DOCkS della Bloody Roses Secret Society

Gli Ingranaggi dell'Oblio

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Berno
view post Posted on 23/1/2013, 16:47




Che odore di chiuso qui! E' davvero un anno che non ci viene più nessuno nella stanza dei thriller? Apriamo un po' le finestre...
Mi raccomando, per la lapidazione usate solo sassi grandi che quelli piccoli finiscono negli occhi e sono pericolosi


***


Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli
che credono in me, sarebbe meglio per lui
che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino,
e fosse gettato negli abissi del mare.
(Mt 18,6)




1


Il primo ricordo fu l’odore morbido del terriccio umido. Aroma di muschio e funghi che risaliva la corrente del mio respiro. Dicono che la memoria olfattiva sia legata alle nostre reminiscenze più ancestrali, forse è per questo che il secondo ricordo fu rendermi conto di essere ancora vivo.
Il viso era immerso in un cumulo di foglie secche, schegge di corteccia e frammenti di fuscelli, poggiato su terra bagnata dall’autunno. Il sapore di ciò che era passato tra le mie labbra lo confermò. Aiutandomi con gli incisivi cercai di pulire la lingua e sputai ciò che riuscivo a intrappolare nella mia saliva.
Il terzo ricordo fu l’armonia di improvvise folate che suonavano le fronde degli alberi. Non avvertivo alcun alito di vento sul mio corpo, forse perché lo stormire delle foglie doveva avvenire in un posto più vicino al cielo che a me. In quel momento, se avessi avuto un po’ di lucidità, avrei solo potuto supporre che gli alberi erano alti e numerosi.
Spalancai gli occhi che ero ancora riverso a terra. Mi si presentò il viscido microcosmo di un sottobosco appena scartato dalla mia bocca. La testa pulsava come se il cuore volesse farsi strada e sostituirsi al cervello nel suo abituale alloggio. Mi voltai rotolando su un fianco accorgendomi allo stesso tempo della presenza di un piccolo zaino sulla schiena. Cercai il cielo con lo sguardo e lo trovai: grigio e nascosto dietro centinaia di rami non ancora del tutto nudi.
Il dolore alla testa si fece più acuto. Portai una mano tra i capelli con la speranza di afferrarlo e strapparlo via ma, sopra la nuca, trovai solo una lunga ferita. Le mie mani erano fredde e pallide. La pelle bianca e pulita contrastava con le dita che, carezzando il profondo taglio, si erano macchiate di sangue raggrumato. Non ero poi così certo che fosse solo quel taglio a procurarmi tutto quel dolore.
Fu in quell’istante che mi avvolse una sensazione di pericolo e presto diventò quasi panico.
Fuggire. Dovevo fuggire! Il primo tentativo di alzarmi non ebbe successo e non fu affatto agevolato da un terreno in forte pendenza. La testa, rivolta in giù, accentuava il tambureggiare dei battiti nella scatola cranica. Il secondo tentativo fu anche peggio del primo. Mi bastò provare a far forza su braccio sinistro e ginocchio destro, per capire che le fitte provenivano da più punti diversi. La manovra per mettermi in piedi precipitò assieme al mio corpo lungo la scarpata. Franai su un letto di foglie cercando inutili appigli e aumentando con regolarità la velocità con la quale scivolavo. Di forze per opporre anche un minimo di resistenza non ce ne era traccia. Alla fine mi limitai ad osservare gli alberi che mi sfrecciavano accanto, come persone ad una stazione vista dal finestrino di un treno che non fa fermate.
Rami caduti, cespugli e rocce lacerarono il caban che indossavo e mi scipparono il poco voluminoso zaino.
Il quarto ricordo fu che esisteva il tempo e che questo aveva una sua unità di misura, ma la dimensione di quello che fu necessario per completare quella miracolosa discesa non mi era possibile stimarla.
L’ultimo tratto lo feci nel vuoto. Mi schiantai in una pozza di fango che sembrò persino calda e accogliente. Il vicino rumore di acqua corrente conciliò il mio deliquio.
