| Bergen, Norvegia sud-occidentale, anno 1253 sotto il reame di Haakonsson il Vecchio. L’ultima fase di quella fredda e uggiosa giornata di febbraio già si era avviata lentamente verso la sua fine, sostituita da una serata abbellita da un'insolita luna piena che stagliava tutto intorno alle lunghe sagome degli alberi del bosco. Sul limitare della selva, proprio nel punto in cui i floridi campi, che giacevano addormentati sotto la pesante coltre di neve, sfumavano all’interno di un affollato sottobosco composto di cespugli di sorbo, di licopodio ed erica, si ergeva una possente figura. Eretta sopra questo erboso confine stava fissando attentamente la vicina Taiga che, con i suoi grandi abeti siberiani e le betulle dalla corteccia argentata, si frapponeva al suo sguardo come un impenetrabile sipario. Eppure l’uomo, vestito di un ampio pastrano di lana grezza color carne con un cappuccio celato pesantemente sul capo, stava guardando nel folto della foresta con una tale attenzione che pareva estraniarsi dal mondo che lo circondava. Sembrava stesse ascoltando una voce in lontananza, un eco di qualche cosa che solo lui pareva udire, in quell’intricato groviglio di rami spogli e di sempreverdi assonnati. Sentiva una forza mistica che lo chiamava dall’interno della Taiga. La presenza di una possibile vittima permeava ogni singola cellula del suo corpo, ne fiutava l’esistenza anche a quella grande distanza. Era la prima volta per lui che provava questa sensazione; la sua trasformazione era recente quindi i suoi sensi non avrebbero dovuto essere ancora pronti, in grado di percepire a così grande distanza, l’acre odore di un nemico. Lui invece l’aveva avvertito. Di colpo s’irrigidì, come se il frutto della sua ricerca si fosse finalmente manifestato; ora sapeva dov’era quello che stava cercando! Con un gesto convulso lasciò cadere il cappotto che lo copriva e si trovò completamente nudo, nonostante il freddo intenso. Senza dare troppo peso alle condizioni climatiche di quella strana notte, cominciò a correre attraverso la boscaglia. I piedi nudi calpestavano mozziconi appuntiti di rami secchi e spezzati, scorticandosi fino a perdere sangue ma lui parve non accorgersene. Correva con quanto fiato aveva in corpo, cantando una nenia in una lingua ormai perduta nei meandri del tempo. Improvvisamente qualcosa cambiò. La sua pelle si fece più spessa, tanto di risultare immune alle schegge legnose che prima gli procuravano ferite gocciolanti. Il corpo parve ingrossarsi, aumentando a dismisura la massa muscolare e ricoprendosi di un ispido pelo grigiastro. La stessa struttura scheletrica mutò repentina, le gambe s’ispessirono e i suoi piedi si armarono di affilate grinfie che lasciavano profonde impronte nella neve, a ogni suo passo graffiavano la robusta e secca corteccia delle piante con le quali si scontravano. Il torace si espanse e le braccia si guarnirono di possenti bicipiti. Le mani, parimenti ai piedi, si armarono di robusti artigli. a mano a mano che la distanza diminuiva e sentiva il nemico avvicinarsi, il suo respiro aumentava di frequenza e di forza, come se l’eccitazione della prossima battaglia ne risvegliasse ogni singola parte del corpo. Poi anche il suo volto mutò e la canzone divenne un lugubre latrato. A qualche chilometro di distanza nel profondo della foresta, la Taiga si era aperta in un ampio spiazzo erboso circondato da grandi ontani neri e querce maestose, una piccola oasi nella fitta boscaglia. Fuori, nel cortile erano ormai arrivati tutti. I quattro ragazzi si erano dati appuntamento a quell’ora dell’incipiente notte. Si sarebbero riparati nella cascina e la mattina dopo avrebbe dato luogo alla loro battuta di caccia. <entriamo nella capanna e accendiamo un fuoco!