Capitolo 1New Orleans 1 gennaio 2011, ore 4 del mattino
Il cielo era privo di stelle. Gocce microscopiche di pioggia impregnavano l’aria
come fosse una spugna. La berlina nera
che correva sull’arteria autostradale deviò
dall’arteria autostradale per dirigersi verso i vicini padiglioni grigi,
. Questi che si profilavano bassi e cupi contro l’orizzonte. L’unica cosa che brillava a intermittenza era l’insegna luminosa “Motel Bay” in varie gradazioni di rosso. La berlina percorse gli ultimi metri a fari e motore spent
oi. Era silenziosa e quasi invisibile nell’oscurità. Si arrestò vicino alla reception. Per qualche decina di secondi
nell’auto non ci fu alcun movimento. Poi l’autista e il compagno seduto sul sedile
a fianco del passeggero si girarono a guardare con espressione interrogativa il terzo uomo
VIRGOLA disteso sul sedile posteriore. Questi si alzò a sedere con difficoltà.
Mostrava evidenti segni di sofferenza. Stava soffrendo, le costole rotte lo torturavano. La posizione in cui gli era sembrato di soffrire meno era quella distesa. A ogni sobbalzo dell’auto, tuttavia, fitte lancinanti gli avevano tolto il fiato durante la mezzora di viaggio. L’iniezione antidolorifica aveva solamente attenuato il dolore. Abbassò il finestrino appannato e rabbrividì al flusso di aria fredda che penetrò nell’abitacolo. L’uomo girò faticosamente il capo ostacolato dal collare ortopedico. Si guardò intorno. I bungalow avevano l’intonaco sporco e scrostato. L’insegna al neon emetteva un fastidioso ronzio. Sotto gli alberi scheletrici spuntavano
solo le erbacce. Il motel era la solita topaia. Il freddo intenso era penetrato nell’auto ed il fiato degli occupanti formò piccole nuvole bianche che svanivano come fuochi fatui. L’uomo prese dalla tasca del giaccone un flacone di pillole e ne ingoiò una. Sperò che gli desse un po’ di carica, anche a costo di acuire il dolore. Bevve un sorso d
i 'acqua d
a una alla bottiglia posta nella tasca della portiera. Avrebbe desiderato essere spaparanzato sul letto di mamma Deborah anziché in quel motel sperduto in mezzo al nulla. Si chiese se quella faccenda valesse veramente la pena e si rispose di sì. Quello stronzo doveva pagare. Diede un ultimo sguardo circolare intorno a sé, soffermandosi poi sulla reception. Non si vedeva in giro anima viva. Anche il self-service era chiuso. Da quelle parti non dovevano passare né molti soldi né molta gente.
«Che posto di merda!», esclamò. Gli altri fecero una risatina.
«
IniziamoE' ora!», ringhiò e tutti e tre si calarono il passamontagna sulla testa «Furetto - continuò - tu e Seppia trovate il numero della camera. Lavoratevi il portiere, senza esagerare. Deve sembrare che cerchiamo soldi. Rovesciate un paio di cassetti.»
Furetto dal posto di guida annuì. Si affrettò a uscire dall’auto e infilò
alla sotto la cintura il coltello recuperato da sotto il sedile. Andò sul retro dell’auto e dal bagagliaio estrasse un piede di porco. Lo passò al compagno ed estrasse una Widley. Leonard la guardò stupito, chiedendosi dove avesse trovato i soldi per un’arma che sparava a gas proiettili a calibro variabile. Era enorme. Era tipico di Furetto cercare di compensare la statura minuta con armi di dimensioni assurde. In un altro momento avrebbe riso e ci avrebbe scherzato sopra. Furetto era molto permaloso riguardo alla sua altezza.
«Bella, eh? - sorrise Furetto -. Non l’ho ancora provata con i proiettili da 475. Ti immagini che botto?»
«Sta
APOSTROFO attento! - brontolò Leonard -Non voglio che i clienti vengano svegliati dal rumore, manderebbe all’aria tutt
a la spedizioneo.»
«Non ti preoccupare, solo a vederla fa già il suo effetto, no? Fa impressione, vero? Voglio vedere la faccia dello stronzo portiere.»
Si avviò sorridendo verso la reception. Seppia lo seguì a distanza.
