Frida, Helga e la Signora Meyer
K.B. Wingard
Mary Mapple e la spezieria della morte
Parlano i lupi nella brughiera, uno spazio infinito. L’ululato risuona nel vento, tra nubi fosche. Un aquilone nero non sarebbe strano in un cielo del genere e nulla di strano ci sarebbe se una bimba pallida e vestita di nero corresse sotto e ne tirasse il filo.
Cosa ci stesse a fare Mapple sotto quel cielo carico non era facile a comprendersi. Non si vedeva in giro nemmeno una casa, un tetto o un comignolo. O meglio, non sarebbe stato affatto facile a comprendersi senza i ben noti fatti di sei mesi, avvenuti per la precisione in Applestrasse, a Shnorr, nella Foresta Nera.1. Una sciagura immancabile
In Apfelstrasse le tre socie della bottega Spezie&Delizie avevano il sacro terrore di cose intangibili tipo spettri, fate e fantasmi. La signora Helga Howl, il capo, era una donna alta e grassoccia. Aveva una piramide di capelli gialli e unghie laccate color sangue. Rachel Mayer era bassa e curva, con un caschetto di capelli bianchi. Gli occhi erano molto sporgenti e sempre pronti a spiare le persone di nascosto. Frida Keller era alta, ossuta e tremante.
Nessuna aveva mai avuto figli.
Di marmocchi, non ne avevano messi al mondo e non avrebbero mai voluto frequentarne. Li disapprovavano tutti a esclusione dell’assaggiatrice della televisione: una ragazzina con la faccia rossa e il potere di decretare la confetteria migliore dell’anno. Per le tre socie era la bambina più bella del mondo. Era piuttosto grassa per via di tutti quei dolciumi ma non importava. Un tesoro! Completamente diversa, insomma, da un essere infelice come la neonata adottata sei anni prima da Archibald, il fratello di Helga.
Trovata in un cassonetto! Si poteva essere nati sotto una stella peggiore? Lo aveva rivelato anni prima una telefonata giunta dall’America e fino a quel giorno sei anni dopo le tre signore erano riuscite a scampare alla sola idea di toccare l’argomento. Non avrebbe potuto esserci angoscia più tremenda. Ne erano sempre state certe, quella bambina avrebbe procurato al caro Archibald la peggiore delle sciagure. L’unica fortuna era la lontananza. Il fratello di Helga abitava oltre Oceano perciò loro non avrebbero mai avuto nulla a che fare con la bambina.
Del resto, lo sapevano tutti, i bambini portavano guai. Quando arrivavano c’era sempre un adulto destinato a mangiare l’insalata dalla parte delle radici. Insomma i mocciosi attiravano “l’abominevole”. E in fatto di cose intangibili nulla era più spaventoso dell’“abominevole”. Attirare “l’abominevole” sul povero Archibald era il minimo, con una bambina tanto sfortunata da nascere nella spazzatura!
E infatti puntualmente quel mattino di aprile in cui tutto ebbe inizio le tre socie avevano appena saputo della disgrazia. La notizia della tragedia era strisciata all’interno della bottega Spezie&Delizie con la posta dell’alba, sottile e spaventosa come un telegramma. Lo aveva portato Dirk Martin con la sua divisa blu elettrico e cappello rigido. Lo aveva consegnato ad Helga con la solennità degna appunto di un funerale.
Il telegramma era assai breve. Archibald, il fratello di Helga, nel sistemare l’insegna del suo emporio a Howell era caduto dalla scala e si era sfracellato a terra. Così Helga, Frida e la signora Meyer si erano rintanate attorno al tavolino della bottega.
«È accaduto! Come avevo previsto!» ruggì Helga con in mano il telegramma per farsi vento. Affilò lo sguardo e fece rullare sul tavolo gli artigli rossi della mano libera. Nessuno osò parlare e lei continuò: «Vi ricordate? “Fa così pena!” disse Archibald quando telefonò dall’America sei anni fa. “Una bambina strappata alla morte, pensate” queste sono state le sue parole! “Trovata appena nata in un cassonetto della spazzatura! L’ho adottata. Fa così pena!”» Helga fece scricchiolare i denti. «Pena!»
Le tre donne scossero la testa, Helga ne faceva molta, molta di più.