> Ordinò Klaus Kristiansen, che con i suoi ventisette anni era il più vecchio dello sparuto gruppetto. Klaus guardò attentamente quella che sarebbe stata la loro dimora quella notte, con meraviglia si accorse che era diversa da come l’avevano descritta gli altri cacciatori. < Non è altro che una bicocca di legno disabitata da anni che col tempo è diventata il rifugio e l’ostello di una notte per chi va a caccia di selvaggina del posto, cervi, alci o galli cedroni che siano. Le pareti sono formate da assi di betulla spesse un palmo fissate con chiodi ormai arrugginiti a travi ricavate da tronchi interi di abete rosso mentre il tetto è fatto con tavelle ottenute da legno di larice e usate come tegole e quindi ricoperto da un fitto strato di muschi e di foglie, per renderlo impermeabile alle lunghe piogge e alle nevicate che battevano quella zona della Norvegia con impietosa ciclicità e irruenza. Molto squallido, speriamo almeno che sia comoda>. <hans, recupera un po’ di legna per fare ardere il camino!> Continuò. Il fratello più giovane bofonchiò qualcosa tra sé mentre cominciò a raccogliere piccoli sterpi e pezzi di legna quanto più secca possibile, per evitare di affumicare l'ambiente durante la nottata che li attendeva. Klaus intanto era giunto alla porta della casupola. Aveva lunghi capelli biondi sciolti lungo la poderosa schiena e gli occhi color del cielo. Sulla sua spalla sinistra spiccava una faretra in pelle di daino colma di frecce e nella sua mano un lungo arco di salice curvato a vapore. Apri l’uscio che, con un agghiacciante cigolio, gli concesse il passo. Davanti a lui una sala unica, con pochi, mirati arredi e un grande camino in sasso, il cui comignolo usciva dal tetto per almeno un metro. La luna piena si presentò al mondo in tutto il suo chiarore quando Hans, rimasto solo all’esterno, ebbe finito di raccogliere il legname necessario per passare la notte al caldo. La bicocca ormai era solo un’ombra distante e questo immerse il ragazzo in un prostrante stato di agitazione; trovarsi solo e allo scoperto di notte nella Taiga, non era per nulla rassicurante. “Se vorranno ancora della legna se la verranno a prendere loro!” Pensò, ritenendo di averne raccolta a sufficienza. Si drizzò con una notevole bracciata di legname addosso e si avviò velocemente verso l’ombra della casa, che la notte cancellava via via dalla sua vista. Improvvisamente un fruscio alle sue spalle lo distrasse, alzando al contempo il tasso di adrenalina nel suo sangue. <chi c’è?> Urlò pensando, anzi sperando, in uno scherzo dei suoi compagni. La foresta però non rispose. Fece per allontanarsi per raggiungere il prima possibile la capanna e la sicurezza ma, complice la volta alberata che oscurava la flebile luce della luna, incespicò in un tronco rovinato sul terreno sotto il peso dell'ultima, abbondante nevicata, e cadde. Ancora adagiato al suolo, nella semioscurità della foresta, gli parve di udire un sospiro. Non il respiro di qualche animale che girovagava errabondo nella notte ma una sorta di anelito pesante e tenace. Poi il suono cambiò, divenendo simile a un sibilo ovattato, come quello della brezza che lambisce la superficie del mare. Si alzò, terrorizzato e fissò nella notte, in direzione del bosco, con il cuore che batteva all’impazzata e lo sguardo che si stava annebbiando per il terrore. L’attesa durò pochi istanti, poi in mezzo alla macchia si udì un fruscio come di rami calpestati e fronde spostate con vigore per permettere il passaggio verso la piccola radura, Hans s’avvicinò timoroso alla fonte del rumore, azzardando un timido: <klaus, sei tu? Guarda che se questo è uno scherzo, non lo trovo per nulla divertente!>. Nessuna risposta, ed adesso anche il rumore delle foglie calpestate si era zittito, lasciando il posto al fragoroso silenzio della foresta, nessun altro rumore, nemmeno quello degli uccelli o degli insetti notturni, nulla. <va bene, allora io torno alla capanna, divertitevi da soli!