DOCkS della Bloody Roses Secret Society

Il detsino del Diavolo

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nonno5
view post Posted on 8/5/2011, 19:15




PROLOGO


11 ottobre 1964

“Ci sono!” dissi annaspando per la corsa.
“Scusate il ritardo!”
Il resto del gruppo lo guardò con occhiate torve, in silenzio, quindi quello che doveva essere il capo prese a parlare.
“Questa volta te la abboniamo - disse in tono severo- ma le prossime no:proprio stasera ritardi? Incredibile!” Sbottò.
“Vi chiedo scusa… Manco davvero solo io?”
Mi guardai attorno e contai sei visi intenti: le ombre della sera già si allungavano per divorare ogni singola casa, ogni albero ed ogni strada di quel paesetto di campagna.
Sei persone, sette con me: c’eravamo tutti. Adesso.
Ottobre inoltrato, nebbia fitta, niente luna: era la serata giusta. Era la serata propizia, continuavano a ripetere, ma cosa stesse per accadere non potevo saperlo. Tutto il programma era a me oscuro e la cosa mi rendeva teso, ma anche piacevolmente eccitato.
«Be’, ora che ci sono, che si fa?», dissi rompendo gli indugi, seppur intimorito dal silenzio totale in
cui eravamo immersi e dagli occhi che mi fissavano con un guizzo divertito e maligno.
Avevano in serbo qualche scherzo per me? Non sarebbe stata certo la prima volta che mi capitava.
Per circa un minuto non accadde nulla, solo una dozzina di pupille che si mossero rapide e scattanti, in varie direzioni.
Poi, finalmente, con un gesto deciso della mano destra, uno di loro ci invitò a seguirlo e parlò.
«Vi ricordo la regola numero uno: da adesso è vietato chiamarci per nome. Per te - disse indicandomi - troveremo presto un nome. E’ una delle cose che faremo questa sera!»
«E chi lo sceglie? Tutti assieme?»
«No, certe decisioni sono troppo grandi per noi. Non ci spettano.»
«E a chi spettano allora? Chi sceglierà per me?»
«Il Destino.»
Dopo una decina di minuti di cammino, in un silenzio religioso che faceva sembrare la nostra uscita
quasi una processione, varcammo il confine del paese e ci trovammo a ridosso di una stradicciola
sterrata: l’umido della nebbia e delle recenti piogge avevano reso il terreno così fangoso che al solo
sguardo si poteva percepire la consistenza molle di uno strato di melma che copriva il percorso.
C’erano impronte di cane sulla via, sembrava una strada che non veniva percorsa da anni, con ortiche e ciuffi di ambrosia che crescevano ai bordi, vicino ad un
recinto di legno che poi diventava un muretto basso di pietra che correva parallelo a noi fino a perdersi nella foschia.
«Di qui?», disse qualcuno in tono perplesso.
«Sì. Seguitemi. Prima però…» Si bloccò e tirò fuori dalle tasche alcune torce a pila.
Con una serie di clic la strada divenne illuminata e la nebbia fu trafitta da lunghi raggi di luce biancastra.
Si ricominciò a camminare, sempre in silenzio, mentre la mia angoscia cresceva: avevo uno strano presentimento.
Brutto.
Il fango, dopo una ventina di minuti di cammino, raggiungeva le caviglie, inzuppando scarpe e le calze, e sporcandomi i jeans nuovi, costringendomi a risvoltarli almeno a tre giri.
«Potevate dirmi che c’era fango… Mia mamma mi ucciderà, le ho detto che forse saremmo andati al bar!»
«Inventerai una scusa.»
«E voi che avete detto ai vostri genitori? Che andavate a fare una gita in campagna?»
«Qui non amiamo il sarcasmo, sappilo.»
Nessuno mi rispose più, ma udii sbuffare e qualche sussurro seguito da risatine contenute.
Risi anch’io tra me e me e guardai l’ora, le dieci, quindi puntai la sveglia per la mattina seguente, per le undici.
Poco dopo, finalmente, si intravide qualcosa in fondo alla strada di nebbia: delle luci.
«È un paese? - chiesero- Se è così sembra ancora lontano…»
«Sembrano strane come luci…Non sembrano lampadine elettriche…»
«Non è un paese, e non sono case quelle luci che vedi» rispose il capo gruppo.
«Cosa sono, allora?»
«Siamo arrivati, al bivio a destra. Tra poco vedrete.»
Facemmo un centinaio di metri e ci trovammo ad una colonnina che reggeva due frecce di legno
scolorite, una che puntava a sinistra e una che puntava a destra.
Non si leggeva nulla poichè il legno era marcio, ma fui certo di vedere qualcosa inciso nella freccia
che sembrava una croce, e infatti, un paio
di minuti dopo, compresi che le luci erano lumini di un cimitero.
«Quelli li ho messi io prima di venire qui - disse indicando le candele bianche appoggiate sulle lapidi - per evitare di usare le torce. Per non farci notare se dovesse passare qualcuno.”
Ci fermammo.
Un cancello di ferro abbracciava il perimetro della terra consacrata, racchiudendo una decina di
gruppi di piccole tombe grigie e spoglie, molte delle quali crepate o invase dalla morsa dell’edera come un serpente verde che strisciava fuori dalla sua tana nel terreno.
La luce debole si rifletteva nella pietra lucida d'umidità e sulle dorature delle scritte.
«Entriamo, Mago?»
«Sì. Il cancello è scardinato.»
Mago? Che razza di nome era?
Mi accodai agli altri ma fui subito afferrato per la spalla: «Tu sei il primo, entrerai subito dietro di me.»
Annuii spaventato con un cenno del capo.
Il ragazzo davanti prese con due mani il cancello e iniziò a scostarlo lentamente: cigolava
parecchio e accanto a esso, sulla colonnina dove erano fissati i cardini, venne a posarsi una grossa civetta. Dalla bocca le penzolava la coda di un topo.
«Che schifo! Ho paura Mago!», disse una ragazza.
Incrociai lo sguardo del rapace e non potei non pensare alla leggenda che fosse la custode delle anime dei morti: in effetti, pareva davvero controllare chi osasse profanare quel luogo.
«Muoviti!», sibilò il capo, destandomi dai miei pensieri.
Tremando, mi avvicinai al ferro freddodel cancello ed entrai di traverso nell’apertura comprimendomi nel piccolo spazio tra la colonna e la cancellata.
La civetta, accanto a me, emise un lungo, lugubre verso, quindi volò via con uno sbattere d’ali per
andarsi a posare in alto su un cipresso lì vicino.
Nonostante la nebbia, i suoi occhi nel buio brillavano ancora intensamente e parevano perforarmi.
Mi voltai, scacciai ogni pensiero ed attesi che tutti fossero entrati nel cimitero assieme al Mago.
Il luogo era davvero desolante, molte tombe non avevano né nome e né fiori. Laddove ce n’erano, erano appassiti da tempo: pareva che in quel camposanto fosse calata la
morte… sulla morte.
Scosso dall’ennesimo brivido qualcuno mi spinse avanti, quindi ripresi il cammino sul terreno ghiaioso e mi bloccai, assieme al capogruppo, davanti a una porta di legno con diversi buchi agli angoli.
«Entriamo.»
«Ma, è una tomba!»
«Una tomba sotterranea, una cripta. È un posto sicuro. Non entra nessuno perché la famiglia cui appartiene si è estinta, sono tutti morti.» Il ragazzo però si interruppe e si voltò, accigliato.
Dalla cripta giungevano dei rumori. Nel silenzio, dopo di lui, li sentimmo tutti.
Dietro di me, la solita voce femminile emise un mugolio spaventato: «E se fosse… il fantasma di qualcuno?»
«Non crederete a certe storie? Ora apro e vediamo cosa c’è dentro.»
Udii il rumore di una mano che rovistava nelle tasche e poi quello di un arnese, forse un cacciavite,
che venne infilato nel lucchetto della porta tarlata.
Il rumore da dentro continuava, a intermittenza, facendosi più forte.
Ci fu una pausa, quindi, con un movimento secco del polso, il Mago fece saltare via il lucchetto che andò a rimbalzare su una tomba minucola inumata a poca distanza.
«Ci siamo.»
Il rumore proveniente dalle viscere della terra aumentò ancora, ma il ragazzo aprì la porta comunque, con cautela, stando attendo a non scardinare anche quella per non lasciare tracce del nostro passaggio.
L'odore di stantio ci investì in pieno, quindi si udì l’ennesimo fruscio e poi la voce femminile alle mie spalle urlò: una coppia di pipistrelli apparve squittendo dal buio, passò a pochi centimetri dalle nostre teste e volò via ingoiata dalla nebbia.
Sobbalzammo tutti e poi scoppiammo a ridere nervosamente.
«Fantasmi eh? Idiota. Avanti, dietro di me, si scende.»
A malincuore lo seguii achìio giù per una breve, ma ripida rampa di scale, che portava verso il buio.
Non appena i piedi toccarono la terra dura della cripta, furono di nuovo accese le torce: la
tomba era uno stanzone quadrato e spoglio, con alcune fotografie dei defunti sulla parete
dietro il sarcofago doppio, che era appoggiato su un rialzo di pietra.
Tutto era coperto di polvere umida e ragnatele e nessuna
apertura verso l'esterno che non fosse l'accesso alla scale dalla quare eravamo giunti .
Incuriosito, mi spostai verso le foto, in bianco e nero, appese al muro.
C’erano una donna, morta di temperamento sereno a giudicare dal sorriso appena accennato e un uomo molto giovane. Sotto di lui, una piccola dedica ne ricordava la prematura scomparsa: "le fiamme non hanno avuto pietà ma conducano in cielo il tuo animo generoso, che i freschi pascoli eterni ti accolgano nel risposo". Doveva trattarsi di un pompiere morto durante lo svolgimento del suo lavoro.
Di nuovo parlò la ragazza: «Mi fa paura comunque questo posto.»
«C’era proprio bisogno di venire fin qui, Mago?»
«Sì. Adesso, amico mio - mi rispose lui- ti spiego tutto.»
«Era ora!», risposi con tono brillante.
Il Mago declamò una specie di cantilena:
«Comincia un percorso di conoscenza, un’avventura legata al mondo del misticismo, della filosofia esoterica, della lettura delle mani e soprattutto dei tarocchi,
arti magiche e nobili che moltissime figure storicamente importantissime praticavano già secoli fa.
Noi crediamo fermamente in queste cose e ogni venerdì sera ci troviamo a turno a casa di ognuno di
noi per discutere, parlare, leggere brani dei grandi maghi del passato e dei mistici moderni, per fare
filosofia e predire il futuro con le carte. Ognuno di noi, seguendo un rito, ha pescato
una carta dal mazzo dei tarocchi, tra gli Arcani Maggiori.
Il Destino ha scelto per noi il nome del nuovo battesimo.»
“ Sì. Adesso mi è chiaro”, bisbigliai ma una dozzina d'occhi mi incenerì.
Ci fu una pausa, forse voluta.
Non riuscivo a capire se la cosa mi piaceva o mi spaventava. E se mi stesse piacendo proprio perché
in parte mi faceva paura?
«Procedo. Ognuno di noi ha pescato una carta e quella
carta svela le attitudini; ci deve da guida per l’avvenire.
Noi siamo il Mago, la Ruota della Fortuna, la Giustizia, l’Eremita, gli Amanti, l’Imperatore.Tu chi sarai invece? Lo vuoi sapere?»
«Sì, sono curioso.»
«Non basta la curiosità! - mi ammonì severo- Devi credere e sottostare; devi giurare di mantenere il segreto.»
Indugiai un attimo: i suoi occhi mi trafiggevano, fissi e accesi. Ma cosa mi costava pescare una carta almeno?
E poi, non avevo altri amici in quel paese nuovo.
«Bene. Adesso prendete dei lumini da fuori e disponeteli qui in cerchio. Io disporrò le carte mentre tu, Ruota, bendi il postulante.”
Fui preso da dietro e senza troppa delicatezza mi fu stretta una fascia di tela nera pesante attorno alla fronte e fu fatta poi calare sugli occhi.
Sentivo il frusciare delle carte disposte sulla terra della tomba e lo scricchiolio dei sassi sotto i piedi.
In lontananza, quasi come un’eco dall’aldilà, distinsi di nuovo la civetta.
Passarono cinque minuti: dei passi sui gradini e dei bisbigli.
“Ecco le candele.”
“Bene, mettetele a semicerchio dietro di me. Tu -disse prendendomi per mano - siediti qui,
seguimi.”
Camminando in modo goffo e impacciato poiché bendato, mi feci portare dalla mano salda del
Mago, che mi condusse per un paio di metri alla mia destra fino ad un punto preciso, poi egli si
fermò, di colpo, e mi impose di sedermi premendomi con le mani sulle spalle.
«Adesso, Amanti, la bevanda di vita.»
«Bevanda?»
Iniziai ad essere seriamente preoccupato per quel rituale, che sembrava satanico, più che
esoterico: il buio, il cimitero, le candele e ora? Chissà che cosa volevano farmi bere.
«Alloro e ricordo di stramonio - spiegò Amanti- serve a togliere dall’anima gli influssi negativi e i
condizionamenti, cosicché solo il fato guiderà la tua mano tremante.”
Sentii il freddo di qualcosa di vetro contro le labbra, il collo di una bottiglia, e alle narici mi giunse
un odore di alloro che trovai molto invitante: bevvi un sorso e assaporai il liquido dolce che mi scendeva nella gola.
In breve terminai tutta la bottiglia.
“Perfetto, ora che tutti abbiamo bevuto, che inizi la tua ricerca.”
Mi fu presa la mano: “Sotto hai le carte. Sceglile. Noi poi ti diremo il tuo futuro.”
Stesi la mano e iniziai ad agitarla in aria, a volte ritraendola laddove sentivo il calore bruciante delle
candele vicine.
Sentivo come una strana sensazione in me: una forza nuova, un’energia mai provata che mi invase e
mi fece eccitare.
A un certo punto ebbi come un calo di sensi, istantaneo, ma fortissimo: non sentivo più il mio
corpo, mi parve di essere solo uno spirito, di uscire quasi dalle carni. Pensai all’istante a quei mistici
indiani che dicono di poter compiere viaggi astrali pur stando immobili col corpo, quella fu la
sensazione che, per un attimo, mi pervase.
Decisi che, forse, quello era il segnale che mi indicava che sotto dove si trovava in quel momento
la mia mano c’era la mia carta: abbassai la destra, sentii il tarocco sotto le mie dita, lo toccai e di
nuovo mi sentii leggero. Ebbi ancora un attimo di stordimento.
Era la carta giusta, così la presi e la diedi al Mago.
«Perfetto. Togliti pure la benda.»
Levai il fazzoletto stretto sul viso e mi accorsi che era madido di sudore.
Riabituatisi alla luce delle torce, i miei occhi videro subito che i visi degli altri membri del gruppo erano
tesi, eccitati, in attesa del Mago che doveva svelare la carta capovolgendola.
«Adesso, esci dalla cripta. Ti richiamiamo noi finito il rituale.»
«Cosa? Devo stare là fuori da solo?»
«Mi spiace.»
Molto lentamente e a malincuore mi voltai verso l’apertura che dava sul cimitero e risalii le scale.
Mi appoggiai alla parete per aiutarmi sulla rampa ripida di scalini stretti, ma ritrassi subito la
mano: il muro era viscido e freddissimo, umido.
Mi pulii la mano sui pantaloni già sporchissimi essendomi
seduto a terra, quindi uscii fuori all’aria aperta.
Il cimitero era, se possibile, ancora più lugubre di prima, poiché ora il buio, senza buona parte dei
lumini, si era fatto più denso.
Presi un cero dalla tomba vicina e lo usai per farmi luce e scaldarmi un po’, anche se avrei giurato
che i brividi che mi scuotevano non erano dati dalla bassa temperatura.
Mi venne quasi da ridere: quando mia madre mi avrebbe chiesto dove ero stato e che avessimo
fatto che avrei potuto dire? "Sono stato a fare un giro in un cimitero e poi siamo entrati in una cripta
sfondando la porta, lì poi abbiamo parlato di tarocchi e abbiamo fatto un rituale di iniziazione, ora
sono membro di un gruppo di…Mistici? Esoterici? Di cosa?
Forse solo di pazzi, che altro! Cominciai a riflettere sulla assurdità di tutto quanto, sull’idiozia che sembrava pervadere un po' tutti e, chissà perché, mi venne in mente la parola “pericolo”.
Guardai l’ora: le undici.
Dalla cripta giungevano bisbigli, voci che si sovrapponevano, discutevano forse.
Attesi ancora e mi sedetti, mio malgrado, sul bordo del marciapiede che delimitava un’aiuola ormai
composta di ortiche e cardi, quindi vi posai al centro il cero.
Fu nel voltarmi per posare la candela che mi parve di vedere una sagoma fuggire a nascondersi
dietro una cappelletta.
«Chi va là? Chi c’è? Ti ho visto!»
Mi alzai e mi accorsi di reggermi con difficoltà sulle gambe: tremavo e iniziavo a sudare, mentre la
vista a tratti si offuscava.
Che diavolo, non starò per ammalarmi di nuovo spero!
Mi risedetti, sperando che passasse ma vidi le lapidi vorticare attorno a me e la testa diede due
violente pulsazioni, rapidissime, ma forti: negli orecchi il rimbombava il ritmo del cuore.
Sudavo ancora, ma stavolta erano gocce fredde a imperlarmi la fronte.
Dopo una decina di minuti una luce si fece via via più intensa da dentro la cripta: qualcuno saliva le
scale.
Sulla porta della tomba si stagliò il profilo del Mago, il cui viso, illuminato da una danza di luci e coreografata dal cero che aveva in mano, aveva una strana espressione allucinata.
Ebbi un'altra scossa, l’ennesimo giramento di testa e di nuovo la sensazione di essere proiettato fuori dal mio corpo.
«Vieni. Veloce.»
«Che c’è?» dissi seguendolo giù per le scale che avevo faticosamente salito poco prima.
Tornai nella tomba: l’aria parve più pesante, più cupa e più stantia, mentre notai la stessa espressione allucinata sui volti degli altri, gli stessi occhi arrossati e lo stesso sudore che lucidava la pelle. Le braccia erano scosse da tremiti.
Non avevo più dubbi: la bevanda.
«Devi riprovare, c’è stato un errore nel rito.»
Fu di nuovo il Mago a parlare, col solito tono secco e asciutto.
«Non ci siamo stretti le mani attorno a te. Non vale la carta presa.»
«Devo…» Nemmeno finii di parlare che di nuovo una benda mi tolse la facoltà di vedere.
Stavolta, velocemente per l’ora tarda e perché rifare tutto un po’ mi seccava, pescai una carta a caso.
Bisbigli, rumorini, grida.
«Mostracela, Mago.»
Il capo non rispose, ma stette in silenzio, respirando in modo via via più pesante e turbato.
Mugugni dagli altri membri del gruppo, quindi un grido strozzato dalla ragazza.
«Non serve- disse in tono cupo il Mago- È la stessa di prima. Avevo ragione io.»
«Chi sono allora? Voglio vedere...»
Non feci in tempo a terminare la frase. Qualcosa di pesante mi colpì violentemente alla tempia destra: il dolore lancinante fu accompagnato dal solletico caldo
del sangue che colava.
Caddi sulle ginocchia urlando: «Che fate?!?»
«Ti sacrifichiamo!»
E di nuovo sentii un dolore fortissimo alla bocca dello stomaco, un calcio sferzato con forza e
precisione che mi bloccò il respiro.
Rantolai e caddi bocconi, quindi qualcuno mi prese le mani e me le legò dietro la schiena.
Iniziai a delirare: allucinazioni e voci riempivano la mia mente e i miei occhi, poi fui colpito ancora e ancora...
Madido di sangue restai sul pavimento sbavando sulla terra polverosa che mi era entrata fin sotto la lingua, quindi un brivido enorme mi fece boccheggiare e infine spense tutti i miei sensi.
L’ultima cosa che sentii furono qualcosa che mi perorreva la schiena in linee diritti.