Non so quant’altro tempo trascorse da quando persi la coscienza a quando la ritrovai. Le sensazioni di quei momenti convulsi si susseguono nella mia mente ancora adesso come una sorta di alternanza di frammenti confusi.
Ricordo che mi svegliai grazie a rade gocce d’acqua che cadevano sul mio viso. Dischiusi gli occhi, ma non vidi nulla. Nero. Il buio più scuro e il crescente picchiettare di acqua sul mio corpo. Il primo pensiero: ho perso la vista… il secondo pensiero: sono morto e questo è il mio inferno. All’inferno pioveva.
Nell’oscurità assoluta potevo tastare la fanghiglia in cui mi trovavo e sentire la pioggia, ormai scrosciante, drenata da quello che doveva essere un fitto bosco che mi circondava. Un lampo proiettò nella mia mente l’immagine inquietante di alberi che sembravano intimoriti dalla mia presenza. Almeno la vista non mi aveva abbandonato, mancava da capire se invece fossi morto.
Un tuono fragoroso riecheggiò per lunghi istanti. La pioggia si intensificò. Lampi intermittenti mi raccontarono che ero precipitato in un dirupo, che era notte fonda e un temporale allarmato per le mie condizioni si era preso la briga di svegliarmi. Brancolai, arrancando verso quella che sembrava una parete di roccia e il mio sforzo fu premiato con la scoperta di un angolo asciutto su cui poter riversare un po’ di umidità.
Le ossa, forse non del tutto intere, erano certamente bagnate. In quell’anfratto passai alcune ore di quella interminabile notte, nella speranza di arrivare all’alba e scoprirmi ancora vivo. Lampi e tuoni si susseguirono tanto da non riuscir più a capire cosa fosse causa e cosa effetto. L’avara ma intensa luce prodotta dai fulmini era una benedizione che spezzava la monotonia di tenebre che al contrario erano fin troppo generose. Il temporale se ne andò lasciandomi in compagnia del gocciolare delle piante. Poi arrivò un inatteso odore di bruciato. Vidi del chiarore e sperai si trattasse dell’alba. Ma era molto meglio di un’aurora immatura, si trattava di un albero che bruciava dopo esser stato colpito da un fulmine. La pioggia era cessata e tanto bastò per convincermi a strisciare fino al tronco in fiamme.
Il quinto ricordo fu la sensazione di benessere innescata da quel calore e il profondo senso di gratitudine nei confronti di quel fuoco crepitante. Mi sfiancai per togliermi il cappotto caban. Molto di più per sfilarmi il maglione. Alcuni rami spezzati mi aiutarono a stendere quei due indumenti e avvicinarli il più possibile all’albero incendiato. Tremavo mentre osservavo l’alone generato dal vapore. Era un buon segnale e quando questo si attenuò sparendo del tutto, decisi che era giunto il momento di consumare anche l’ultima energia rimasta nel mio corpo.
Togliersi gli scarponi, i pantaloni, la camicia e tutto il resto fu un’operazione talmente ardua da consumare le mie ultime forze residue. Misi tutto ad asciugare e rimasi coperto dal solo caban che mi fece da mantello.
Mentre mi spogliavo ero riuscito anche a constatare le condizioni del mio fisico. Le gambe avevano lividi ed ematomi, graffi ed escoriazioni, ma sembravano ancora intere. La caviglia destra era gonfia. Il torace era ricoperto da numerose tumefazioni. A giudicare dal dolore che provavo nel respirare, qualche costola doveva essersi incrinata o forse addirittura rotta. Le mani erano ricoperte da piccole lacerazioni provocate dagli inutili sforzi compiuti nel tentativo di aggrapparmi a qualcosa che potesse rallentare la caduta. Sulla testa una ferita gonfia e dolorante.
Avevo vissuto in maniera frenetica quegli eventi angoscianti e fu uno strano istinto di sopravvivenza che mi aiutò a trattenere nella mente i primi cinque eventi significativi di quella giornata. Non ho più memoria di quale fu la precisa sequenza temporale dei ricordi dopo il sesto, ma quello lo rammento bene.
Il sesto ricordo furono tre domande: cosa ci faccio qui? dove sono? e io… io chi sono?
Poi mi addormentai o persi ancora coscienza