> Sbraitò il ragazzo. Appena fissò il limitare della radura, si bloccò di colpo, dal folto della boscaglia il bagliore della luna riflesse la luce di due occhi rossi, che lo osservavano. Un urlo di terrore si strozzò nella gola di Hans. La luce tremolante dell’astro notturno illuminava ora anche un muso lupesco con le fauci spalancate in cui si intravedono due fila di denti giallicci di enormi dimensioni dalle quali discendeva copiosa una bava grigiastra. L’essere, da carponi che era, si erse sulle due zampe posteriori prendendo una postura umana che lo rese ancora più spaventoso, poi scattò feralmente in avanti. Le sue braccia, incredibilmente pelose e forti, afferrarono strettamente il poveretto infilandogli i poderosi artigli nel collo, facendo sgorgare fiotti di caldo e rosso sangue fin sopra le foglie più vicine e arrossando il sottile strato nevoso. Poi, facendo leva su di esse con le unghie di una delle zampe sferrò un colpo che squarciò il torace di Hans, uccidendolo all’istante. Un ultimo pensiero avvolse l’animo del ragazzo morente, rivolto alla sua adorata sorellina Kaja che, si rese conto con orrore non avrebbe più rivisto. Il corpo cadde a terra, come una marionetta a cui hanno reciso i fili che la sostengono. Senza un rumore se non quello delle foglie secche crepitanti sotto il suo peso e quella della neve ormai ghiacciata. Gli occhi inespressivi del mostro parvero animarsi di soddisfazione, a cui fece seguito un cieco furore quando un refolo d’aria notturna pervase le sue sensibilissime narici con l’afrore che usciva dalla mesta capanna. Altri nemici si aggiravano, quindi altre persone da uccidere per placare la sua frenesia di morte. Con una calma surreale, tipica dei predatori che attendono il momento giusto per agguantare la preda, così la strana creatura metà uomo e metà lupo si mosse. <dove diavolo è andato a finire Hans con la legna da ardere?> Chiese Alfred Dahl, un robusto ragazzone castano con la corporatura di un orso, e anche l’intelligenza! <se non accendiamo subito il camino va a finire che congeleremo, in questa stamberga!> Gli fece eco Dag Hagen, il quarto componente di quell’improvvisata battuta di caccia <non ho trasgredito all’ordine di mio padre di restare in paese questa notte, per poi morire assiderato nel bel mezzo della Taiga>. Klaus non fece caso alle loro parole, qualcosa lo preoccupava, una strana sensazione di pericolo permeava la sua mente, offuscando i normali pensieri. Di colpo fece cadere l’arco sullo sgangherato pavimento e si precipitò fuori, nella notte buia, invocando il nome del fratello. <hans!>. Si fermò appena oltre il portoncino, rimanendo inebetito a fissare la foresta. <hans, per amore del cielo, rispondi! Su fratellino, non fare scherzi>. Ancora una volta lo strano rumore, simile a un sommesso latrato uscì dalla boscaglia, proprio alle loro spalle. Un secondo dopo la creatura gli era addosso. Klaus fece appena in tempo a estrarre la sua daga dal fodero e, con quella, proteggersi da un fenomenale fendente dell'arto unghiuto del mostro. Il suono che ne uscì fu come quello di due metalli che si scontrano. Il buio rendeva ancora più inquietante l’intera scena, impedendo ai tre di vedere da quale parte potesse arrivare il pericolo. Di colpo il mostro sparì ma loro sapevano che era nascosto tra gli alberi attendendo il momento giusto per colpire nuovamente, come un gatto che gioca sadicamente con il piccolo topolino, prima di ghermirlo. La tregua consentì ai ragazzi di rifugiarsi velocemente nella catapecchia, chiudendo il portone con il vecchio catenaccio, nella vana speranza di frapporre tra loro e la creatura una sorta di ostacolo. <che cosa era?> Chiese Dag trafelato e stordito dall’emozione. <non ne ho idea> Rispose Alfred <e non so neppure che fine ha fatto Hans…>. Si interruppe e si voltò verso l’ombra di Klaus che in disparte si teneva il braccio che continuava a perdere fiotti di caldo sangue i quali si disperdevano copiosi sul pavimento. All’esterno l’aroma del caldo fluido vitale parve eccitare ulteriormente il mutaforma, che ululò alla luna come un amante che declama le sue poesie all’oggetto del suo desiderio, più e più volte. Gli strani versi fecero accapponare la pelle ai tre arroccati all’interno della bicocca ma, al contempo, rivelarono la mostruosa identità dell’assalitore. <un mannaro. Per Thor, siamo attaccati da un licantropo!