***

12 ottobre 1964

La signora Lewis aveva appena finito di sistemare l’orto dopo che aveva lavorato per due ore buone.Aveva iniziato come al solito dopo che il vecchio gallo aveva cantato la sua flebile sveglia e decise di rientrare in casa per mettersi uno scialle colorato, cambiare le pantofole e indossare le uniche scarpe che possedeva, un paio di sandali di nappa.
Uscì di casa velocemente, ma poi pensò che doveva anche pettinarsi, quindi rientrò nella casetta colonica e si pettinò specchiandosi nel tinello della camera da letto.
Era pronta per far visita al marito: lasciò la casa, chiuse a chiave, salutò le due oche e il gallo e
iniziò a camminare verso il vecchio cimitero guardandosi attorno per vedere se c’era qualche bel fiore che spuntava sul bordo della strada sterrata. Ma non ve n’erano, non era la stagione.
Raccolse così solo alcuni funghi che parevano commestibili, un mazzetto di ortiche coperte di brina e
due denti di leone che mise in tasca per il pranzo.
Camminò lentamente, curva per via della scoliosi alla schiena e lenta per la fatica che già aveva
sulle spalle, fino al camposanto.
Giunse al cimitero poco dopo, verso le dieci a giudicare dal sole, e andò diretta alla lapide inginocchiandosi.
«Oh, caro mio, scusami se non ho fiori ma non se ne trovano ancora. Due denti di leone, ecco, sono gialli come il sole.»
In quell’istante, un rumore strano giunse alle orecchie della donna. Veniva dalla tomba vicina, quella del bambino.
Si fece forza e avanzò lentamente, spaventata, inciampò in un sasso.
Udiva un qualcosa di metallico, ma, concentrandosi, riconobbe che era un motivetto che le pareva di conoscere e che non proveniva nemmeno dalla tomba
del bambino, come aveva creduto.
La donna si alzò e voltò lo sguardo verso la cripta della vecchia famiglia di signori e notò il lucchetto aperto e che la porta era socchiusa.
Si avvicinò lentamente, quindi appoggiò l’orecchio al legno.
Attese un minuto, il cimitero era tornato sotto la sua pesante coltre di silenzio, poi, dal
nulla, ricominciò la melodia: proveniva dalla cripta, ne era sicura.
Con cautela e le mani tremanti la vedova aprì l’ingresso cigolante e guardò in fondo agli scalini
illuminati dalla luce che proveniva da dietro di lei. Infine urlando scese velocemente la rampa.
Il corpo di un ragazzo adolescente era attorniato di ceri spenti. La testa era una massa di capelli e sangue raggrumato.
Fu allora, che un motivetto meccanico echeggiò forte nella cripta levandosi da un orologio la sveglia a carillon.



