulti veloci. Rabbonì la cliente con lo sguardo, inforcò gli occhiali e con le unghie laccate afferrò il telegramma. Lo aprì senza fretta e il viso prese impercettibilmente a muoversi da destra a sinistra, e viceversa, cambiando colore. Quando Helga sollevò lo sguardo dal rettangolo giallino era paonazza fino sulle orecchie.
«Una bambina!» articolò infine e il timbro era tanto alterato da far pensare che qualcuno la stesse strozzando.
Frida la pavida si ritrasse spaventata portando le mani alla faccia e arretrando.
«Oh povera Helga!» disse la signora Meyer passando la mano sulla grande schiena dell’amica, intanto protese il viso e lo sguardo verso il telegramma.
Helga dal canto suo aveva fatto presto a riprendersi. Tirò la bocca in una smorfia dura: «Ovviamente ogni generosità presenta il conto prima o poi. - E aggiunse a fior di labbra - Sembra dopotutto che un'altra disgraziata verrà ad abitare in Applestrasse.» Poi girò il viso intorno e raddrizzò il busto come si fosse resa conto solo in quel momento della presenza dei clienti. Si schiarì la gola e lesse ad alta voce. «Cara Helga, ha sette anni e non ha alcun parente che possa occuparsi di lei. Me ne sono assunto la tutela. Ti chiedo di accudirla come a suo tempo facesti con me. Ti telefono per spiegazioni. Arriva all’aeroporto di Friburgo con un volo proveniente da Newark alle 18 del 3 agosto.»
«Ma è adesso!», il grido di Frida interruppe la lettura.
La faccia di Helga accennò un sorriso ma gli occhi dilatati fissarono la cliente insoddisfatta: «Mi deve scusare signora: un’emergenza. È anche meglio: nel prossimo consulto la situazione di suo nipote Fritz si sarà chiarita. Vedrà.»
«Come mai ti ha avvertito tanto così all’ultimo, cara Helga?» chiese la signora Mayer.
«Che domande signora Meyer», borbottò Helga le cui braccia si erano aperte come grandi ali e sospingevano la gente all’esterno. «Sapeva benissimo che avvertendomi per tempo la mia artrosi all’anca si sarebbe aggravata all’improvviso, con ricovero in ospedale e innesto di una protesi.»
«Ma adesso cosa ci succederà?» balbettò Frida chiudendo la porta dietro l’ultimo cliente.
«Oh cosa vuoi che succeda? - Rispose la voce soffocata di Helga tutta presa a infilare il cappotto – A tirare le cuoia sarà la vecchia Scolnits del numero 16.» La vecchia Scolnits era un’immigrata polacca che vivendo praticamente di solo yogurt aveva raggiunto i 102 centodue anni.
«Speriamo che basti… - tremò la voce della signora Meyer - Di solito la morte colpisce più vicino… in famiglia. Vero cara? Nella famiglia dei nuovi bambini intendo…»
«Oh non creda di potersi considerare fuori da ogni rischio signora Meyer. Scommettiamo che chiamerà zie anche voi due?»
«Glielo vieteremo», sentenziò Frida.
«Sarà la prima cosa da chiarire a questa signorina. Prometti che lo farai Helga», squittì la signora Meyer e la risposta si levò attenuata dalla sciarpa che già avvolgeva la faccia di Helga: «Già mi viene mal di testa. Chissà quante domande mi farà.» Il tono era lugubre e Helga, prima di aprire la porta e andarsene, si fermò sullo zerbino borbottando: «Ma non resterò ad aspettare che mi crolli il tetto sulla testa». Estrasse di tasca il mazzo di chiavi con cui intendeva richiudere e fermò la mano a mezz’aria. «Il bisogno aguzza l’ingegno e benedetto sia il pastore. Avete presente il passo di domenica scorsa, quello in cui l’uomo diviene padrone del creato? Bene, faremo così: non la chiameremo con il suo nome.»
«Giusto! - Trillò la signora Meyer - Trarremo in inganno la morte, non saprà che la bambina si trova qui.»
«E che nome le daremo?», chiese spaesata Frida ed e Helga rispose:
«Non so. Ci vuole un nome vuoto, un nome che si confonda con altri… Che non faccia fare domande.»
«”Trasparente”!», azzardò Frida.
«”Non c’è”», contropropose asciutta la signora Meyer.
«Ma no…», disse Helga spazientita. Erano già tutte e tre con i piedi sulla in strada e stava per girare le chiavi nella toppa quando si fermò. «“Appletree”! Un piccolo albero prolifico, tanto simile al soprannome che qua hanno dato al nostro ospite… al signor Applewhite per via della barba bianca. E non creerà domande imbarazzanti.»
«Giusto - assentì la signora Meyer – Ce l’avevamo proprio sotto il naso.» E nemmeno lei si avvide della ragnatela sospetta tesa a metà tra la luna e un comignolo. Né notò il grosso ragno peloso che pareva ghermire l'insegna Spezie&delizie.



Bello, mi piace! Nemmeno farei così tanti cambiamenti nella scrittura come proposto da Goldrose, perché ognuno ha il suo stile e il suo modo di scrivere. A me infatti sembra scritto molto bene, facendo qualche piccola correzione, com'è logico che sia :D
 
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folgorata
view post Posted on 10/1/2013, 09:31




Ci sono più di un paio di suggerimenti di Gold che pur non avendo adottato nelle soluzioni mi hanno sensibilizzato su problemi nelle frasi e sono interventua. Gli interventi di luidificazione invece attengono allo stile ed entra in gioco come previsto moltissimo il filtro della voce narrante e del pubblico di destinazione. La scrittura di Gold dà al tutto un andamento più piano, meno scattoso, più da favola per bambini.

Ringrazio tantissimo Lina le cui correzioni ho preso in toto come oro colato, tranne un paio di casi. Rispetto ai quali le segnalo che il pov è quello del Signor Applewhite che assiste alla scena dalla balaustra :-)

Ringrazio di cuore Mandar e Gaia di cui ho adottato tutte le soluzioni tranne la frase sull'ordine che ha reso perplesse diverse persone..

Sarebbe la cosa più "esperta" del capitolo, la frase sul disordine che rientra in stilemi ben precisi della scrittura anglosassone derivata da Wilde, proprio risulta indigeribile ad alcuni più nel significato che nella forma :-)
Essa contraddice un adagio piano, un'aspettettava, insomma, qualcosa che ci si aspetta vada in un certo modo... e molte correzioni tendono a repristinare quall'ovvio. Facendo le debite proporzioni è come se un editor leggendo L'importanza di chiamarsi Ernesto si correggesse come illogica la frase con cui il protagonista afferma: "Ogni donna diventa come sua madre. Questa è la sua tragedia. Nessun uomo diventa come sua madre. Questa è la sua tragedia." :-))))

Edited by folgorata - 10/1/2013, 10:16
 
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mandar
view post Posted on 10/1/2013, 10:13




a me dispiace se semplifichi.
detto ciò, taccio.
 
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183 replies since 9/1/2013, 15:55   1593 views
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