Frida ondeggiò in punta di piedi verso il fondo della bottega dove una scala di legno saliva al ballatoio. Le era sembrato di aver intravisto il cappello a punta del vecchio Appleby oltre la balaustra ma non ne era sicura. Barcollò: magari si era già svegliato. Lo volesse il Cielo! Helga aveva un bisogno disperato di un vaticinio favorevole! E Appleby era uno scaccia-spiriti in un certo senso. Solo lui forse poteva inventarsi qualcosa per dissipare l’ala nera della morte. La tragedia aveva fatto calare la sventura sull’intera bottega.
«La situazione è grave. Povero Archibald! Gli avevamo detto di non prendere la bambina» si sbracciò Frida appena vide la lunga vestaglia blu incedere giù per la scala.
Morgan Appleby seguì la socia giovane di Spezie&Delizie verso il tavolino della bottega. Emise un lungo sospiro e per poco gli occhialetti non gli scivolarono giù da dal naso. Frida piangeva come se fosse in fuga da un fantasma e continuava a parlare di una bambina. Scrollò la testa. Raramente la socia giovane coglieva il punto della questione.
«Povero Archibald e povera Helga!,» mormorò Appleby quando ebbe raggiunto le tre donne e chinò il cappello a punta verso quella con i capelli biondi e il vestito rosso fuoco:
«Signora Howl è un triste giorno questo. Ha tutto il mio affetto, cara.»
Helga Howl emise un sospiro simile a un ruggito e fece balenare un lampo negli occhi socchiusi: «Non ho bisogna di compassione. Sono furiosa con mio fratello! E ben gli sta. Non è un caso se io, Frida e Rachel siamo tanto felici di non avere figli, né ci è mai passato per la testa di averne!»
«Scusi?» Morgan Appleby sbirciò le facce delle altre due signore sedute al tavolo.
Anche Frida faceva di sì con la testa riccia color topo:
«Lo sanno tutti. L’arrivo di un neonato significa che qualche adulto deve andarsene. Altrimenti sulla terra non ci sarebbe posto per tutti!»
«Conosciamo le conseguenze di avere intorno un bambino,» Rachel Meyer, in verde evidenziatore, aveva espresso la sua opinione e l’aveva conclusa con un “uhuu” basso simile al verso di un gufo.
Appleby ebbe una stretta al cuore e si accarezzò la barba per tutta la lunghezza.
«I bambini non fanno alcun male e, Helga, lei deve essere davvero scossa per fare questi discorsi.» Il pensiero di tanta ingiustizia gli calpestò il cuore. Per giunta anche le altre erano d’accordo. E accavallavano le voci per spiegare.
L’innominabile abominevole andava evitata, mai nominata e meno che mai sfidata come invece facevano i clienti. Inveivano contro il destino per essere stati separati dai cari defunti. E così, incauti, si lasciavano andare ai rimpianti e alle lamentele, attiravano l’ “abominevole” - così chiamavano la morte - come ape al miele. Per allontanarla invece si dovevano dimenticare gli estinti, bisognava vestire colori allegri e sopratutto bisognava evitare di mettere al mondo dei figli. Ormai lo ripetevano da un buon quarto d’ora.
Appleby si accomodò sulla sedia e si schiarì la voce:
«Guardando un po’ oltre… la punta delle proprie scarpe, si potrebbe avere un’idea meno ristretta in fatto di vita e di morte…»
«Non dica quella parola» gufò la signora Meyer e si arruffò il caschetto di capelli bianchi. «È inutile sfidare l’innominabile, alla fin fine l’ha sempre vinta. Meglio non stuzzicarla, mi creda.»
E Frida si strinse addosso il golfino azzurro: «Mi meraviglio. Dovrebbe avere più tatto Herr Appleby.»
«Che tatto e tatto… - ringhiò Helga - è questione di non attirarci addosso più iella di quanta già non ce ne sia in giro,» concluse con gli occhi fissi al telegramma.
«Su, Helga, concentrati sull’eredità cara,» la signora Meyer orientò gli occhi a palla verso Appleby con aria minacciosa.
La sorella di Archibald si avventò a muso duro contro la socia anziana e diede l’impressione di volersela mangiare:
«Non c’è nessuna eredità. Archibald era sull’orlo del fallimento. Hanno preso tutto le banche,» sibilò tra i denti.