Edited by nonno5 - 10/5/2011, 21:42
 
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folgorata
view post Posted on 9/5/2011, 15:20




C'è del buono ragazzo :-)
Qua sotto lo sgrossamento iniziale.


PROLOGO


11 ottobre 1964

“Ci sono!” dissi annaspando per la corsa.
“Scusate il ritardo!”
Il resto del gruppo lo guardò con occhiate torve, in silenzio, quindi quello che doveva essere il capo prese a parlare.
“Questa volta te la abboniamo - disse in tono severo- ma le prossime no:proprio stasera ritardi? Incredibile!” Sbottò.
“Vi chiedo scusa… Manco davvero solo io?”
Mi guardai attorno e contai sei visi intenti: le ombre della sera già si allungavano per divorare ogni singola casa, ogni albero ed ogni strada di quel paesetto di campagna.
Sei persone, sette con me: c’eravamo tutti. Adesso.
Ottobre inoltrato, nebbia fitta, niente luna: era la serata giusta. Era la serata propizia, continuavano a ripetere, ma cosa stesse per accadere non potevo saperlo. Tutto il programma era a me oscuro e la cosa mi rendeva teso, ma anche piacevolmente eccitato.
«Be’, ora che ci sono, che si fa?», dissi rompendo gli indugi, seppur intimorito dal silenzio totale in
cui eravamo immersi e dagli occhi che mi fissavano con un guizzo divertito e maligno.
Avevano in serbo qualche scherzo per me? Non sarebbe stata certo la prima volta che mi capitava.
Per circa un minuto non accadde nulla, solo una dozzina di pupille che si mossero rapide e scattanti, in varie direzioni.
Poi, finalmente, con un gesto deciso della mano destra, uno di loro ci invitò a seguirlo e parlò.
«Vi ricordo la regola numero uno: da adesso è vietato chiamarci per nome. Per te - disse indicandomi - troveremo presto un nome. E’ una delle cose che faremo questa sera!»
«E chi lo sceglie? Tutti assieme?»
«No, certe decisioni sono troppo grandi per noi. Non ci spettano.»
«E a chi spettano allora? Chi sceglierà per me?»
«Il Destino.»
Dopo una decina di minuti di cammino, in un silenzio religioso che faceva sembrare la nostra uscita
quasi una processione, varcammo il confine del paese e ci trovammo a ridosso di una stradicciola
sterrata: l’umido della nebbia e delle recenti piogge avevano reso il terreno così fangoso che al solo
sguardo si poteva percepire la consistenza molle di uno strato di melma che copriva il percorso.
C’erano impronte di cane sulla via, sembrava una strada che non veniva percorsa da anni, con ortiche e ciuffi di ambrosia che crescevano ai bordi, vicino ad un
recinto di legno che poi diventava un muretto basso di pietra che correva parallelo a noi fino a perdersi nella foschia.
«Di qui?», disse qualcuno in tono perplesso.
«Sì. Seguitemi. Prima però…» Si bloccò e tirò fuori dalle tasche alcune torce a pila.
Con una serie di clic la strada divenne illuminata e la nebbia fu trafitta da lunghi raggi di luce biancastra.
Si ricominciò a camminare, sempre in silenzio, mentre la mia angoscia cresceva: avevo uno strano presentimento.
Brutto.
Il fango, dopo una ventina di minuti di cammino, raggiungeva le caviglie, inzuppando scarpe e le calze, e sporcandomi i jeans nuovi, costringendomi a risvoltarli almeno a tre giri.
«Potevate dirmi che c’era fango… Mia mamma mi ucciderà, le ho detto che forse saremmo andati al bar!»
«Inventerai una scusa.»
«E voi che avete detto ai vostri genitori? Che andavate a fare una gita in campagna?»
«Qui non amiamo il sarcasmo, sappilo.»
Nessuno mi rispose più, ma udii sbuffare e qualche sussurro seguito da risatine contenute.
Risi anch’io tra me e me e guardai l’ora, le dieci, quindi puntai la sveglia per la mattina seguente, per le undici.
Poco dopo, finalmente, si intravide qualcosa in fondo alla strada di nebbia: delle luci.
«È un paese? - chiesero- Se è così sembra ancora lontano…»
«Sembrano strane come luci…Non sembrano lampadine elettriche…»
«Non è un paese, e non sono case quelle luci che vedi» rispose il capo gruppo.
«Cosa sono, allora?»
«Siamo arrivati, al bivio a destra. Tra poco vedrete.»
Facemmo un centinaio di metri e ci trovammo ad una colonnina che reggeva due frecce di legno
scolorite, una che puntava a sinistra e una che puntava a destra.
Non si leggeva nulla poichè il legno era marcio, ma fui certo di vedere qualcosa inciso nella freccia
che sembrava una croce, e infatti, un paio
di minuti dopo, compresi che le luci erano lumini di un cimitero.
«Quelli li ho messi io prima di venire qui - disse indicando le candele bianche appoggiate sulle lapidi - per evitare di usare le torce. Per non farci notare se dovesse passare qualcuno.”
Ci fermammo.
Un cancello di ferro abbracciava il perimetro della terra consacrata, racchiudendo una decina di
gruppi di piccole tombe grigie e spoglie, molte delle quali crepate o invase dalla morsa dell’edera come un serpente verde che strisciava fuori dalla sua tana nel terreno.
La luce debole si rifletteva nella pietra lucida d'umidità e sulle dorature delle scritte.
«Entriamo, Mago?»
«Sì. Il cancello è scardinato.»
Mago? Che razza di nome era?
Mi accodai agli altri ma fui subito afferrato per la spalla: «Tu sei il primo, entrerai subito dietro di me.»
Annuii spaventato con un cenno del capo.
Il ragazzo davanti prese con due mani il cancello e iniziò a scostarlo lentamente: cigolava
parecchio e accanto a esso, sulla colonnina dove erano fissati i cardini, venne a posarsi una grossa civetta. Dalla bocca le penzolava la coda di un topo.
«Che schifo! Ho paura Mago!», disse una ragazza.
Incrociai lo sguardo del rapace e non potei non pensare alla leggenda che fosse la custode delle anime dei morti: in effetti, pareva davvero controllare chi osasse profanare quel luogo.
«Muoviti!», sibilò il capo, destandomi dai miei pensieri.
Tremando, mi avvicinai al ferro freddodel cancello ed entrai di traverso nell’apertura comprimendomi nel piccolo spazio tra la colonna e la cancellata.
La civetta, accanto a me, emise un lungo, lugubre verso, quindi volò via con uno sbattere d’ali per
andarsi a posare in alto su un cipresso lì vicino.
Nonostante la nebbia, i suoi occhi nel buio brillavano ancora intensamente e parevano perforarmi.
Mi voltai, scacciai ogni pensiero ed attesi che tutti fossero entrati nel cimitero assieme al Mago.
Il luogo era davvero desolante, molte tombe non avevano né nome e né fiori. Laddove ce n’erano, erano appassiti da tempo: pareva che in quel camposanto fosse calata la
morte… sulla morte.
Scosso dall’ennesimo brivido qualcuno mi spinse avanti, quindi ripresi il cammino sul terreno ghiaioso e mi bloccai, assieme al capogruppo, davanti a una porta di legno con diversi buchi agli angoli.
«Entriamo.»
«Ma, è una tomba!»
«Una tomba sotterranea, una cripta. È un posto sicuro. Non entra nessuno perché la famiglia cui appartiene si è estinta, sono tutti morti.» Il ragazzo però si interruppe e si voltò, accigliato.
Dalla cripta giungevano dei rumori. Nel silenzio, dopo di lui, li sentimmo tutti.
Dietro di me, la solita voce femminile emise un mugolio spaventato: «E se fosse… il fantasma di qualcuno?»
«Non crederete a certe storie? Ora apro e vediamo cosa c’è dentro.»
Udii il rumore di una mano che rovistava nelle tasche e poi quello di un arnese, forse un cacciavite,
che venne infilato nel lucchetto della porta tarlata.
Il rumore da dentro continuava, a intermittenza, facendosi più forte.
Ci fu una pausa, quindi, con un movimento secco del polso, il Mago fece saltare via il lucchetto che andò a rimbalzare su una tomba minucola inumata a poca distanza.
«Ci siamo.»
Il rumore proveniente dalle viscere della terra aumentò ancora, ma il ragazzo aprì la porta comunque, con cautela, stando attendo a non scardinare anche quella per non lasciare tracce del nostro passaggio.
L'odore di stantio ci investì in pieno, quindi si udì l’ennesimo fruscio e poi la voce femminile alle mie spalle urlò: una coppia di pipistrelli apparve squittendo dal buio, passò a pochi centimetri dalle nostre teste e volò via ingoiata dalla nebbia.
Sobbalzammo tutti e poi scoppiammo a ridere nervosamente.
«Fantasmi eh? Idiota. Avanti, dietro di me, si scende.»
A malincuore lo seguii achìio giù per una breve, ma ripida rampa di scale, che portava verso il buio.
Non appena i piedi toccarono la terra dura della cripta, furono di nuovo accese le torce: la
tomba era uno stanzone quadrato e spoglio, con alcune fotografie dei defunti sulla parete
dietro il sarcofago doppio, che era appoggiato su un rialzo di pietra.
Tutto era coperto di polvere umida e ragnatele e nessuna
apertura verso l'esterno che non fosse l'accesso alla scale dalla quare eravamo giunti .
Incuriosito, mi spostai verso le foto, in bianco e nero, appese al muro.
C’erano una donna, morta di temperamento sereno a giudicare dal sorriso appena accennato e un uomo molto giovane. Sotto di lui, una piccola dedica ne ricordava la prematura scomparsa: "le fiamme non hanno avuto pietà ma conducano in cielo il tuo animo generoso, che i freschi pascoli eterni ti accolgano nel risposo". Doveva trattarsi di un pompiere morto durante lo svolgimento del suo lavoro. (LE FOTO DEI DEFUNTI LI RITRAGGONO DI NORMA BELLI E VESTITI A FESTA, NO SONO MICA LE FOTO DEL CADAVERE!!!)
Di nuovo parlò la ragazza: «Mi fa paura comunque questo posto.»