> Bofonchiò sommessamente Dag. In preda a un terrore atavico piagnucolava come una femminuccia. <adesso ci ucciderà tutti e banchetterà con i nostri corpi privi di vita>. <per Woden taci pavido e branca la tua daga, siamo vichinghi e nessun uomo, o mostro, potrà aver la meglio su di noi!>. Le parole di Klaus riuscirono a sortire l’effetto di calmare l’animo dello spaventato ragazzo. Completamente al buio, con solo qualche flebile raggio di luce lunare che filtrava attraverso le disastrate persiane, i ragazzi si riunirono, schiena contro schiena, al centro della stanza, brandendo le loro misere lame. Attesero, trattenendo il respiro. Non passò troppo tempo che la porta cominciò a vibrare ripetutamente per i colpi che la bestia assestava tentando di entrare con la forza. Pareva che ogni colpo fosse più potente del precedente. Come se la furia dell’animale aumentasse ogni volta che l’uscio ne impediva l’accesso. <il Berserkergangr! La furia omicida di Odino. Miei avi, la fine è vicina!> <taci Dag, non intendo ascoltarti oltre, preparati piuttosto a combattere!>. Si strinsero gli uni agli altri, una folle paura ancestrale impastava le loro menti obnubilate. Il rintocco quasi melodico del picchiare al portone parve quasi ammaliarli per qualche istante. L’adrenalina scorreva veloce nelle loro vene, e se non fosse stato per la sua potenza, Dag sarebbe probabilmente crollato al suolo per il terrore. Improvvisamente i colpi alla porta cessarono e uno strano silenzio avvolse la baita. <se ne è andato?> Sussurrò Dag<siamo salvi, forse ha trovato una preda più appetitosa di noi!>. Più per una velata scaramanzia che per effettiva speranza gli altri due non parlarono, preferendo tendere l’orecchio e carpire qualsiasi rumore arrivasse dall’esterno. Ancora una frazione di tempo trascorse in religioso silenzio, poco ma sufficiente a che il povero Dag si scostasse dalla sua posizione difensiva, per scrollarsi di dosso la tensione accumulata in quell’attacco. Come se il mostro all’esterno avesse in qualche modo assistito alla scena, fu in quel preciso momento che decise di fare la sua mossa. Una delle due finestre andò letteralmente in frantumi quando lo strano essere la attraversò, entrando prepotentemente nella stamberga. Cadde a terra ma, rotolando su di un fianco si rialzò velocemente e si lanciò sullo spaventato manipolo. Klaus fu il primo a riprendersi dall’emozione e, brandendo la sua fidata spada, si frappose tra il mostro e gli altri due, assorbendo con il suo corpo il potente assalto, urto che lo fece volare a parecchi metri di distanza. Alfred sferrò un colpo al mannaro distratto dall’amico, con tutta la forza che la disperazione di perdere la propria giovane vita gli donava. Nonostante lo strato di derma ispessito, tanto da sembrare al pari di un'armatura, il colpo andò a segno e il lupo arretrò, guaendo sia per il dolore sia per la sorpresa. Klaus ne approfittò per alzarsi e si affiancò ad Alfred, che stava per reiterare l’attacco, in cuor suo la consapevolezza che l’essere poteva essere ferito, e quindi ucciso. <dag, apri la porta!> L’intenzione di Klaus era quella di colpire il più gravemente possibile il mostro, e quindi fuggire a gambe levate verso il paese di Bergen, che distava unicamente un chilometro di lontananza, e quindi verso la salvezza. La sorpresa della bestia durò solo un istante, l’ira per il dolore subìto parve farla ulteriormente eccitare. Quando i due guerrieri le furono addosso, lei era già pronta. A testa bassa assorbì i due colpi che le assestarono sulla pesante gobba che mostrava sulla schiena, dove il cuoio era più spesso e meno sensibile. Ignorando il dolore delle ferite, l’essere si lanciò in avanti abbrancando con le sue potenti braccia il busto di Klaus. Un dolore indescrivibile lo colse, nel modo in cui migliaia di pugnali arroventati ti stracciano brandelli di muscolo uno dopo l’altro, gioendo nel farlo. La cosa che lo teneva cominciò a tirare nei due sensi opposti con una forza che pareva non avere mai un limite, ogni fibra del suo corpo faceva un male insopportabile, sempre maggiore secondo dopo secondo, finché il suo torace si squarciò. <alfred corri, per lui non c’è più nulla da fare!