Ovviamente della trama non di nulla corretto?
 
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folgorata
view post Posted on 24/1/2013, 00:24




(togliamo la citazione è scontata e troppo svelante per un thriller)

Il primo ricordo fu l’odore morbido del terriccio umido. Aroma di muschio e funghi che risaliva il respiro. Dicono che la memoria olfattiva sia legata alle nostre reminiscenze più ancestrali, forse per questo la consapevolezza di essere vivo fu soltanto il secondo ricordo.
Il viso era immerso in un cumulo di foglie secche, schegge di corteccia e frammenti di fuscelli, su terra bagnata d’autunno. Il sapore di ciò che era passato tra le mie labbra lo confermò. Aiutandomi con gli incisivi cercai di pulire la lingua e sputai ciò che riuscivo.
Il terzo ricordo fu il frusciare armonico delle fronde per improvvise folate che non si abbassavano a lambirmi. In quel momento, se avessi avuto un po’ di lucidità, quel sussurro mi avrebbe rivelato di trovarmi tra alberi alti e numerosi.
Quando spalancai gli occhi ero ancora riverso a terra. Mi si presentò il viscido microcosmo di un sottobosco appena scartato dalla mia bocca. La testa pulsava come se il cuore volesse farsi strada e sostituirsi al cervello nel suo abituale alloggio. Mi voltai rotolando su un fianco e sentii di avere un piccolo zaino sulla schiena. Cercai il cielo con lo sguardo e lo trovai: grigio e nascosto dietro centinaia di rami non ancora del tutto nudi.
Il dolore alla testa si fece più acuto. Portai istintivamente le mani tra i capelli e, sopra la nuca, trovai una lunga ferita. Le ritirassi e le feci ruotare davanti al viso. Erano pallide, addirittura livide di freddo e sulla pelle bianca delle dita spiccava una colatura scarlatta densa, quasi solida. Si erano macchiate del mio sangue non ancora del tutto coagulato.
Fu alla vista del sangue che la sensazione di dolore esplose proveniente dalla nuca, dal cranio intero e dagli arti e dalle viscere. Le mani si allargarono sul terreno cercando di spingere, e poi di cercare un appiglio. Compresi allora che il terreno era in forte pendenza e che il mio corpo era orientato con la testa a valle. La posizione contribuiva certamente a provocarmi quel martellamento alle tempie. Mi avvolse una sensazione di pericolo che presto diventò panico. Fuggire. Dovevo fuggire!
La manovra per mettermi in piedi mi precipitò lungo la scarpata. Franai su un letto di foglie cercando inutilmente di ancorarmi a qualcosa. L'unico risultato fu di ferirmi le mani e aumentare la velocità di caduta. Alla fine mi limitai a osservare gli alberi che mi sfrecciavano accanto, come persone a una stazione vista dal finestrino di un treno che non fa fermate.

Rami caduti, cespugli e rocce lacerarono il caban che indossavo e mi scipparono dello zaino scarno.

Il quarto ricordo fu che esisteva il tempo e che questo aveva una sua unità di misura, ma la dimensione di quanto fu necessario per completare quella miracolosa caduta non mi fu possibile stimarlo.
L’ultimo tratto lo feci nel vuoto. Mi schiantai in una pozza di fango che sembrò persino calda e accogliente. Il vicino rumore di acqua corrente conciliò il mio deliquio.
Non so quant’altro tempo trascorsi ancora nell'incoscenza. Le sensazioni di quei momenti convulsi si susseguono nella mia mente ancora adesso come una sorta di alternanza di frammenti confusi.
Ricordo che mi svegliai grazie a rade gocce d’acqua che mi cadevano sul mio viso. Dischiusi gli occhi, ma non vidi nulla. Nero. Il buio più scuro e il crescente picchiettare dell'acqua. Il primo pensiero: ho perso la vista… il secondo pensiero: sono morto e questo è il mio inferno e all’inferno pioveva.
Nell’oscurità assoluta potevo tastare la fanghiglia in cui mi trovavo e sentire la pioggia, ormai scrosciante, drenata da quello che doveva essere un fitto bosco che mi circondava. Un lampo sembrò proiettarsi direttamente al centro della mente.
Un tuono fragoroso riecheggiò per lunghi istanti; trovai la forza per issarmi in piedi. La pioggia si intensificò. Lampi intermittenti mi raccontarono che ero precipitato in un dirupo, che era notte fonda e un temporale allarmato per le mie condizioni si era preso la briga di svegliarmi. Brancolai, arrancando verso quella che sembrava una parete di roccia e il mio sforzo fu premiato con la scoperta di un angolo asciutto su cui poter riversare un po’ di umidità.
Le ossa, forse non del tutto intere, erano certamente bagnate. In quell’anfratto passai alcune ore di quella interminabile notte, nella speranza di arrivare all’alba e scoprirmi ancora vivo. Lampi e tuoni si susseguirono tanto da non riuscir più a capire cosa fosse causa e cosa effetto. L’avara ma intensa luce prodotta dai fulmini era una benedizione che spezzava la monotonia di tenebre che al contrario erano fin troppo generose. Il temporale se ne andò lasciandomi in compagnia del gocciolare delle piante. Poi arrivò inatteso un odore di bruciato. Vidi del chiarore e sperai si trattasse dell’alba. Ma era molto meglio di un’aurora immatura, si trattava di un albero che ardeva, dopo esser stato colpito da un fulmine. La pioggia era cessata e tanto bastò per convincermi a strisciare fino al tronco in fiamme.
Il quinto ricordo fu la sensazione di benessere innescata da quel calore e il profondo senso di gratitudine nei confronti di quel fuoco crepitante. Mi sfiancai per togliere il cappotto caban. Molto di più per sfilarmi il maglione. Alcuni rami spezzati mi aiutarono a stendere gli indumenti e avvicinarli il più possibile all’albero incendiato. Tremavo mentre osservavo l’alone generato dal vapore. Era un buon segnale e quando questo si attenuò sparendo del tutto, decisi che era giunto il momento di consumare anche l’ultima energia rimasta nel mio corpo.
Togliersi gli scarponi, i pantaloni, la camicia e tutto il resto fu un’operazione talmente ardua da consumare le mie ultime forze residue. Stesi tutto al calore del fuoco e rimasi coperto dal solo caban che nel frattempo si era quasi asciugato.
Mentre mi spogliavo avevo spiato il corpo al chiarore delle fiamme. Le gambe avevano lividi ed ematomi, graffi ed escoriazioni,, ma sembravano ancora intere. la caviglia destra era gonfia. Il torace era ricoperto da numerose tumefazioni. A giudicare dal dolore che provavo nel respirare, qualche costola doveva essere malconcia. Le mani erano ricoperte da piccole lacerazioni provocate dagli inutili sforzi compiuti nel tentativo di aggrapparmi a qualcosa che potesse rallentare la caduta. Sulla testa una ferita gonfia e dolorante.
Avevo vissuto in maniera frenetica quegli eventi angoscianti e fu uno strano istinto di sopravvivenza che mi aiutò a trattenere nella mente i primi cinque eventi significativi di quella giornata. Non ho più memoria di quale fu la precisa sequenza temporale dei ricordi dopo il sesto, ma quello lo rammento bene.
Il sesto ricordo fu l'eco di tre domande: cosa ci faccio qui? dove sono? e io… chi sono?
Poi mi addormentai o persi conoscenza , di nuovo.