«C’era proprio bisogno di venire fin qui, Mago?»
«Sì. Adesso, amico mio - mi rispose lui- ti spiego tutto.»
«Era ora!», risposi con tono brillante.
Il Mago declamò una specie di cantilena:
«Comincia un percorso di conoscenza, un’avventura legata al mondo del misticismo, della filosofia esoterica, della lettura delle mani e soprattutto dei tarocchi,
arti magiche e nobili che moltissime figure storicamente importantissime praticavano già secoli fa.
Noi crediamo fermamente in queste cose e ogni venerdì sera ci troviamo a turno a casa di ognuno di
noi per discutere, parlare, leggere brani dei grandi maghi del passato e dei mistici moderni, per fare
filosofia e predire il futuro con le carte. Ognuno di noi, seguendo un rito, ha pescato
una carta dal mazzo dei tarocchi, tra gli Arcani Maggiori.
Il Destino ha scelto per noi il nome del nuovo battesimo.»
“ Sì. Adesso mi è chiaro”, bisbigliai ma una dozzina d'occhi mi incenerì.
Ci fu una pausa, forse voluta.
Non riuscivo a capire se la cosa mi piaceva o mi spaventava. E se mi stesse piacendo proprio perché
in parte mi faceva paura?
«Procedo. Ognuno di noi ha pescato una carta e quella
carta svela le attitudini; ci deve da guida per l’avvenire.
Noi siamo il Mago, la Ruota della Fortuna, la Giustizia, l’Eremita, gli Amanti, l’Imperatore.Tu chi sarai invece? Lo vuoi sapere?»
«Sì, sono curioso.»
«Non basta la curiosità! - mi ammonì severo- Devi credere e sottostare; devi giurare di mantenere il segreto.»
Indugiai un attimo: i suoi occhi mi trafiggevano, fissi e accesi. Ma cosa mi costava pescare una carta almeno?
E poi, non avevo altri amici in quel paese nuovo.
«Bene. Adesso prendete dei lumini da fuori e disponeteli qui in cerchio. Io disporrò le carte mentre tu, Ruota, bendi il postulante.”
Fui preso da dietro e senza troppa delicatezza mi fu stretta una fascia di tela nera pesante attorno alla fronte e fu fatta poi calare sugli occhi.
Sentivo il frusciare delle carte disposte sulla terra della tomba e lo scricchiolio dei sassi sotto i piedi.
In lontananza, quasi come un’eco dall’aldilà, distinsi di nuovo la civetta.
Passarono cinque minuti: dei passi sui gradini e dei bisbigli.
“Ecco le candele.”
“Bene, mettetele a semicerchio dietro di me. Tu -disse prendendomi per mano - siediti qui,
seguimi.”
Camminando in modo goffo e impacciato poiché bendato, mi feci portare dalla mano salda del
Mago, che mi condusse per un paio di metri alla mia destra fino ad un punto preciso, poi egli si
fermò, di colpo, e mi impose di sedermi premendomi con le mani sulle spalle.
«Adesso, Amanti, la bevanda di vita.»
«Bevanda?»
Iniziai ad essere seriamente preoccupato per quel rituale, che sembrava satanico, più che
esoterico: il buio, il cimitero, le candele e ora? Chissà che cosa volevano farmi bere.
«Alloro e ricordo di stramonio - spiegò Amanti- serve a togliere dall’anima gli influssi negativi e i
condizionamenti, cosicché solo il fato guiderà la tua mano tremante.”
Sentii il freddo di qualcosa di vetro contro le labbra, il collo di una bottiglia, e alle narici mi giunse
un odore di alloro che trovai molto invitante: bevvi un sorso e assaporai il liquido dolce che mi scendeva nella gola.
In breve terminai tutta la bottiglia.
“Perfetto, ora che tutti abbiamo bevuto, che inizi la tua ricerca.”
Mi fu presa la mano: “Sotto hai le carte. Sceglile. Noi poi ti diremo il tuo futuro.”
Stesi la mano e iniziai ad agitarla in aria, a volte ritraendola laddove sentivo il calore bruciante delle
candele vicine.
Sentivo come una strana sensazione in me: una forza nuova, un’energia mai provata che mi invase e
mi fece eccitare.
A un certo punto ebbi come un calo di sensi, istantaneo, ma fortissimo: non sentivo più il mio
corpo, mi parve di essere solo uno spirito, di uscire quasi dalle carni. Pensai all’istante a quei mistici
indiani che dicono di poter compiere viaggi astrali pur stando immobili col corpo, quella fu la
sensazione che, per un attimo, mi pervase.
Decisi che, forse, quello era il segnale che mi indicava che sotto dove si trovava in quel momento
la mia mano c’era la mia carta: abbassai la destra, sentii il tarocco sotto le mie dita, lo toccai e di
nuovo mi sentii leggero. Ebbi ancora un attimo di stordimento.
Era la carta giusta, così la presi e la diedi al Mago.
«Perfetto. Togliti pure la benda.»
Levai il fazzoletto stretto sul viso e mi accorsi che era madido di sudore.
Riabituatisi alla luce delle torce, i miei occhi videro subito che i visi degli altri membri del gruppo erano
tesi, eccitati, in attesa del Mago che doveva svelare la carta capovolgendola.
«Adesso, esci dalla cripta. Ti richiamiamo noi finito il rituale.»
«Cosa? Devo stare là fuori da solo?»
«Mi spiace.»
Molto lentamente e a malincuore mi voltai verso l’apertura che dava sul cimitero e risalii le scale.
Mi appoggiai alla parete per aiutarmi sulla rampa ripida di scalini stretti, ma ritrassi subito la
mano: il muro era viscido e freddissimo, umido.
Mi pulii la mano sui pantaloni già sporchissimi essendomi
seduto a terra, quindi uscii fuori all’aria aperta.
Il cimitero era, se possibile, ancora più lugubre di prima, poiché ora il buio, senza buona parte dei
lumini, si era fatto più denso.
Presi un cero dalla tomba vicina e lo usai per farmi luce e scaldarmi un po’, anche se avrei giurato
che i brividi che mi scuotevano non erano dati dalla bassa temperatura.
Mi venne quasi da ridere: quando mia madre mi avrebbe chiesto dove ero stato e che avessimo
fatto che avrei potuto dire? "Sono stato a fare un giro in un cimitero e poi siamo entrati in una cripta
sfondando la porta, lì poi abbiamo parlato di tarocchi e abbiamo fatto un rituale di iniziazione, ora
sono membro di un gruppo di…Mistici? Esoterici? Di cosa?
Forse solo di pazzi, che altro! Cominciai a riflettere sulla assurdità di tutto quanto, sull’idiozia che sembrava pervadere un po' tutti e, chissà perché, mi venne in mente la parola “pericolo”.
Guardai l’ora: le undici.
Dalla cripta giungevano bisbigli, voci che si sovrapponevano, discutevano forse.
Attesi ancora e mi sedetti, mio malgrado, sul bordo del marciapiede che delimitava un’aiuola ormai
composta di ortiche e cardi, quindi vi posai al centro il cero.
Fu nel voltarmi per posare la candela che mi parve di vedere una sagoma fuggire a nascondersi
dietro una cappelletta.
«Chi va là? Chi c’è? Ti ho visto!»
Mi alzai e mi accorsi di reggermi con difficoltà sulle gambe: tremavo e iniziavo a sudare, mentre la
vista a tratti si offuscava.
Che diavolo, non starò per ammalarmi di nuovo spero!
Mi risedetti, sperando che passasse ma vidi le lapidi vorticare attorno a me e la testa diede due
violente pulsazioni, rapidissime, ma forti: negli orecchi il rimbombava il ritmo del cuore.
Sudavo ancora, ma stavolta erano gocce fredde a imperlarmi la fronte.
Dopo una decina di minuti una luce si fece via via più intensa da dentro la cripta: qualcuno saliva le
scale.
Sulla porta della tomba si stagliò il profilo del Mago, il cui viso, illuminato da una danza di luci e coreografata dal cero che aveva in mano, aveva una strana espressione allucinata.
Ebbi un'altra scossa, l’ennesimo giramento di testa e di nuovo la sensazione di essere proiettato fuori dal mio corpo.
«Vieni. Veloce.»
«Che c’è?» dissi seguendolo giù per le scale che avevo faticosamente salito poco prima.
Tornai nella tomba: l’aria parve più pesante, più cupa e più stantia, mentre notai la stessa espressione allucinata sui volti degli altri, gli stessi occhi arrossati e lo stesso sudore che lucidava la pelle. Le braccia erano scosse da tremiti.
Non avevo più dubbi: la bevanda.
«Devi riprovare, c’è stato un errore nel rito.»
Fu di nuovo il Mago a parlare, col solito tono secco e asciutto.
«Non ci siamo stretti le mani attorno a te. Non vale la carta presa.»
«Devo…» Nemmeno finii di parlare che di nuovo una benda mi tolse la facoltà di vedere.
Stavolta, velocemente per l’ora tarda e perché rifare tutto un po’ mi seccava, pescai una carta a caso.
Bisbigli, rumorini, grida.
«Mostracela, Mago.»
Il capo non rispose, ma stette in silenzio, respirando in modo via via più pesante e turbato.
Mugugni dagli altri membri del gruppo, quindi un grido strozzato dalla ragazza.
«Non serve- disse in tono cupo il Mago- È la stessa di prima. Avevo ragione io.»
«Chi sono allora? Voglio vedere...»
Non feci in tempo a terminare la frase. Qualcosa di pesante mi colpì violentemente alla tempia destra: il dolore lancinante fu accompagnato dal solletico caldo
del sangue che colava.
Caddi sulle ginocchia urlando: «Che fate?!?»
«Ti sacrifichiamo!»
E di nuovo sentii un dolore fortissimo alla bocca dello stomaco, un calcio sferzato con forza e
precisione che mi bloccò il respiro.
Rantolai e caddi bocconi, quindi qualcuno mi prese le mani e me le legò dietro la schiena.
Iniziai a delirare: allucinazioni e voci riempivano la mia mente e i miei occhi, poi fui colpito ancora e ancora...
Madido di sangue restai sul pavimento sbavando sulla terra polverosa che mi era entrata fin sotto la lingua, quindi un brivido enorme mi fece boccheggiare e infine spense tutti i miei sensi.
L’ultima cosa che sentii furono qualcosa che mi perorreva la schiena in linee diritti.