Leonard li guardò allontanarsi, provando un sentimento molto simile alla tenerezza nei loro confronti. Furetto era il suo uomo di fiducia. L’aveva raccattato in carcere con una testimonianza pulita, di quelle che ti restituiscono la verginità. Da allora Furetto era sempre stato al suo fianco. Furetto naturalmente non era il suo vero nome, ma ben si adattava alla sua personalità. Come un furetto era piccolo, veloce e cattivo. Seppia, invece, reclutato qualche tempo dopo, era grande e grosso. Con l’espressione da bruto ritardato, otteneva rispetto senza muovere le mani. In realtà fra i due era il meno pericoloso. E di parecchio. Il soprannome di Seppia gliel’aveva affibbiato Furetto perché, quando parlava, spesso sputava. La gente che non lo conosceva bene non capiva il motivo del nomignolo. Probabilmente pensava che dipendesse dalle lunghe braccia scimmiesche o dal corpaccione informe.
I due tornarono indietro quasi subito, distogliendo Leonard dai suoi pensieri.
«Bungalow sessantotto», precisò Furetto.
«Immagino che non abbiate avuto problemi», commentò Leonard rivolgendosi ai due.
«Nessuno - confermò Furetto con aria contrariata - il portiere russava. Gli abbiamo assestato solo un colpetto perché continuasse a dormire. Probabilmente non ce n’era neanche bisogno.»
Furetto era deluso e Leonard sapeva perchè. Il piccoletto avrebbe voluto vedere il lampo di terrore negli occhi del portiere, entrando a passamontagna calato sul volto pistola in mano.
SiDi solito a Leonard piaceva
e tuttavia questa volta non vedeva l’ora di concludere. Il dolore e la mancanza di sonno lo stavano distruggendo. Gli faceva male perfino respirare. L’uomo che stavano per punire avrebbe pagato anche per quello.
Iniziarono a camminare, cercando di fare meno rumore possibile sulla ghiaia scricchiolante e controllando i numeri delle camere per arrivare a quella che
gli interessava
loro. Appena girato l’angolo di un edificio, Furetto si fermò e indietreggiò bruscamente. Col suo improvviso movimento ammaccò con la testa il naso di Seppia che lo seguiva da vicino. Seppia bestemmiò toccandosi il naso dolorante. Furetto soffocò una risata.
«Sta uscendo dalla camera», intimò sottovoce grugnendo per non ridere.
Anche Leonard aveva sentito l’impulso di ridere, non fosse altro che per sciogliere la tensione. Una fitta alle costole però l’aveva bloccato e il dolore gli aveva contratto i lineamenti. Si affacciò a sua volta all’angolo e constatò che lo stronzo era appena uscito dal bungalow. Elegante l’italiano: impermeabile e cappello. Peccato che ora si sarebbe stropicciato un po’. L’uomo
, NO VIRGOLA si avviò, borsa in mano, verso il parcheggio.
Un secondo ancora ed estrarlo dall’auto sarebbe stato un casino. Leonard si chiese come mai l’uomo stesse lasciando il motel prima dell’alba. Si era accorto di essere stato seguito? Qualunque fosse il motivo, l’avevano raggiunto in tempo e non avrebbero avuto bisogno nemmeno di forzare la porta della camera. La fortuna era dalla loro parte.
«Raggiungiamo quel bastardo prima che scappi e vediamo di non farlo gridare troppo», sussurrò.
«Il primo colpo è mio!» esclamò Furetto mettendosi a correre seguito da Seppia con il piede di porco in mano.
Leonard li vide schizzare via e pensò con un misto di tenerezza e divertimento che sembravano d
ei ue ragazzini.
Osservò il bastardo girarsi al rumore dei passi in corsa e vide per un attimo la lama del coltello luccicare
VIRGOLA prima di affondare sulla natica dell’uomo. Erano d’accordo di conciarlo a festa
VIRGOLA non di ucciderlo. Il bastardo, tuttavia, aveva i riflessi abbastanza pronti. Era ruotato di lato. Il coltello lo aveva colpito solo di striscio. La lama penetrò nella carne per pochi centimetri senza riuscire a metterlo fuori combattimento.
Leonard si sarebbe aspettato un urlo di dolore. Invece, prima che Furetto riuscisse a sferrare un secondo colpo, l’uomo aveva estratto una pistola dalla giacca e f
eceACEVA fuoco. La fiammata riverberò sull’asfalto umido. Ma lo sparo non si udì. Ci fu solo un rumore attutito, come uno scoppio sordo, e Leonard vide Furetto stramazzare a terra. Il silenzio in cui si era svolta la scena aveva qualcosa di irreale. Leonard sussultò, troppo stupito per badare al dolore alle costole. Digrignò i denti, era stato tutto troppo facile fino a quel momento.
Purtroppo Seppia stava davanti al bersaglio. “Spostati!” pensò, cercando una posizione che gli permettesse di inquadrare l’italiano e prenderlo di mira con la propria pistola.