OK, COME SAI BERTO l'intervento su queste prime pagine sarà pesante perchè come ti ho detto richiedevano di essere velocizzate. Mi pare venuto bene. Hai una scrittura fortemente evocativa e molto personale. Non è facile metterci mano e redigerla in prima battuta perchè richiede una notevole domesticazione della lingua

Edited by folgorata - 24/1/2013, 01:17
 
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Berno
view post Posted on 24/1/2013, 10:38




Direi che il ritmo è decisamente aumentato, devo però fare qualche considerazione e devo anche ammettere che mi dispiace un po' separarmi da alcune immagini... * disse il pesciolino dimenandosi sul molo

Allora vediamo

Aiutandomi con gli incisivi cercai di pulire la lingua e sputai ciò che riuscivo
qui la frase terminava con a intrappolare nella mia saliva
ma non la vedo sbarrata, è solo scomparsa.
Così come è ora, il periodo mi suona un po' sospeso.

Si erano macchiate del mio sangue non ancora del tutto coagulato.
che ne dici di rappreso al posto di coagulato? io avevo usato raggrumato che effettivamente faceva schifo!

La manovra per mettermi in piedi mi precipitò lungo la scarpata

Quel "mi precipitò" non mi suona.
E' così brutta la precedente? :)
"La manovra per mettermi in piedi precipitò insieme al mio corpo lungo la scarpata"


Le sensazioni di quei momenti convulsi si susseguono nella mia mente ancora adesso come una sorta di alternanza di frammenti confusi.

Questa l'hai eliminata. Non ci sono particolarmente affezionato, però mi sembrava "pasturante". In questo momento il lettore
ha per la prima volta la sensazione che chi racconta lo sta facendo proprio ora. C'è un legame col presente. Dice che "ancora adesso"
ha delle visioni confuse di quei momenti. Trovavo intrigante che il lettore iniziasse a immaginare e chiedersi "Chi è che racconta? dove si trova ora?"... che ne dici di rimodularla magari in altro modo?

Un lampo proiettò nella mia mente l’immagine inquietante di alberi che sembravano intimoriti dalla mia presenza
eliminata
Lampi intermittenti mi raccontarono che ero precipitato in un dirupo, che era notte fonda e un temporale allarmato per le mie condizioni si era preso la briga di svegliarmi.
eliminata

devo ammetterlo... i lampi erano troppi. Però l'immagine degli alberi intimoriti dalla sua presenza mi piaceva proprio. Mi immaginavo le radici ritratte come zampe di un ragno che si ritrae al pericolo. E anche quella dell'intermittenza che faceva molto flash cinematografico, ricostruendo l'accaduto. :(
Possiamo riesumare qualcosa?

Le mani erano ricoperte da piccole lacerazioni provocate dagli inutili sforzi compiuti nel tentativo di aggrapparmi a qualcosa che potesse rallentare la caduta.
Anche questa eliminata, ma il concetto di focalizzare l'attenzione sulle mani che ora sono piene di lacerazioni deve essere presente, è funzionale alla storia.
Questa situazione infatti deve contrastare con quella precedente:
"Le mani [...] erano pallide, addirittura livide di freddo e sulla pelle bianca delle dita spiccava una colatura scarlatta densa, quasi solida."

Queste due immagini concorrono successivamente a far fare una serie di considerazioni al protagonista, aiutandolo a ricostruire i fatti.

Tutto il resto è decisamente più fluido.

Fammi sapere cosa pensi delle mie osservazioni così provo a rimodulare questa prima parte e ripostarla.
 