***

12 ottobre 1964

La signora Lewis aveva appena finito di sistemare l’orto dopo che aveva lavorato per due ore buone.Aveva iniziato come al solito dopo che il vecchio gallo aveva cantato la sua flebile sveglia e decise di rientrare in casa per mettersi uno scialle colorato, cambiare le pantofole e indossare le uniche scarpe che possedeva, un paio di sandali di nappa.
Uscì di casa velocemente, ma poi pensò che doveva anche pettinarsi, quindi rientrò nella casetta colonica e si pettinò specchiandosi nel tinello della camera da letto.
Era pronta per far visita al marito: lasciò la casa, chiuse a chiave, salutò le due oche e il gallo e
iniziò a camminare verso il vecchio cimitero guardandosi attorno per vedere se c’era qualche bel fiore che spuntava sul bordo della strada sterrata. Ma non ve n’erano, non era la stagione.
Raccolse così solo alcuni funghi che parevano commestibili, un mazzetto di ortiche coperte di brina e
due denti di leone che mise in tasca per il pranzo.
Camminò lentamente, curva per via della scoliosi alla schiena e lenta per la fatica che già aveva
sulle spalle, fino al camposanto.
Giunse al cimitero poco dopo, verso le dieci a giudicare dal sole, e andò diretta alla lapide inginocchiandosi.
«Oh, caro mio, scusami se non ho fiori ma non se ne trovano ancora. Due denti di leone, ecco, sono gialli come il sole.»
In quell’istante, un rumore strano giunse alle orecchie della donna. Veniva dalla tomba vicina, quella del bambino.
Si fece forza e avanzò lentamente, spaventata, inciampò in un sasso.
Udiva un qualcosa di metallico, ma, concentrandosi, riconobbe che era un motivetto che le pareva di conoscere e che non proveniva nemmeno dalla tomba
del bambino, come aveva creduto.
La donna si alzò e voltò lo sguardo verso la cripta della vecchia famiglia di signori e notò il lucchetto aperto e che la porta era socchiusa.
Si avvicinò lentamente, quindi appoggiò l’orecchio al legno.
Attese un minuto, il cimitero era tornato sotto la sua pesante coltre di silenzio, poi, dal
nulla, ricominciò la melodia: proveniva dalla cripta, ne era sicura.
Con cautela e le mani tremanti la vedova aprì l’ingresso cigolante e guardò in fondo agli scalini
illuminati dalla luce che proveniva da dietro di lei. Infine urlando scese velocemente la rampa.
Il corpo di un ragazzo adolescente era attorniato di ceri spenti. La testa era una massa di capelli e sangue raggrumato.
Fu allora, che un motivetto meccanico echeggiò forte nella cripta levandosi da un orologio la sveglia a carillon.

(Il ragazzo non può essere sepolto dalla donna, non è verosimile e bisogna controllare se potevano esistere orogi a suoneria meccanica nelgi anni sessanta. Vai su Wikipedia, studiati che cos'è una "fabula" e mandamela per email. Complessivamente la scena è descritta in modo che avvince, ti ho fatto la ripulitura. Fai copia e incolla e sostituisci al capitolo che hai postato tu qui sopra. Poi rileggeremo avrò sicuramente fatto a mia volta delle cazzate.)
 
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mandar
view post Posted on 9/5/2011, 18:12




Ciao Nonno! :D
Allora, dopo che avrai mandato la fabula/trama a Folgorata e vi sarete accordati, mi unirò al tuo editing.
 
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nonno5
view post Posted on 10/5/2011, 20:28




allora, io ho già mandato la fabula a una certa Monica (il mio vero nome è Mattia Gelosa), non so se sia lei Folgorata...Comunque l'orologio con la sveglia esisteva perchè ne ha uno simile mio nonno e il suo è del '55 circa! ;) infine, la donna non seppelisce il ragazzo, lo si lascia intendere, ma in realtà non lo fa e più avanti si capisce perchè...
 
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folgorata
view post Posted on 10/5/2011, 20:47




Ma è sbagliato anche che pensi solo di farlo
 
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margaret gaiottina
view post Posted on 10/5/2011, 21:12




Ciao Nonno/Mattia, vieni qui
https://docks.forumcommunity.net/?t=38190353&st=345#lastpost a dirci due cose della tua vita!
 
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nonno5
view post Posted on 10/5/2011, 21:54




Ok, quello che fa la donna comunque non è importante. Basta che si dica trovi il ragazzo!
 
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nonno5
view post Posted on 12/5/2011, 10:34