Appleby aggrottò i sopracciglioni canuti:
«Non vi chiedete piuttosto perché accadano cose del genere? Perché soffrano anche le persone più innocenti?»
«Stiamo con i piedi ben piantati per terra, Herr Appleby… tra mezz’ora arriveranno i clienti. Sbrighiamoci! - Helga puntò gli occhi sul registratore di cassa - Cerchiamo di essere concreti e materiali insomma. Per esempio chiediamoci come mio fratello abbia potuto adottare una bambina trovata in un cassonetto, il 2 novembre! Il giorno dei morti!» sbraitò e batté un pugno sul tavolo.
«E per di più avvolta in una carta da regalo con su la faccia del Babbo Natale della Coca Cola,» aggiunse Frida con voce lugubre.
«E questo cosa c’entra?» minacciò Helga Howl dilatando le narici.
La signora Meyer setacciò con gli occhi sporgenti l’intero busto di Frida:
«Una sciocchezza delle tue, Frida. Non si vede come potrebbero aggravare la situazione una carta da regalo, il Natale e la Coca Cola!»
«Beh, riguardano i bambini, no?» uscì da sotto i ricci color topo la vocina di Frida.
Rachel Meyer si arrese contro lo schienale della sedia e rispose a denti stretti: «No, cara.»
«Su, su. - Disse Appleby carezzevole - Magari quel Babbo Natale della carta regalo era uno spirito buono in grado di proteggere la bambina e scongiurare cose luttuose!»
Helga soffiò aria feroce dalle narici:
«Si è visto! Come no! Ci mancano gli spettri adesso. Una vera fissazione questa degli spettri, Appleby!»
Appleby sollevò il dito indice: «Ho detto “spiriti” non “spettri”. E mi spiace per lei, signora Helga, ma il mondo è attraversato da spiriti pienamente attivi. Il mondo della leggenda e degli eroi…»
«Figurarsi!» La bocca di Helga era una riga sottile e violacea.
«Mmmm - Rachel Meyer afferrò il bastone da passeggio appoggiato al tavolo e lo batté due volte sul pavimento - non l’abbiamo convocata per questo, Appleby. Helga ha bisogno di un consulto, confortante possibilmente.»
«È presto detto, Frau Helga, - i baffi gli tremarono per trattenere il sorriso. - Il suo negozio diventerà presto famoso in tutto il mondo.»
«Dice davvero? - le palpebre inferiori Helga Howl si sollevarono in segno di sfida. - Non mi sta prendendo in giro?»
«Non mi permetterei mai. E poi non sono io a dirlo ma le stelle…» e indicò le travi del soffitto.
Frida lo interruppe: «E io, allora?»
«Le stelle sono cieche in proposito,» ammise Appleby con un gesto a due dita come per benedirla.
«Ecco. Lei per me non prevede mai grandi eventi. Nemmeno tragedie o malattie come fa per gli altri!»
Il professor Morgan Appleby protese la faccia. Non era facile trovare una logica nel discorso della socia giovane. Ma rinunciò subito, un brontolio allo stomaco reclamava una dose mattutina di cioccolata, panna e perle di toffies. Del resto avere una stanza al terzo piano sopra Spezie & Delizie, aveva i suoi vantaggi.
Le tre socie osservarono Appleby tentennare in direzione delle scale per tornare in camera: la barba enormemente lunga e bianca, i baffi spioventi, la vestaglia blu e il cappello foderato di pelo in tinta con la vestaglia. Sembrava lo spettro di un mago piombato dal mondo delle fate e dei fantasmi apposta per terrorizzarle. Helga si eresse e marciò verso la porta a vetri. Quand’ebbe voltato il cartello su “aperto” lampeggiò con gli occhi in direzione di Frida e Meyer e fece loro segno di seguirla. Spalancò l’uscio, e una volta all’esterno, si voltò verso la vetrina come dovesse studiarne l’allestimento. Ma trafisse il cristallo con gli occhi senza vedere alcunché.
«È sempre più irritante averlo intorno.» Disse tra i denti poi strinse le mani a pugno e se le portò davanti alla bocca.