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folgorata
view post Posted on 24/1/2013, 10:44




Allora vediamo

Aiutandomi con gli incisivi cercai di pulire la lingua e sputai ciò che riuscivo
qui la frase terminava con a intrappolare nella mia saliva
ma non la vedo sbarrata, è solo scomparsa.
Così come è ora, il periodo mi suona un po' sospeso.
Avevo originariammente lasciato una frase tipo: sputai ciò che ero riuscito a isolare dalla saliva. Ma in rilettura era inutile toglieva incisività.

Si erano macchiate del mio sangue non ancora del tutto coagulato.
che ne dici di rappreso al posto di coagulato? io avevo usato raggrumato che effettivamente faceva schifo!
Rappreso è meglio

La manovra per mettermi in piedi mi precipitò lungo la scarpata

Quel "mi precipitò" non mi suona.
E' così brutta la precedente? :)
"La manovra per mettermi in piedi precipitò insieme al mio corpo lungo la scarpata"
Sì, mi precipitò è quasi è un neologismo ma nel tuo caso ci sta.

Le sensazioni di quei momenti convulsi si susseguono nella mia mente ancora adesso come una sorta di alternanza di frammenti confusi.

Questa l'hai eliminata. Non ci sono particolarmente affezionato, però mi sembrava "pasturante". In questo momento il lettore
ha per la prima volta la sensazione che chi racconta lo sta facendo proprio ora. C'è un legame col presente. Dice che "ancora adesso"
ha delle visioni confuse di quei momenti. Trovavo intrigante che il lettore iniziasse a immaginare e chiedersi "Chi è che racconta? dove si trova ora?"... che ne dici di rimodularla magari in altro modo?
No, è inutile.

Un lampo proiettò nella mia mente l’immagine inquietante di alberi che sembravano intimoriti dalla mia presenza
eliminata
Lampi intermittenti mi raccontarono che ero precipitato in un dirupo, che era notte fonda e un temporale allarmato per le mie condizioni si era preso la briga di svegliarmi.
eliminata

devo ammetterlo... i lampi erano troppi. Però l'immagine degli alberi intimoriti dalla sua presenza mi piaceva proprio. Mi immaginavo le radici ritratte come zampe di un ragno che si ritrae al pericolo. E anche quella dell'intermittenza che faceva molto flash cinematografico, ricostruendo l'accaduto. :(
Possiamo riesumare qualcosa?
No

Le mani erano ricoperte da piccole lacerazioni provocate dagli inutili sforzi compiuti nel tentativo di aggrapparmi a qualcosa che potesse rallentare la caduta.
Anche questa eliminata, ma il concetto di focalizzare l'attenzione sulle mani che ora sono piene di lacerazioni deve essere presente, è funzionale alla storia.
Questa situazione infatti deve contrastare con quella precedente:
"Le mani [...] erano pallide, addirittura livide di freddo e sulla pelle bianca delle dita spiccava una colatura scarlatta densa, quasi solida."

Che si ferisce le mani lo diciamo mentre cade. È inutile e controproducente ribadirlo.


Queste due immagini concorrono successivamente a far fare una serie di considerazioni al protagonista, aiutandolo a ricostruire i fatti.
Non c'è nulla che non si capisca di come sono andati i fatti, non c'è bisogno di aiutare a ricostruirli.
 
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Berno
view post Posted on 24/1/2013, 11:15




Ri-posto per pulizia...

1



Il primo ricordo fu l’odore morbido del terriccio umido. Aroma di muschio e funghi che risaliva il respiro. Dicono che la memoria olfattiva sia legata alle nostre reminiscenze più ancestrali, forse per questo la consapevolezza di essere vivo fu soltanto il secondo ricordo.
Il viso era immerso in un cumulo di foglie secche, schegge di corteccia e frammenti di fuscelli, su terra bagnata d’autunno. Aiutandomi con gli incisivi cercai di pulire la lingua e sputai ciò che riuscivo.
Il terzo ricordo fu il frusciare armonico delle fronde per improvvise folate che non si abbassavano a lambirmi. In quel momento, se avessi avuto un po’ di lucidità, quel sussurro mi avrebbe rivelato di trovarmi tra alberi alti e numerosi.
Quando spalancai gli occhi ero ancora riverso a terra. Mi voltai rotolando su un fianco e sentii di avere un piccolo zaino sulla schiena. Cercai il cielo con lo sguardo e lo trovai: grigio e nascosto dietro centinaia di rami non ancora del tutto nudi.
Il dolore alla testa si fece più acuto. Portai istintivamente le mani tra i capelli e, sopra la nuca, trovai una lunga ferita. Le ritrassi e le feci ruotare davanti al viso. Erano pallide, addirittura livide di freddo e sulla pelle bianca delle dita spiccava una colatura scarlatta densa, quasi solida. Si erano macchiate del mio sangue non ancora del tutto rappreso.
Fu alla vista del sangue che la sensazione di dolore esplose proveniente dalla nuca, dal cranio intero, dagli arti e dalle viscere. Le mani si allargarono sul terreno cercando di spingere, e poi di cercare un appiglio. Compresi allora che il terreno era in forte pendenza e che il mio corpo era orientato con la testa a valle. La posizione contribuiva certamente a provocarmi quel martellamento alle tempie. Mi avvolse una sensazione di pericolo che presto diventò panico. Fuggire. Dovevo fuggire!
La manovra per mettermi in piedi mi precipitò lungo la scarpata. Franai su un letto di foglie cercando inutilmente di ancorarmi a qualcosa. L'unico risultato fu di ferirmi le mani e aumentare la velocità di caduta. Alla fine mi limitai a osservare gli alberi che mi sfrecciavano accanto, come persone a una stazione vista dal finestrino di un treno che non fa fermate.
Rami caduti, cespugli e rocce lacerarono il caban che indossavo e mi scipparono dello zaino scarno.
Il quarto ricordo fu che esisteva il tempo e che questo aveva una sua unità di misura, ma la dimensione di quanto fu necessario per completare quella miracolosa caduta non mi fu possibile stimarla.
L’ultimo tratto lo feci nel vuoto. Mi schiantai in una pozza di fango che sembrò persino calda e accogliente. Il vicino rumore di acqua corrente conciliò il mio deliquio.