CAPITOLO 1

9 febbraio 2003

Un sole rosso fuoco basso sull’orizzonte dipingeva con colori accesi le finestre delle palazzine
residenziali di Charing Cross Road e della National Gallery, il cuore del quartiere che, nonostante la
sera imminente, pullulava ancora di persone indaffarate che correvano come migliaia di formiche
lungo i marciapiedi o si infuriavano, stressati e stanchi,nelle auto accodate al solito, lunghissimo,
semaforo.
Simon Decker era proprio in mezzo al quel traffico quando decise di spegnere il motore della sua
Mercedes, dato che la coda era immobile da cinque minuti, e quando ricevette una telefonata.
Lesse il display: Anne.
“ Pronto tesoro?”
“ Simon, sei ancora in ufficio? Non dovevi arrivare per le sette?”
La voce della moglie, forzatamente serena e rilassata, non riusciva a mascherare l’ansia e la
preoccupazione della donna.
“ Ehi, lo sai che c’è traffico- rispose lui dolcemente- quindi ritardo un po’, siamo bloccati al solito
incrocio col museo.Che casino! Ma che…”
Una cacofonia di clacson e imprecazioni si levò così forte che fu udibile all’altro capo del telefono
in modo chiaro e distinto: qualcuno cercava di cambiare corsia preferenziale e stava bloccando
tutto.
“ Idiota!…Scusa cara, dicevo che qui è un casino, è tutto fermo, ma stai tranquilla, non mi è
successo niente!”
“ Ok…Ti aspetto.”
“ Ti aspettiamo vorrai dire! Come sta?”
“ Scalcia abbastanza adesso, e se mi metto in certe posizioni sento qualcosa che sporge: un piedino
magari, una mano…Oh Dio, è stupendo!”
“ E’ mio figlio, avevi dubbi?- scherzò- Ti amo, arrivo.”
Un suono sordo chiuse la chiamata e Simon gettò distrattamente il cellulare sul sedile del
passeggero, quindi riaccese il motore dell’auto e la radio.
Venti minuti dopo una Mercedes nera arrivò al civico 23 e parcheggiò nel posto riservato.
Da essa scese un uomo sulla trentina, con dei capelli ricci e scuri che contrastavano con gli occhi
verdi e accesi di una luce colma di intelligenza, acutezza e solarità.
Chiuse l’auto sportiva, diede una pulita al parabrezza con un fazzolettino e quindi entrò nel palazzo.
Al terzo piano, sul pianerottolo, una donna bionda guardava nervosamente nella tromba delle scale,
in attesa di vedere arrivare la consueta figura in giacca e cravatta che l’avrebbe baciata sulla porta e
poi l’avrebbe riaccompagnata nell’appartamento numero 12, un trilocale arredato con mobili
moderni e luminosi che lasciavano molto spazio libero.
“ Aspetti il principe azzurro?” Scherzò lui.
“ Sì, ma mi sa che non arriverà mai” rise lei.
“ Oh, vediamo se posso farne le veci io allora, se riesco a convincerti…Così!”
Il bacio fu dolce e delicato, ma pieno di passione e amore, come se i due fossero all’inizio del loro
percorso di convivenza che invece era già stato confermato dal rito delle nozze.
“ Entriamo prima che ci vedano!”
“ E chi vuoi che ci veda? La vecchia signora qui accanto?”
“ Scherzi tu, ma quella è una pettegola!”
“ Uh, meglio nasconderci allora!” Disse lui chiudendosi lentamente la porta alle spalle, imitando
una persona inseguita che non vuole far vedere dove si sta nascondendo.
“ Allora, com’è andata oggi? Qualche cosa di serio?”
“ Per fortuna no: ho solo sistemato un po’ l’archivio dei vecchi casi, chiamato il tecnico per il
telefono fisso che ogni tanto non dà nessun segno di vita e ho telefonato anche al dottore per il tuo
ultimo esame. Ti ho preso appuntamento per domani alle quindici, va bene?”
“ Direi di sì, lo sai che al momento sono a casa a cucire e guardare la TV!”
“ Bè, non che io in ufficio faccia molto di più, solo che, sai, un uomo che cuce…”
“ Un poliziotto come te poi!”
“ Oh, io un banale poliziotto? Signorina, io sono un agente del MI5, esigo che venga rispettata la
mia posizione!”
“ Agli ordini agente!”
In quel momento una smorfia di dolore lacerò il sorriso di Anne, come un lampo a ciel sereno in
estate.
“ Che c’è? Una fitta?”
“ Un calcetto sì. Ormai sono frequenti, massimo un paio di settimane credo e finalmente saremo
mamma e papà.”
“ Già.Fammi sentire il bambino, si muove?”
“ Eccome. Gira e si rigira tutto il giorno!”
Simon alzò la maglietta della moglie e le porse l’orecchio contro il ventre: dalla pancia arrivavano
suoni liquidi e di pulsazioni, forse il cuore del piccolo era vicino.
“ Oh, sento qualcosa…” disse con gli occhi lucidi.
“ Che cosa?”
“ parla…”
“ parla? Ma che dici!”
“ Shht,aspetta…Dice che è felice.”
“ Simon Decker tu sei matto!”
“ Oh, no, mi sta dicendo che è felice perché sa che avrà la mamma più brava del mondo!”
“ Ah, sei un tesoro” sussurrò lei accarezzandogli i morbidi capelli scuri.
“ Come te lo immagini?” Disse lei d’un tratto.
“ Mmm…Non ci ho ancora pensato sai? Preferisco la sopresa. L’importante è che sia sano, e per il
dottore lo è.”
“ Vero, ma non ci credo che tu non hai mai pensato nemmeno per un momento a come potesse
essere. Non hai mai immaginato come poteva essere tua moglie?”
“ Oh sì, certo.”
“ Ah, e come la immaginavi?”
“ Esattamente così” sorrise lui.
“ Ah, bugiardo!”
I due scoppiarono a ridere, ma tutt’un tratto sul volto di lei calò un’ombra di malinconia.
Lui la guardò e attese che passasse, quindi lei sorrise, fingendo che nulla fosse accaduto, ma poi Simon le
prese le mani, la fissò dritto negli occhi e parlò..
“ Anne, ti prego, non pensarci…”
“ Io…”
Attese, quindi si decise a confessare: “Lo so che non dovrei, ma come faccio? Fai un lavoro
meraviglioso, sei una forza dell’ordine e della giustizia, sei il bene che lotta contro il male, ma è un
mestiere pericoloso Simon, troppo pericoloso perché tua moglie possa stare serena nel momento in
cui si trova a dover accudire da sola un figlio in attesa del tuo ritorno a casa che non è mai
assicurato.”
“ Ehi, esageri. Sono alle prese con scartoffie e appunti, cosa deve succedermi? Temi che i cassetti di
ferro dell’archivio mi ingoino? Ti prego, non farti paranoie inutili, va tutto bene.”
“ Adesso! E se succede un nuovo caso come quello di maggio? L’omicida ti aveva sparato e per
fortuna ha preso di striscio la tua gamba, ma i segni ci sono, sulla tua pelle e nella mia mente.
Ricordo la telefonata del commissario, con la sua voce calma e così…Finta!
Mi disse che ti avevano sparato ad una gamba, che stavi bene e non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Certo, perché il colpo diretto sul tuo cuore fu bloccato dal giubbetto antiproiettili, se no a quest’ora
ero già vedova!”
“ Tesoro, non succederà mai più, te lo prometto.”
“ Non promettere quello che sai di non poter mantenere! Giuri il falso e menti già dall’inizio.”
“ Quello che voglio dire è che non ho molta scelta, è l’unico modo che abbiamo per pagare le spese
della casa, il mutuo, la macchina, per poter dare a nostro figlio una vita felice! Non posso cambiare
lavoro, non ho altre credenziali che mi permettano un posto altrettanto remunerativo e più sicuro.”
“ Lo so bene, infatti non devi cambiare lavoro. E’ tutta colpa mia, sono io che sbaglio e che mi
faccio troppi problemi.
Però, ti prego, promettimi una cosa.”
“ Dimmi pure.”
“ Voglio sapere tutto: se sei coinvolto nella caccia a un killer, in un delitto passionale, nella ricerca
di una setta di pazzi che vuol far saltare il mondo intero, ritengo mio diritto sapere tutto.
Promettimelo Simon!”
“ Amore…”
“ Voglio la tua parola.”
La sua voce ormai era secca e decisissima e il suo volto tornava ad avere un’ espressione dura, con
gli occhi che brillavano nascosti da qualche ciocca bionda che era ricaduta in avanti.
“ Te lo prometto Anne. Ti dirò tutto, anche a costo di infrangere la legge.”
“ Va bene Simon.Ti ringrazio davvero e mi fido di te, ti amo.”
E così dicendo andò a stendersi sul divano riprendendo in mano un maglioncino bianco che stava
facendo per il piccolo, tornando a sorridere come se nulla fosse accaduto.
“ Pensavo di ricamarci qualche fiocco di neve sopra, azzurro ovviamente, e di cucire il nome sul
petto.”
“ Bene, ottima idea.E’ davvero bello.”
“ Grazie. Dobbiamo ancora deciderlo però, il nome.”
“ Ah, sai che non sono bravo per queste cose…Con Decker cosa può andar bene se non Simon? E
non è il caso di fare un Simon Decker Junior direi…”
“ Non credo proprio!
Ci ripenseremo, ho capito.Vediamo di farlo prima che nasca però!”
“ Tranquilla, lo troveremo un bel nome per lui.”
Detto ciò prese la mano di lei e la fece alzare, quindi la condusse in cucina, dove si sedettero per
mangiare qualcosa, seppur nessuno dei due avesse una gran fame.
Appena finito di cenare Simon andò, come consuetudine, a controllare la posta elettronica sul
computer dello studio.
Entrato nella stanza quadrata si soffermò a fissare le luci che nella città cominciavano ad accendersi
in sequenza, una dopo l’altra, come in una sorta di buffa staffetta.
Nelle strade le file di automobili erano ancora lunghe e rumorose, mentre le formiche sui
marciapiedi erano ormai completamente svanite, lasciando uno strano senso di vuoto a permeare le
vie più strette e dove l’accesso ai veicoli motorizzati era bloccato.
Sentendo questa strana malinconia che saliva piano dentro di lui si decise ad abbassare le eleganti
veneziane bianche sull’ampio finestrone, escludendosi dal mondo esterno almeno in quel momento,
quindi sentì la necessità di ascoltare un po’ di musica e accese la radio senza badare veramente a
cosa trasmettessero: un brano rock anni’80, ma non sapeva quale.
Accese il computer e attese: aprì dunque la pagina delle e-mail e trovò un solo messaggio da parte
di un vecchio amico che lo invitava a cenare da lui due sere dopo.
“ Sì può fare Paul.”
Rilesse la mail e si accorse che la motivazione era che la moglie di Paul aveva avuto un bambino e
così, anziché invitare gli amici al tradizionale pranzo dopo il battesimo, che era stato riservato ai
parenti, aveva organizzato una cena a casa sua.
Anne era invitata a sua volta.
Le avrebbe fatto bene parlare con altri, pensò, sicuramente la tranquillizzeranno e magari riceverà
qualche buon consiglio.
Simon rispose:
D’accordo Paul, che piacere sarà rivederti e risentirti! Auguri per il battesimo del bambino,
è una tappa importante e diventare padre è un traguardo che anch’io vedo da lontano,
sempre più vicino, e la cosa mi riempie di gioia. Saremo da te alle 8.
Simon
Troppo seria forse? Ma no.Andava bene: inviò la mail e chiuse il computer, sua moglie lo chiamava
per andare a dormire, anche se lui non aveva sonno e il giorno dopo sarebbe stato ancora privo di
occupazioni interessanti.
Simon si coricò,baciò la moglie e le accarezzò la pancia in segno di affetto e quindi cercò di
addormentarsi, ma la voce di lei lo chiamò: “ Scusa…Domani hai da fare?”
“ Non credo, non ho niente di importante in ufficio.”
“ Ehi, domani è sabato!”
“ Cosa? Ah, cavolo! La partita in tv! Stasera c’era il Manchester, mi sono dimenticato, devo andare
a vedere subito il risultato!”
“L’ho già guardato io.Uno a zero.”
“ Grande! Adoro quella squadra!”
“ Dicevo…”
“Sì scusa. Dimmi.”
“ Se hai da fare domani.”
“ Non credo, perché?”
“ Niente di che, devi solo passare in università a prendere Marvin, tuo fratello non può.”
“ In università? Il sabato?”
“ Ci vogliono dieci minuti da qui, non ti agitare.”
“ Mi sembra solo strano che vada al sabato in università, e comunque nel tuo calcolo del tempo
non conti i semafori e i sensi unici di Bloomsbury e il traffico vicino alla National Gallery: nel weekend è piena di turisti!”
“ Bè, vai tu o no?”
“ D’accordo, ci andrò io.”
“Bene, finisce alle sei e trenta. Grazie. Buonanotte.”
“ ‘notte.”