Doveva controllarsi. Lei, Frida e la signora Meyer avevano frequentato i migliori maghi di Schnorr e dell’intera Baden-Württemberg. Poi si erano decise per Appleby. Era un astrologo appena arrivato dal Regno Unito e avrebbe chiamato su di loro la benevolenza delle stelle del tutto gratuitamente in cambio della stanza.
«Dio solo sa - tremò la voce di Frida - con tutte queste disgrazie se non abbiamo bisogno di sapere cosa ci aspetta.»
«Non dev’essere per forza lui. Di astrologhi ce ne sono tanti,» Rachel ritirò la testa com un tacchino.
Helga batté l’uno contro l’altro i pugni davanti alla bocca:
«Dobbiamo trovare un pretesto qualsiasi per sloggiarlo.»
Le altre annuirono ed Helga continuò a riflettere. Era un discorso fatto tante volte. Non si erano mai decise a dargli la disdetta solo perché era l’unico che in situazioni d’emergenza dava loro una speranza. Le emergenze scattavano in caso di cattivi presagi come quando la “Sentinella della Foresta Nera” dava oroscopi sfavorevoli, o come in questo della disgrazia di Archibald. Tuttavia quella fissazione di Appleby per il mondo degli spettri era insopportabile: tutto quello spingerle ad affrontare le paure, quei suoi racconti dell’orrore in cui fate ed eroi combattevano l’innominabile. Come se non bastassero i clienti a parlare continuamente di incolmabili perdite, estremo trapasso, eccetera.
Tra confetti, tisane e caramelle la gente si spingeva sul tema “caro defunto” e finiva per sospirare: Ah! Potessi riavere mio marito, il mio gatto, il mio cactus! Helga rabbrividì e continuò a rimuginare in silenzio davanti alla vetrina.
Tutte proprietà dell’innominabile abominevole, ormai. Meglio evitare di invocarne la restituzione. Era pericoloso solo pensarci, figurarsi dirlo ad alta voce.
«Parlare di spettri è la via sicura per attirare l’innominabile» finì per sbottare Helga. E per fortuna non guardò in su. Avrebbe visto Appleby alla finestra preso a masticarsi i baffi per non ridere.
Era nella sua camera al primo piano e aveva spiato tutta conversazione avvenuta in strada. Le angosce delle tre signore sembravano senza fine.
Ormai tutte le loro precauzioni non bastavano più. E la lista delle cose da evitare, scansare e rifuggire si allungava di giorno in giorno: rovesciare il sale, incrociare gatti neri; guardare carri funebri vuoti, parlare di cari estinti, avere a che fare con bambini …E ora all’elenco si aggiungeva: ospitare i filosofi con la mania degli spiriti. Del resto dietro il banco della bottega di Apfelstrasse spiccava una scritta “Non sono gradite le sorprese, meno ancora le improvvisate e non si danno merci a credito”. Appleby si allontanò dalla finestra e pulì col dito la tazza di cioccolato. Lo succhiò e cercò di cancellare l’eco delle voci delle tre socie ormai alle prese con i primi avventori.
Qualcuno di istruito le avrebbe paragonate alle tre megere del Macbeth ma un occhio acuto non si sarebbe fatto sfuggire la verità. Non vi era nulla di stregonesco in loro, anzi, nel negozio regnava l’ordine e la disciplina. Nulla era capace però di scacciare nelle tre donne la paura che qualcosa potesse essere fuori posto.
Helga Howl aveva quarant’anni. Teneva i capelli biondi raccolti in un alto chignon a forma di torre o piramide, utile ai numerosi clienti della spezieria per individuarla nei momenti di ressa. Helga era sola. L’unico parente vivente era stato il fratello Archibald.
La socia giovane Frida Keller, era ossuta e aveva quei capelli ricci color topo, il suo campo erano le erbe cosmetiche: oli di calendula, tinture madri di spirea per i brufoli, olio di lavanda contro le punture d’insetto. Camminava un po’ curva in avanti, abitudine acquisita a forza di restare china sulle clienti per impiastricciare loro la faccia. Frida abitava con la vecchia madre appena fuori paese. Appleby tese l’orecchio. Era proprio la voce di Frida quella e risaliva dalla bottega.
Sembrava tutta presa a discutere con la Meyer.
«Non c’è dubbio. È vera quella cosa dei bambini che fanno trapassare. Se hai notato, quando aumentano le richieste di lenitivi per la crosta lattea dei neonati calano le vendite di unguenti antiemorroidari per gli anziani.»