> Urlò Dag sulla soglia della porta. In un istante tutto si concluse. L’orribilmente lungo muso del mannaro, ancora imbrattato del sangue di Hans, si avventò sul collo del giovine e ne staccò un pesante lembo. Gli occhi di Klaus si dilatarono per il tremendo dolore e per la sorpresa, caldi rivoli di sangue uscivano dalle ferite aperte, andando a lordare il pavimento. Alfred terrorizzato abbandonò il compagno al suo destino e fuggì insieme a Dag. Il mostro vide i due allontanarsi, con la consapevolezza che non sarebbero mai riusciti a sfuggirgli, quindi, con un gesto di disprezzo, afferrò la caviglia dell’agonizzante Klaus e la trascinò all’esterno, fino nel mezzo della radura. La rivoltante scia di sangue macchiava la neve caduta da poco, maledicendo il suo niveo candore. Cominciò ad annusare l’aria intorno, alla ricerca dell’acre afrore della paura. Un silenzio irreale avvolgeva la notte, nascondendo i due fuggitivi dietro il possente fusto di un pino secolare, nel tentativo di celarsi dalla furia del mostro. Questi si mosse in cerchio, lambendo il limitare della radura, con una lentezza assurda, quasi giocasse con i due poveretti, aspettando che loro facessero la prima mossa. Dag, che fino a quel momento era rimasto ammutolito dallo svolgere degli eventi, in preda ad un giustificato terrore si lasciò sfuggire un gridolino, prontamente interrotto dalla mano tremante di Alfred, premuta pesantemente sulla sua bocca. Un flebile lamento durato meno di un secondo ma sufficientemente potente perché la mostruosa creatura si accorgesse di loro. Questa lasciò cadere sugli sterpi intrisi di sangue il corpo inane della sua vittima e si diresse lentamente verso il rugoso pino, con le orecchie da lupo dritte, nel tentativo di percepire un qualunque rumore. S’avvicinò, lento ma inesorabile, ai due ragazzi che ora indietreggiano verso il fondo del bosco, il più lentamente e silenziosamente possibile, col loro giovane e forte cuore che pompava in maniera forsennata il sangue attraverso le loro vene, così forte che le orecchie fischiano ed i sensi si annebbiavano. L’adrenalina che secernevano le loro ghiandole cercò in tutti i modi di bloccare il processo confusionale nella loro mente così da poter mostrare una qualunque possibile via di fuga, ma nel caso del già stressato Dag, essa fallì miseramente, così che il giovane si staccò dall’amico e cominciò a correre a perdifiato, incurante dei rami che gli flagellavano il viso. Era quello che la creatura stava aspettando. Scattando in avanti a quattro zampe cominciò a rincorrerlo, la sua immensa e possente sagoma tagliò facilmente le fronde che gli bloccano il passaggio, mentre il giovane guerriero invece ne veniva rallentato. La gara era impari, dopo pochi metri il corpo del ragazzo venne schiacciato al terreno dal peso del mostro balzatogli addosso. Incurante delle sue urla di terrore l’essere sferrò due fendenti, col primo le unghie squarciarono la nuca e il secondo, trucemente gli aprì la schiena spezzando la colonna vertebrale con facilità. Ancora qualche secondo di urla disperate, e poi, in maniera quasi pietosa il mostro girò il corpo sbraitante e maciullato ed affondò le zanne nella gola, ponendo così fine alla vita di Dag. Alfred, nel frattempo, terrorizzato ed incredulo, con gli occhi carichi di lacrime si era rannicchiato dietro un frondoso arbusto, sperando che la creatura non si accorgesse di lui. Trattenne il fiato quanto più possibile, coprendosi anche la bocca col palmo della mano per smorzare eventuali rumori involontari. Fortunatamente il mostro si alzò quasi subito dal corpo dilaniato di Dag e si diresse verso quello di Klaus che ancora si dibatteva in preda ad attacchi nervosi. Lo raccolse da terra