Seppia ondeggiava con l’intero corpo, puntava la pistola senza sollevarla. Barcollava come ubriaco. Come fosse indeciso. Ma il bastardo non gli diede tempo di pensare. Seppia fu abbattuto dal secondo proiettile e, appena cadde a terra, Leonard fu libero di sparare. La sua nove millimetri,
NO VRIGOLA rimbombò nel silenzio della sera come un colpo di cannone
(Qui mi piacerebbe un'aktra metafora, meno ovvia) . L’uomo, colpito dal proiettile calibro 357, fu letteralmente spostato di peso e ricadde un passo più indietro.
Leonard, compatibilmente con la velocità che gli consentivano le costole rotte e il collo immobilizzato, si precipitò a vedere come stesse Furetto. Si inginocchiò vicino a lui incurante delle luci che iniziavano a illuminare le finestre.
Il colpo gli aveva squarciato il petto. Una pozza nera si allargava sul giubbotto dei Saints. La grossa Widley gli era scivolata dalle dita e giaceva lì a fianco.
Leonard si alzò di scatto. L’urlo di dolore represso si mescolò alle fitte al torace. Un’ondata di rabbia cieca gli diede l’impulso di correre. Ma non poteva, i dolori gli to
lseroglievano il respiro. Allora si avvicinò al bastardo a terra due metri più in là. Gli sferrò un calcio con tutta la forza, sul fianco. Una pedata tanto violenta da rovesciare il cadavere.
Sotto la luce fredda del lampione, gli occhi di Leonard fissarono sbarrati i lineamenti dello sconosciuto. Non sapeva chi fosse, né perché si trovasse lì a un passo dal bungalow del bastardo. Un errore nel numero della stanza. Fu questo il primo pensiero. Maledetti asini. Ma ormai era troppo tardi e fece per arretrare. Almeno poteva recuperare la pistola di Furetto.
In quell’istante tuttavia un colpo esplose nella notte. Proveniva da un punto imprecisato alle sue spalle. Leonard si voltò.
Un altro colpo. La fiammata lampeggiò nel buio del parcheggio, all’altezza della reception.
Leonard strinse i denti per il dolore e tenendosi basso si diresse verso un nucleo d’ombra fitta. Si rannicchiò dietro un’auto. Era quella cui lo sconosciuto in impermeabile si era diretto poco prima.
Un terzo colpo risuonò nel piazzale deserto. Più vicino questa volta e un rumore metallico rivelò che a essere colpita era stata la lamiera dell’auto.
Leonard puntò la nove millimetri in direzione della fiammata e fece fuoco.
In quel momento esatto dei fari illuminarono il parcheggio. Era un’auto che svoltava per il motel.
Il buio venne attraversato da una lama di luce e la sagoma di un uomo accucciato si delineò con chiarezza. Era chino in avanti e procedeva verso di lui. Leonard sparò di nuovo. L’auto allora frenò bruscamente e si arrestò storta nel bel mezzo del piazzale.
Ne uscì una donna. Il corpo aggraziato di una bruna si delineò contro le luci rossastre dell’insegna riflesse dall’asfalto bagnato.
Una voce maschile, sconosciuta, gridò: «Vai via, allontanati!»
Ma la bruna continuò a venire avanti, verso l’uomo e verso Leonard. Poi parve ripensarci perché si arrestò. Si guardò intorno. Si nascose dietro un’auto.
Leoanard fece ricadere la mano che brandiva l’automatica. Appoggiò le spalle alla portiera dell’auto. Era stremato. Estrasse di tasca un pizzico di coca e si massaggiò le narici. Aveva avuto un colpo di genio. Uno dei suoi. Uno di quelli che lo cavavano d’impaccio quando individui più forti andavano sotto. Si tirò in piedi. A fatica ma ci riuscì e, sebbene i dolori al petto lo squassassero, arretrò cercando l’ombra che costeggiava il bungalow. Seppia e Furetto erano morti, ma lui era solo ammaccato. Ce la poteva ancora fare. Si impose di non badare alle fitte e in silenzio, con una corsetta, aggirò il bungalow e poi il corpo centrale della reception, fino a spuntare alle spalle della ragazza. Si avvicinò alla donna, la bocca della nove millimetri ben protesa in avanti. Spinse la canna sulla nuca della bruna mentre con l’altra mano rinserrò le labbra della ragazza. Era fatta. Se voleva salvare la ragazza, quello che sparava sarebbe stato costretto ad abbandonare l’arma.
Leonard non si era accorto di un individuo rimasto a lungo immobile, celato nell’ombra. Questi raccolse senza far rumore la pistola sfuggita di mano al cadavere in impermeabile e, aggirando la reception, gli si avvicinò, a sua volta, cautamente alle spalle.
Po che succede?
molto James Ellroy. Prende. consiglio solo più coraggio nelle metafore e nella lingua. ma è solo l'inizio e uno siu scioglie man mano. comunque, è buono.