10 febbraio 2003

La mattina seguente Londra si svegliò bagnata da leggerissime gocce di pioggia che ticchettavano
sui vetri quasi a tempo con le lancette degli orologi, rade e appena visibili nel cielo coperto di grigio
che faceva da cupola a uno dei pochi quartieri dove non regnasse sovrano il color piombo anche
sulle case.
Il tempo migliorò nel pomeriggio e per le sei l’incredibile ingorgo che si era formato al solito
semaforo della via era ormai ridotto a un paio di macchine in coda che aspettavano il verde: Simon
ne approfittò e uscì subito di casa, dirigendosi verso la University of London.
Viaggiò per cinque minuti senza incontrare problemi, ma di nuovo la morsa del traffico non si fece
attendere e la Mercedes si trovò bloccata davanti al British Museum per almeno un quarto d’ora.
Simon si soffermò a vedere il sole che a sprazzi vinceva la coltre di nembi pesanti e riusciva a
illuminare a macchie un marciapiede, un paio di finestre su di un palazzo, la vetrina di un negozio
di vestiti dal quale uscivano signore piene di borse con cappotti e pellicce da riporre nell’armadio in
attesa delle cene e delle feste snob dell’inverno.
In quell’istante dal negozio uscì Jenny, la moglie di Paul, che si diresse troppo velocemente verso la
macchina perché lui potesse farsi notare e salutarla, ma il solo vederla gli fece ricordare che si era
dimenticato di avvisare Anne della mail, e non era un dettaglio da nulla visto che a sua moglie la
donna non stava particolarmente simpatica, in quanto faceva spesso vedere che non aveva grande
considerazione di lei, forse a causa del suo passato travagliato.
Ancora pensava a sua moglie e alla cena dall’amico quando riuscì a parcheggiare, in doppia fila e
con le quattro frecce, davanti all’ingresso dell’università.
Sul marciapiede c’era un capannello di persone e tra esse spiccava ben visibile il rosso forte della
tinta naturale di capelli di suo nipote Marvin, che a sua volta si accorse della macchina dello zio,
salutò gli amici e corse da Simon.
“ Ciao zio- urlò aprendo la portiera e sedendosi sistemandosi la camicia- come va?”
“ Ciao Marvin. Mah, mi hai fatto perdere il Chelsea, come vuoi che vada?”
“ Ah, ieri sera avete vinto con un gol irregolare: era fuorigioco!”
“ Non ho visto, mi spiace.”
“ Meglio.”
“ Allora, come mai in università anche oggi?”
“Ero a una conferenza di un mio professore. Si parlava di Tommaso d’Aquino.”
“Ah, sì? Ens, unum, verum, bonum, pulchrum convertuntur, giusto?”
“No, non era…”
“Ah, allora forse” lo interruppe bruscamente Decker “Le cinque vie dell’esistenza di Dio?”
“No, ma… Vedo che te ne intendi, zio!”
“Be’, sì, qualcosa ho letto…”
“Comunque l’argomento era l’antropologia di Tommaso. Ex actu agens, ti dice niente?”
“Sì, qualcosa del genere mi ricordo…”
“È semplicemente incredibile… Il primo dopo secoli di Neoplatonismo che riesce a pensare l’ani-
ma non separata dal corpo, ma unita in un unico essere…”
“Sì, sì, sicuramente…” rispose Decker distratto.
“Zio, è verde, muoviti!” lo esortò Marvin. Decker dette un’accelerata improvvisa e ripartì.
“Mi fa piacere vedere che sei così contento della scelta che hai fatto.”
“Esatto. La filosofia è così appassionante, così chiara, così… Be’, non saprei dire che cosa
esattamente… Sicuramente è la più alta delle realizzazioni umane, l’edificio più imponente che la
ragione umana sia riuscita a costruire…”
“Scommetto che questo è tutto merito del tuo professore…”
“Oh, sì, il professor Hawking è davvero esauriente e coinvolgente nelle sue spiegazioni!”
“Hawking, hai detto? Non ne ho mai sentito parlare…”
“Sean Hawking, docente di filosofia… È stato lui a tenere la conferenza sul tomismo di stasera.”
“Ho visto molte facce soddisfatte, fuori dall’università… Tutti alla conferenza?”
“Direi proprio di sì… Non c’era nessun altro in università oggi. Ma è normale che siano stati tutti
contenti. Il professor Hawking può vantare una laurea a Oxford, ed è uno tra i più vivi ammiratori di
Tommaso nell’Inghilterra di oggi.”
Decker si incuriosì all’argomento.
“Stai dicendo sul serio?”
“Zio, è il mio idolo… So tutto su di lui...”
La macchina di Decker accostò in una piccola via poco lontano da Leicester Square.
“Ecco, siamo arrivati…” disse lo zio-autista.
“Grazie ancora, zio!” rispose Marvin.
Marvin fece per scendere dalla macchina, ma appena mise un piede fuori dalla macchina, Decker lo
richiamò.
“Ehi, Marvin!”
“Sì?”
“Vorrei tanto parlare con questo tuo professore… Mi hai messo curiosità.”
Marvin lo guardò stupito, poi le sue guance lentigginose si contrassero per il sorriso e l’eccitazio-
ne.
“Davvero, zio?”
“Sì… Visto che ne parli così bene vorrei sentire direttamente da lui queste cose… Ti ho già detto
che mi interessano.”
“Ma come…”
“Prendimi un appuntamento per quando è più comodo il tuo prof. Giusto per una piccola
chiacchierata a quattr’occhi tra noi due…Si può fare?”
“OK, lascia fare a me!” esclamò Marvin tutto soddisfatto.
“Grazie mille. Ci vediamo!”
“ Ehi, zio…”
“ Sì?”
“ Due biglietti per Chelsea- Manchester ti interessano?”
“ Oh, mi toccherà consolarti di nuovo anche quest’anno?”
Marvin fece una smorfia: “ Vedremo! Ci sei allora?”
“ Contaci! Verrò e farò festa!”
Il giovane salutò con un gesto della mano, ridendo, e poi si avviò di nuovo verso Charing Cross
Road. Quando al primo semaforo Simon dovette fermarsi, appoggiò la testa contro il finestrino, un
po’ stanco, e osservò il cielo.
“Stasera sarà di nuovo nuvoloso… Peccato.”
In quel momento squillò il cellulare. Decker si mise l’auricolare nell’orecchio destro e accettò la
chiamata.
“ Simon sono io.Puoi passare per favore un attimo in farmacia a prendere degli integratori? Mi
sento di nuovo stanchissima!”
“ D’accordo, passerò. Ah, aspetta a riattaccare, ti spiego bene a casa, ma domani siamo a cena da
Paul…Mi sono dimenticato di dirtelo ieri?”
“ C’è anche Jenny?”
“ Tranquilla, non è stata invitata!”
“ Dai non fare sempre lo scemo! C’è o no? Seriamente!”
Decker rise e decise poi di essere serio: “ Certo che c’è cara, è la moglie! Hanno appena avuto un
bambino, ci invitano per festeggiare il suo battesimo.”
“ Speriamo che l’essere mamma l’abbia addolcita quella vipera! Dopo mi spiegherai bene e
regoleremo i conti.Ciao.”
“Cia…ha già attaccato.”
Girò la macchina in una vietta facendo inversione e quindi tornò verso la farmacia, prese ciò di cui
aveva bisogno e poi fu di nuovo a casa.
Appena entrò nell’appartamento numero 12 uno scroscio indicò che fuori aveva di nuovo
ricominciato a piovere, stavolta in modo molto più violento della mattina.
“ Ah, vado a ritirare le cose stese e poi mi spieghi di Paul e di lei…”
Anne uscì sulla terrazza e rientrò con un cesto di vestiti che appoggiò per terra, quasi facendolo
cadere, vicino al divano.
Era sudata.
“ Tutto bene? Sei sudata!”
“ Sì, ci sono. E’ solo che ormai mi sembra di far fatica anche a star seduta maledizione!”
“ Resisti.Sono gli ultimi giorni e sei stata bravissima.”
“ Grazie. Ma dimmi della cena” tagliò lei.
“ Bè… Mi è arrivata una mail da Paul che mi ha detto che hanno appena battezzato suo figlio, solo
che il pranzo l’ hanno fatto solo coi parenti, mentre volevano vedere noi a cena, per far due cose
divise a quanto pare.
E’ parecchio che non li vediamo, così gli ho detto di sì.”
“ Senza sentire il mio parere…”
“ Andiamo, non è la fine del mondo, è una cena!”
“ Anche se fosse stata una merenda avresti dovuto chiedermi. Se solo stessi male?”
“ Disdiciamo!”
“ Che figura ci facciamo?”
“ Che c’entra? Adesso è una figuraccia star male? E’ solo per via di Jenny, dillo!”
“ Sì, è per lei. Mi guarda come se fossi una sbandata! L’altra volta, quando è arrivato il vino per il
brindisi, non mi ha scollato gli occhi di dosso. Controllava quanto ne avrei bevuto! Pensava che mi
mettessi a tracannare la bottiglia? Imbecille! Faceva schifo tra l’altro, troppo caldo poi.”
“ Non dire fesserie su, lo sa che hai smesso. E’ una tua idea. Però sul vino hai ragione, per quello ho
chiesto la Coca!”
“ E quando continuava a parlare del passato delle persone? Era chiaro che si riferisse a me! I
cambiamenti esteriori che non sempre sono sinceri nell’interiorità etc.
Lo diceva guardandomi in modo insistente!”
“ Bè, domani sera ci farò più attenzione e se hai ragione ne parlerò con suo marito. Ci mancherebbe
che ci mettiamo a giudicare la gente dal suo passato!”
“ Fossi un criminale poi…Ero solo in una brutta compagnia.”
“ Molto brutta” sorrise lui.
“ Ironizzi?”
“ Sdrammatizzo. E’ diverso” precisò.
“ Mah.”
Ci fu una pausa, poi fu lei a riprendere: “ Come sta Marvin?”
“ Oh, diventerà un Platone se continua così. Sembra malato della filosofia e del pensare,un pazzo!”
“ O un genio.”
“ Bè, anch’io lavoro come un filosofo per certi aspetti: il mio scopo è ricostruire gli eventi, trovare
con la logica il perché delle cose secondo catene di causa-effetto e cercare le prove che supportino
la tesi e che non possano essere contraddette. Che fa un filosofo se non formulare tesi partendo da
indizi che ha già nel mondo terreno cercando la verità inconfutabile?”
“ Mmm…Mi sorprendi con questo paragone. Niente male! Che sia anche tu un genio?”
“ Vuoi fregare la lampada?” chiese inarcando in avanti il bacino.
“ Simon! Tu sei un vero cretino!”
L’uomo scoppiò a ridere e così anche la moglie. Passarono diversi minuti, nessuno riusciva a
fermarsi, finchè, tra i singhiozzi, fu lui a interrompere la pausa.
“Comunque, torniamo al punto: che facciamo per la cena?”
“ Che vuoi fare? Andiamo!”
“ Bene.”
“ Oddio…” Anne fece una smorfia terrorizzata.
“ Che c’è cara?”
“ Cosa mi metto con questa pancia?”
Simon scosse la testa e andò a scaldare la cena.