«Shsss. Non a voce alta, cara!» arrivò secco il rimbrotto della signora Meyer.
Appleby smise di leccare la tazza e fissò il vuoto poi si batte con l’indice sulla tempia.
Doveva essere “antiemorroidari” la cosa da dire piano. Ma non perché “antiemorroidari” facesse paura. Forse era perché curava il bruciore di parti basse e nascoste di cui la signora Meyer preferiva ignorare l’esistenza. Era una tipa eccentrica del resto e anche lei era molto sola. Era vedova e viveva in fondo alla via. Era già avanti con gli anni e ne andava molto fiera. Agitava il caschetto gonfio di capelli bianchi, come fosse una corona. E batteva il bastone a terra, come fosse uno scettro. Vi si appoggiava nel camminare e doveva essere davvero utile perché Rachel Meyer era capace di restare in piedi in negozio per ore e ore.
Il quel momento Appleby udì uno scampanellio provenire dalla porta della bottega, seguito a breve da un altro e un altro ancora. La notizia della dipartita di Archibald doveva essersi sparsa e la gente del paese avrebbe ingannato la mattinata ad assaggiare tisane e compiangere Helga. Meglio andarsi a fare una passeggiata, non sarebbe stato di nessuna utilità per quel giorno. Così si tolse la vestaglia blu e il cappello imbottito a punta, e indossò una vecchia redingote color tabacco con sei mantelline. Si calzò sulla testa la scodella di lana tweed e cercò di scivolare inosservato sul ballatoio. Come previsto tuttavia, continuava ad arrivare gente e il tintinnio dei campanelli sulla porta a vetri annunciò difatti un ennesimo ingresso. Appleby lanciò uno sguardo distratto oltre la balaustra e si immobilizzò.
Un berretto rigido blu e oro stava facendo capolino nel locale. Era ancora Dirk Martin, il postino, una seconda volta quel giorno, e indossava la borsa a tracolla delle consegne.
Il postino si fece largo, chiese permesso e menò borsate. Avvistato il pinnacolo giallo dei capelli di Helga, si sporse in quella direzione: «Signora Helga, una notifica.»
Helga era in fondo al negozio in piedi dietro l’alto trespolo della cassa e Frida si precipitò verso il postino a mani tese.
«Prego, dia a me. Lo consegno io.»
Per tutta risposta il giovane Dirk fece un passo indietro, serrò la borsa e ritirò la mano con la grande busta bianca.
«È mio dovere consegnarlo direttamente alla destinataria: Frau Helga Hawl, Apfelstrasse 40, Schnorr, Baden Wurtemberg, Foresta Nera.»
Non aveva terminato di parlare, Frida Keller si era voltata di scatto e gli aveva pestato un piede con gusto. Ciò tuttavia non impedì al postino di raggiungere Helga.
Questa inforcò gli occhiali e aprì il lembo incollato con una rasoiata dell’unghia rossa. Poi estrasse un fascicolo di fogli e il viso prese impercettibilmente a muoversi da destra a sinistra nel silenzio generale.
Quando Helga sollevò lo sguardo dai fogli era paonazza fino alle orecchie.
Frida si ritrasse e portò le mani alla faccia.
La signora Meyer si avvicinò e posò la mano sulla spalla dell’amica.
«Cosa accade? Helga!» chiese intanto si protese verso i fogli.
Alla fine Helga girò il viso intorno e raddrizzò il busto all’improvviso consapevole della presenza dei clienti. Si schiarì la gola e annunciò:
«Signori per oggi si chiude,» la voce vibrò distorta come se il collo fosse stretto da un cappio, quasi irriconoscibile. Appleby in un brivido studiò le braccia di Helga aprirsi come grandi ali e sospingere la gente all’esterno.
Appena la donna ebbe girato la chiave nella toppa per chiudere, nel negozio si levò il grido della signora Meyer:
«Helga!»
L’interpellata si voltò lentamente in direzione del caschetto bianco e lo trovò chino sulla missiva.
«È un provvedimento d’autorità! - stava dicendo Rachel - Ti affidano la bambina!»
Vai al capitolo 2Edited by Mollie Miles - 19/11/2014, 21:00