e lo finì affondando le zanne nel collo del moribondo. Senza perdere altro tempo alla ricerca del sopravvissuto il mannaro svanì nel bosco. Alfred nel frattempo aveva osservato la scena, sollevato dal dileguarsi del mostro ma la paura ancora lo pervadeva. Decise quindi di aspettare un altro poco di tempo, sempre rabberciato ai piedi della pianta, in un diffidente silenzio. Passò mezz’ora o forse più, nulla nel frattempo era successo tranne il fatto che gli animali notturni avevano ripreso coi loro canti d’amore o coi versi di rabbia. Sempre tremando il giovane vichingo decise di scostare finalmente la mano dalla bocca e ricominciare a respirare regolarmente, alcuni minuti ancora poi si alzò. Si guardò intorno e cercando di non calpestare nulla di rumoroso, si avviò verso la radura. Prima qualche lento passo che, col tempo si fece più sicuro. Oltrepassò lo spiazzo ridondante di sangue e per la prima volta si voltò a cercare il corpo dell’amico; non lo vide, la luna piena che per tutta la notte aveva permesso loro di muoversi nella boscaglia con poco affanno non gli concedette di trovarlo. Si incamminò lungo il sentiero, sempre lentamente e febbrilmente avanzò di qualche metro, riuscendo quasi a vedere la calda e meravigliosa luce che dipartiva dalle torri di guardia che proteggevano il perimetro di Bergen quando, inciampando in qualcosa di indefinito, cadde rovinosamente a terra, colpendo di striscio con la guancia un ramo. S’immobilizzò, terrorizzato che il rumore potesse essere stato sentito anche dal mostro. Aspettò un paio di minuti prono, sulle foglie secche con la guancia graffiata che perdeva di tanto in tanto una lacrima di sangue. Attese ancora qualche minuto poi decise di rialzarsi. Si girò infastidito verso la cosa che lo aveva fatto cadere mettendo a repentaglio la sua incolumità, e subito un altro urlo di terrore gli si smorzò in gola. Squarciato, a pezzi sotto i suoi piedi, c’era Hans. Il corpo dilaniato dell’amico fraterno si presentò alla luce di una luna, che gli sembrava, essere diventata improvvisamente color rosso sangue. La sua carne era strappata in molti punti, come se la creatura si fosse nutrita del suo corpo,.Terrificato Alfred si alzò e cominciò a correre il più velocemente possibile verso la luce della cittadina addormentata. Mancavano pochi metri, ormai vedeva la salvezza a portata di mano, lo spirito di sopravvivenza gli aveva fatto dimenticare gli amici ammazzati, il suo cervello ed il suo corpo volevano solamente allontanarsi da quel luogo e ripararsi nella sua capanna, che ormai riusciva quasi a intravedere attraverso la verzura che si faceva via via più rada. Corse a perdifiato, non badando più al rumore, usò tutte le sue residue energie per arrivare il prima possibile al campo, ancora pochi passi e sarebbe stato in salvo, ancora pochi metri e avrebbe potuto scaldarsi al tepore del fuoco, ancora un secondo e…un nerboruto, villoso bracciò scattò dal mezzo della boscaglia come una tagliola, all’altezza della gola di Alfred. Unghie nere e affilate come rasoi lacerarono la carne, entrarono nel tessuto come fa una lama nel burro, recidendo di netto la giugulare. Gli occhi speranzosi del ragazzo si spensero, la vista si annebbiò, la vita scorse via in un momento. Il corpo però, come se non si fosse accorto di nulla, fece qualche altro passo trasformandosi in una lugubre marionetta con la testa penzoloni su di un fianco ed il collo che sprizza sangue come un'immonda fontana. Pochi passi e poi il corpo cade scomposto ai lati del sentiero proprio al limitare della salvezza. Non un fiato del ragazzo aveva disturbato le guardinghe sentinelle che stavano giocando a dadi intorno al fuoco. Nessuna emozione trasparve negli occhi della belva, occhi color della bragia sovrastanti giallastre e potenti mascelle. Semplicemente l’essere si girò e svanì nel fitto della boscaglia, il manipolo di guerrieri era stato annientato e quindi il suo esame era terminato.
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