11 febbraio 2003

La sera dopo tutti erano pronti in orario per partire verso casa di Paul, che era a mezz’ora di strada dalla
National Gallery, quando Anne si fermò un attimo sul ballatoio, appoggiandosi al corrimano e
portandosi una mano sul ventre.
“ Che c’è tesoro?”
“ No, non preoccuparti, mi sa che si è girato…”
“ Aspetta un attimo a muoverti- disse lui, vedendo che lei già faceva per riprendere a scendere le
scale- o prendi l’ascensore.”
“ Simon…sai che ho paura da quella volta che si è bloccato!”
“ Bè, non si bloccherà sempre!”
“ Mi spiace, non lo prendo. Mi siedo qui due minuti sui gradini, poi andiamo. Avvisa un attimo che
ritardiamo casomai.”
“ Non ce n’è bisogno, è presto, mancano quaranta minuti.”
Poco dopo la signora Decker si alzò con l’aiuto del marito e assieme scesero le scale,
lentamente, quando furono fermate dal portinaio, il signor Crew, un ometto basso e calvo sulla
sessantina.
“ Come sta signora? La vedo stanca, se non si offende…”
“ Quale offesa, si figuri. In effetti, ultimamente mi arrivano molte fitte, ma un paio di settimane
ancora e dovrebbe finire tutto spero.”
“ Tanti auguri allora! Non vedo l’ora di appendere un bel fiocco all’ingresso. Lo volete blu o rosa?”
“ Ah, sappiamo già, sarà blu.”
“ E come lo chiamate?”
“ Bella domanda, chieda a lui, che non vuol decidersi a pensare il nome!”
“ Oh, tocca a entrambi.
E adesso, scusi, ma abbiamo una cena e siamo in ritardo! Saluti!”
“ A voi signori. Buona serata.”
Il portinaio aprì il cancello elettrico e guardò bene che la Mercedes fu uscita prima di richiuderlo,
accertandosi che non fosse entrato nessuno.
L’orologio a muro segnava le sette e venti di sera.
Come previsto i due invitati arrivarono in perfetto orario alla villetta a due piani del loro amico.
La casa era abbastanza tipica del quartiere, con un giardinetto non recintato sul davanti tagliato in
due da un vialetto di ghiaia bianca finissima che conduceva sul retro, dove c’era il box e un piccolo
orto, stavolta chiuso da una staccionata di legno.
Nell’orto si ergevano alti e ormai spogli un albero di ciliegie e un prugno che avevano almeno una
ventina d’anni.
Al ciliegio era appesa un’altalena di plastica rossa che sicuramente avrebbe divertito non poco il
bambino appena battezzato.
Non trovando posteggio lì attorno Simon fece scendere sua moglie a citofonare.
“ Speriamo non risponda la simpaticona…” Disse sbuffando.
Dall’auto Decker vide sua moglie premere il pulsante del citofono e quasi in contemporanea la
porta d’ingresso che si apriva: Paul, come sempre elegantissimo in giacca e pantaloni neri, camicia
bianca e cravatta rossa, corse incontro alla donna salutandola.
Con un gesto lei indicò la Mercedes, e allora l’uomo sorrise verso la macchina e si avvicinò
velocemente.
Simon restò a bordo, poiché ancora non aveva spento il motore ed era in fermata in doppia fila con
le quattro frecce.
“ Ehi vecchio mio! Che ci fai ancora qui in strada?”
“ Non c’è posto per l’auto, chiedevo se potevo…”
“ Certo!- lo interruppe l’amico- Portala dentro e lasciala davanti al box, tanto non dobbiamo uscire
noi.”
“ Ok grazie.Parcheggio e arrivo.”
Mentre Decker parcheggiava, sua moglie fu portata, suo malgrado, in casa a salutare Jenny.
La donna apparve subito radiosa, vestita con un completo rosso sgargiante e con delle scarpe basse
nere e lucidissime.
“ Anne! Come stai?” Urlò stringendola poi in un forte abbraccio e stampandole due grossi baci sulle
guance che le lasciarono degli aloni di rossetto.
Anne si ripulì in fretta il viso e sorrise amabilmente alla moglie del loro amico: “ Insomma, come
avrai notato sono quasi alla fine della gravidanza, e inizio ad avere sempre più momenti di
debolezza, più dolori e …Più fame”, ammise con un sorriso.
“ Oh, è normale.Vedrai che poi l’ago della bilancia torna a segnare cifre ragionevoli!”
“ Meno male, anche se sai la causa del peso leggere certi valori è un po’ da paranoia! Se il medico
non mi obbligasse a pesarmi avrei già lucchettato la bilancia in un armadietto.”
“ Vero! Oh, ecco i nostri uomini.”
Simon e Paul infatti stavano rientrando con una confezione di birre da sei dalla porta che conduceva
giù nella cantina della villetta.
“ Ehi, senza birra voi non vivete vero?”
“ Ah, hai mai visto un uomo vero che non beve birra?”
Le donne scossero la testa e finalmente Anne si ricordò del motivo per cui erano lì: “ Ehi, e il bambino? Sono curiosa di vederlo!”
Dalla stanza accanto, all’improvviso, si sentì un colpo di tosse e poi un vagito.
“ Oh, venite, andiamo a vedere cos’ ha.”
La donna prese i cappotti degli ospiti e li condusse nella camera accanto al corridoio del salotto.
Era una cameretta abbastanza piccola, ma molto colorata e accogliente: alle pareti arancioni erano
appesi alcuni disegni di personaggi dei Looney Tunes, da Duffy Duck a Bugs Bunny, mentre sopra
la culla di legno bianco pendevano dei sonagli con disegnati i pianeti che ruotavano attorno a un
sole sorridente.
Il neonato si stava agitando in un ammasso di copertine blu e piangeva mordendosi la mano
destra che era madida di saliva.
Era davvero bello, con due occhi azzurri che spiccavano su un faccione roseo e paonazzo per lo
sforzo del pianto e per le lacrime che scendevano fino al mento e sui capelli ricci scurissimi.
Assomigliava molto a Paul, ma aveva un accenno di zigomi sporgenti come Jenny.
“ Oh, è davvero un bel bambino! Come si chiama?”
“ Thomas - rispose il padre- come mio nonno. Ehi piccolo, vieni da papà.”
Con forza il piccolo fu preso in braccio assieme alla copertina che lo riparava dal freddo.
“ Tesoro, per forza tossisce. Hai di nuovo lasciato la finestra aperta!”
“ Lo sai che deve cambiare l’aria, mica può vivere nello stantio.”
“ Andiamo di là dai” disse spegnendo la luce.
“ Vi piace la cameretta?”
“ E’ molto accogliente sì,bella davvero” si complimentarono tornando in salotto.
“ Grazie mille. A tavola adesso, dai.”
“ Bene, è tanto che non assaggi il polpettone di mia moglie, vero Simon?”
“ Oddio, me lo ricordo bene, ho già la bava alla bocca!”
“ Vieni, accomodati.”
“ Certo, guardo solo se ho lasciato il cellulare nella giacca e arrivo.”
“ Sono nell’armadio in corridoio.Quello bianco” urlò Jenny.
Le due donne e Paul iniziarono a servirsi il polpettone e le patate al forno, quando, poco dopo,
furono raggiunti da Simon.
L’uomo aveva una faccia perplessa.
“ Che c’è caro?”
“ No niente. Ho una chiamata persa e mi pare di riconoscere il numero, ma da quando mi si è
smemorizzata la scheda ho perso alcuni nomi e non so più andare a riprendere chi sia.”
“ Vuoi provare a dirmelo? Magari è qualche parente” suggerì sua moglie.
“ No, dopo dai.”
“ E se è il lavoro?”
“ No, non può essere. Ho i numeri di tutti. Avranno sbagliato, capita anche coi cellulari ormai!”
Simon prese un boccone di polpettone e si bloccò di colpo: “ Dio Jenny, è favoloso! Se aprissi un
ristorante che dovesse fare solo questo piatto avresti comunque gente tutte le sere!”
“ Stai dicendo anche che so fare solo il polpettone?”
“ Oh, no di certo! Anche le patate!”
La cena continuò serena per una mezz’ora buona e si parlò del futuro bambino di Anne, ancora
senza nome , del battesimo di Thomas e di alcune
gag successe tra gli invitati e di lavoro.
“ Ehi, sono le nove!” Notò Paul. “ E’ ora del dolce direi, abbiamo un ottima torta di mele e ricotta.
Specialità della casa.”
“ Già” s’intromise Jenny. “ E’ una ricetta di mia nonna, aveva una pasticceria ed era specializzata in
torte.Questa era la miglior torta di mele e ricotta del paese. Bè, come la faceva lei almeno!”
La donna sparì in cucina e tornò poco dopo con un grosso vassoio su cui era posata una torta alta
guarnita con fettine di mela e crema pasticcera.
“ Che delizia Jenny, dovrai insegnarmi qualche trucco!”
La donna stava per rispondere quando il cellulare di Simon squillò di nuovo.
“ Lasciate stare, continuiamo pure a mangiare.Questa meraviglia di torta prima di tutto!”
Iniziarono il dolce che il telefono aveva fatto due squilli e quando Paul era quasi a metà della sua
fetta l’apparecchio suonava ancora.
“ Ma chi è che insiste così?”
“ Rispondi pure, disturba più il suono che tutto” scherzò Jenny con una nota di acido che Anne non
potè non notare, seppure quella sera la donna fosse stata davvero gentile e amichevole.
Simon si allontanò dalla tavola e si sedette sul divano, quindi rispose.
Dal telefono suonò una voce grave che Decker riconobbe all’istante: “ Commissario Murton?”
“Sono io detective Decker!”
“Non è il suo numero questo, vero?”
“No, ho in prestito il telefono di un agente perché il mio è scarico. Quanto ci ha messo a
rispondere?”
“ Perché non sapevo fosse lei! Chi è morto?”
Murton si zittì, stupito.
“Cosa sai di già che noi non sappiamo?”
“ Niente commissario, ma lei ansima e c’è stato un momento in cui la sua voce è calata
improvvisamente di intensità, segno che ha cambiato mano con cui teneva il cellulare perché sta
sudando, e in più sento la sirena dell’autovettura accesa che indica che avete fretta, ma lei ha
sussurrato al guidatore di rallentare, poiché probabilmente si sente poco bene.
Se lei suda, ha fretta e ha un nodo allo stomaco, è perché c’è una vittima nel caso che è chiamato a
risolvere.”
“Sono sbalordito, ma noto anche che non hai perso le tue doti deduttive nonostante l’astinenza…
Comunque sì- disse dopo una breve pausa- c’è stato un delitto.Dove sei?”
“ A mangiare la torta di mele e ricotta della moglie di Paul, sai chi è vero?”
“ Oh sì, allora non sei distante. Vieni appena puoi per favore! Vai a Piccadilly Circus, ti vengo a
prendere e andiamo sul posto. L’omicidio è avvenuto in un palazzo a Jermyn Street.”
“ D’accordo, vengo. Vuoi una fetta di torta? Ah, già, lo stomaco…”
Simon riattaccò e si fece subito scuro in viso. Ancora una volta il lavoro sottraeva tempo alla sua
vita privata e ancora una volta lo strappava via da amici e parenti nei momenti cruciali,
costringendolo a castelli di scuse sempre meno accettate.
Appena il detective riapparve in cucina, con il viso teso e il telefono in mano, sbuffando, sua moglie
lo guardò di traverso e con gesto di stizza posò con forza il cucchiaio di torta che stava per
mangiare.
“ Dillo, avanti, è il commissario, non posso mancare, è un caso difficile, c’è un emergenza…”
“ Amore, devo andare, è vero.Mi spiace Paul, Jenny…Sono desolato, c’è stato un omicidio vicino a
Piccadilly.”
Paul tacque, quindi sbuffò e parlò con voce seria: “ Vai pure Simon.E’ il tuo lavoro e so che non
puoi non andare,c’è di mezzo una persona morta ed è una cosa orribile. Và e fa giustizia.”
“ Torneremo a invitarvi, non ti preoccupare per noi. Tu resti Anne?”
“ Io sì, se la cosa non vi dispiace.”
“ Stai scherzando? Resta pure quanto vuoi!”
“ D’accordo.Mi dispiace tantissimo, ma devo salutarvi.Buona serata a tutti.Ciao tesoro” disse
baciando la moglie, quindi prese la giacca e uscì.
Poco dopo si sentì la Mercedes allontanarsi rapidamente dalla villa.
 
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folgorata
view post Posted on 17/8/2011, 19:36




Bello, l'attacco. Poi leggo tutto
 
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Edward Punch
view post Posted on 17/8/2011, 20:56




Heilààààààà!

Questo è l'altro thriller!
Bella l'idea dei tarocchi. Che bambini malefici però!!!!!!

Bello stile, scorrevole, un po' troppo discorsivo, ma sono i primi capitoli :D



 
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folgorata
view post Posted on 18/8/2011, 20:43




No no Sabru non è il thriller di Morgan O'Keeffe

Avevo letto l'attacco del capitolo 1
"Un sole rosso fuoco basso sull’orizzonte dipingeva con colori accesi le finestre delle palazzine
residenziali di Charing Cross Road e della National Gallery, il cuore del quartiere che, nonostante la"
L'ho capito solo ora che sei sempre tu Nonno, ma hi fatto le modifiche di trama che ti avevo suggerito?
 
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Edward Punch
view post Posted on 18/8/2011, 22:32




Opsss :blink:
 
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11 replies since 8/5/2011, 19:15   100 views
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