Non so quant’altro tempo trascorsi ancora nell'incoscienza. Ricordo che mi svegliai grazie a rade gocce d’acqua che mi cadevano sul viso. Dischiusi gli occhi, ma non vidi nulla. Nero. Il buio più scuro e il crescente picchiettare dell'acqua. Il primo pensiero: ho perso la vista… il secondo pensiero: sono morto e questo è il mio inferno e all’inferno pioveva.
Nell’oscurità assoluta potevo tastare la fanghiglia. Un lampo sembrò proiettarsi direttamente al centro della mente.
Un tuono fragoroso riecheggiò per lunghi istanti; trovai la forza per issarmi in piedi. Brancolai, arrancando verso quella che sembrava una parete di roccia e il mio sforzo fu premiato con la scoperta di un angolo asciutto. Poi arrivò inatteso un odore di bruciato. Vidi del chiarore e sperai si trattasse dell’alba. Ma era molto meglio di un’aurora immatura, si trattava di un albero che ardeva colpito da un fulmine. La pioggia era cessata e tanto bastò per convincermi a strisciare fino al tronco in fiamme.
Il quinto ricordo fu la sensazione di benessere innescata da quel calore e il profondo senso di gratitudine nei confronti di quel fuoco crepitante. Mi sfiancai per togliere il cappotto caban. Molto di più per sfilarmi il maglione. Alcuni rami spezzati mi aiutarono a stendere gli indumenti e avvicinarli il più possibile all’albero incendiato. Tremavo mentre osservavo l’alone generato dal vapore.
Togliersi gli scarponi, i pantaloni, la camicia e tutto il resto fu un’operazione talmente ardua da consumare le mie ultime forze. Stesi tutto al calore del fuoco e rimasi coperto dal solo caban che nel frattempo si era quasi asciugato.
Mentre mi spogliavo avevo spiato il corpo al chiarore delle fiamme. Le gambe avevano lividi ed ematomi, graffi ed escoriazioni. La caviglia destra era gonfia. Il torace era ricoperto da numerose tumefazioni. A giudicare dal dolore che provavo nel respirare, qualche costola doveva essere malconcia. Non ho più memoria di quale fu la precisa sequenza temporale dei ricordi dopo il sesto, ma quello lo rammento bene.
Il sesto ricordo fu l'eco di tre domande: cosa ci faccio qui? dove sono? e io… chi sono?
Poi mi addormentai o persi conoscenza , di nuovo.
 
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queenlina
view post Posted on 24/1/2013, 14:47




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Il primo ricordo fu l’odore morbido del terriccio umido. Aroma di muschio e funghi che risaliva il (non so, come espressione non mi convince troppo)respiro. Dicono che la memoria olfattiva sia legata alle nostre reminiscenze più ancestrali, forse per questo la consapevolezza di essere vivo fu soltanto il secondo ricordo.
Il viso era immerso in un cumulo di foglie secche, schegge di corteccia e frammenti di fuscelli, su terra bagnata d’autunno. Aiutandomi con gli incisivi cercai di pulire la lingua e sputai ciò che riuscivo.
Il terzo ricordo fu il frusciare armonico delle fronde per improvvise folate che non si abbassavano a lambirmi. In quel momento, se avessi avuto un po’ di lucidità, quel sussurro mi avrebbe rivelato di trovarmi tra alberi alti e numerosi.
Quando spalancai gli occhi ero ancora riverso a terra. Mi voltai rotolando su un fianco e sentii di avere un piccolo zaino sulla schiena. Cercai il cielo con lo sguardo e lo trovai: grigio e nascosto dietro centinaia di rami non ancora del tutto nudi.
Il dolore alla testa si fece più acuto. Portai istintivamente le mani tra i capelli e, sopra la sulla nuca, (togliere virgola) trovai una lunga ferita. Le ritrassi e le feci ruotare davanti al sul viso. Erano pallide, addirittura livide di freddo e sulla pelle bianca delle dita spiccava una colatura scarlatta densa, quasi solida. Si erano macchiate del mio sangue non ancora del tutto rappreso.
Fu alla vista del sangue a quella vista che la sensazione di dolore esplose proveniente dalla nuca, dal cranio intero, dagli arti e dalle viscere. Le mani si allargarono sul terreno cercando di spingere, e poi di cercare un appiglio. Compresi allora che il terreno era in forte pendenza e che il mio corpo era orientato con la testa a valle. La posizione contribuiva certamente a provocarmi quel martellamento alle tempie. Mi avvolse una sensazione di pericolo che presto diventò panico. Fuggire. Dovevo fuggire!
La manovra per mettermi in piedi mi precipitò lungo la scarpata. Franai su un letto di foglie cercando inutilmente di ancorarmi a qualcosa. L'unico risultato fu di ferirmi le mani e aumentare la velocità di caduta. Alla fine mi limitai a osservare gli alberi che mi sfrecciavano accanto, come persone a una stazione vistae dal finestrino di un treno che non fa fermate, in attesa a una stazione.
Rami caduti, cespugli e rocce lacerarono il caban che indossavo e mi scipparono dello zaino scarno.
Il quarto ricordo fu che esisteva il tempo e che questo aveva una sua unità di misura, ma la dimensione di quanto ne fu necessario per completare quella miracolosa caduta non mi fu possibile stimarla.
L’ultimo tratto lo feci nel vuoto. Mi schiantai in una pozza di fango che sembrò persino calda e accogliente. Il vicino rumore di acqua corrente conciliò il mio deliquio.

Non so quant’altro tempo trascorsi ancora nell'incoscienza. Ricordo che mi svegliai grazie a rade gocce d’acqua che mi cadevano sul viso. Dischiusi gli occhi, ma non vidi nulla. Nero. Il buio più scuro e il crescente picchiettare dell'acqua. Il primo pensiero: ho perso la vista… il secondo pensiero: sono morto e questo è il mio inferno e all’inferno pioveva.
Nell’oscurità assoluta potevo tastare la fanghiglia. Un lampo sembrò proiettarmisi direttamente al centro della mente.
Un tuono fragoroso riecheggiò per lunghi istanti; trovai la forza per issarmi in piedi. Brancolai, arrancando verso quella che sembrava una parete di roccia e il mio sforzo fu premiato con la scoperta di un angolo asciutto. Poi arrivò inatteso un odore di bruciato. Vidi del chiarore e sperai si trattasse dell’alba. Ma era molto meglio di un’aurora immatura, si trattava di un albero che ardeva colpito da un fulmine. La pioggia era cessata e tanto bastò per convincermi a strisciare fino al tronco in fiamme.
Il quinto ricordo fu la sensazione di benessere innescata da quel calore e il profondo senso di gratitudine nei confronti di quel fuoco crepitante. Mi sfiancai per togliere il cappotto caban. Molto di più per sfilarmi il maglione. Mi servii di Aalcuni rami spezzati mi aiutarono a per stendere gli indumenti e avvicinarli il più possibile all’albero incendiato che bruciava. Tremavo mentre osservavo l’alone generato dal vapore.
Togliersi gli scarponi, i pantaloni, la camicia e tutto il resto fu un’operazione talmente ardua da consumare le mie ultime forze. Stesi tutto al calore del fuoco e rimasi coperto dal solo caban che nel frattempo si era quasi asciugato.
Mentre mi spogliavo avevo mi ero spiato il corpo al chiarore delle fiamme. Le gambe avevano lividi ed ematomi, graffi ed escoriazioni. La caviglia destra era gonfia. Il torace era ricoperto da numerose tumefazioni. A giudicare dal dolore che provavo nel respirare, qualche costola doveva essere malconcia. Non ho più memoria di quale fu la precisa sequenza temporale dei ricordi dopo il sesto, ma quello lo rammento bene.
Il sesto ricordo fu l'eco di tre domande: cosa ci faccio qui? dove sono? e io… chi sono?
Poi mi addormentai o forse persi conoscenza (togliere spazio prima della virgola), di nuovo.



Bello. Scorrevole e ben scritto :D
Folgo, forse abbiamo trovato un altro che scrive bene? :D :D
 
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Berno
view post Posted on 24/1/2013, 15:07




CITAZIONE
Il primo ricordo fu l’odore morbido del terriccio umido. Aroma di muschio e funghi che risaliva il (non so, come espressione non mi convince troppo)respiro

Sono d'accordo. Mi accorgo ora di questo cambiamento che non avevo notato prima, ergo rigiro la domanda a Folgorata...

L'originale era:

"Il primo ricordo fu l’odore morbido del terriccio umido. Aroma di muschio e funghi che risaliva la corrente del mio respiro."

Il risalire era riferito alla corrente.

CITAZIONE
Alla fine mi limitai a osservare gli alberi che mi sfrecciavano accanto, come persone viste dal finestrino di un treno che non fa fermate, in attesa a una stazione.

Che ne dici se sposto quell' "in attesa a una stazione" in qusto modo?

Alla fine mi limitai a osservare gli alberi che mi sfrecciavano accanto, come persone in attesa a una stazione viste dal finestrino di un treno che non fa fermate.


Tutto il resto lo adeguo e riposto dopo un riscontro su queste due segnalazioni.

Grazie
 
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folgorata
view post Posted on 24/1/2013, 15:20




Mah sai Lina che su queste due correzioni non sono d'accordo...
È una scrittura particolare dove la ripetizione ci sta con l'incedere icastico:
"rappreso.
Fu alla vista del sangue (qua lascerei così) a quella vista che la sensazione di dolore esplose proveniente dalla nuca,"

Stesso discorso per gli interventi su questo punto:
Alla fine mi limitai a osservare gli alberi che mi sfrecciavano accanto, come persone a una stazione vistae dal finestrino di un treno che non fa fermate, in attesa a una stazione.
Lascerei:
Alla fine mi limitai a osservare gli alberi che mi sfrecciavano accanto, come persone a una stazione vista dal finestrino di un treno che non fa fermate. (L'ho sottolineata in rosso per brevità ma in realtà questa è una frase orginale di Berno)

Idem qui: e. Mi servii di Aalcuni rami spezzati mi aiutarono a per stendere gli indumenti e avvicinarli il più possibile all’albero incendiato che bruciava.
Ci sono degli aspetti della scrittura di Berno che se li conformizzi lo castrano secondo me

Sì Lina c'è stoffa.

Anche risalire il respiro ti da immediatamente l'idea certo è una cosa anomala... ma ci sta. Sentiamo Mandar
 
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Berno
view post Posted on 24/1/2013, 15:26




NdA Circa il risalire...

su questa frase c'ero passato più volte già io...

La prima versione era.
Aroma di muschio e funghi che risaliva seguendo la corrente del mio respiro


poi tolsi la parola "seguendo"

L'immagine della risalita di un profumo lungo la corrente di un respiro avrebbe voluto rievocare i paesaggi montani. Torrenti. Ruscelli... etc.
 
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folgorata
view post Posted on 24/1/2013, 15:29




Non passa Berno. Nella lettura devi lasciare i tempi per far filtrari i concetti.
Avresti dovuto farla lunghissima per far passare una cosa del genere.
Una cosa tipo... Risalivano la corrente come salmoni in un torrente. Erano sentori di foglie e di muschio e di pino. Si incanalvano nelle narici ad ogni respiro.

Ok sta roba qui però "un po' olive nere e Mandar sa cosa intendo" toglie incisività al thriller e in buona sostanza non aggiunge nulla.

Lasicar risalire il respiro.
 
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folgorata
view post Posted on 24/1/2013, 15:44




Non fare il musino :-)
 
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queenlina
view post Posted on 24/1/2013, 15:48




Certo, è chiaro che ognuno tende a correggere secondo la propria scrittura, poi se si vuole dare un certo effetto, ci sta a lasciare delle cose, ma quel "risalire mi pare sempre un po' monco...

Poi su alcuni punti è chiaro che dovete essere tu e Berno a trovare la soluzione...

Noi si collabora per quel che si può, poi se una correzione non è giusta, è chiaro che non si fa :D
 
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dinodil
view post Posted on 24/1/2013, 16:29




io devo leggere per ultimo? :D
Ho letto purtroppo di fretta dato i miei ritmi giusto per farmi un'idea: mi piace come scrive Berno. Qualche passo è un pò alla Baricco a volte :)
Folgo toglierei quel "di nuovo" all'ultima riga. L'ultima riga deve essere sempre perentoria e netta a mio avviso.
 
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folgorata
view post Posted on 24/1/2013, 16:35




Eh sì.... hai ragione Dino, ma sai che manca qualcosa?
Vedi tu se riesci a dargli una bella sferzata.
Mettere le mani su Berno non è affatto semplice.

Lina siamo sempre d'accordo ma su alcune cose che hai messo qua dissento. e spiego il perchè più che la rotondità della frase è importante la pennellata "espressionista". cioè non solo descrittiva ma evocativa. Potenza evocativa che può emergere meglio anche a costo di lievi imperfezioni.
 
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189 replies since 23/1/2013, 16:39   1363 views
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