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GOSPEL DI CAPODANNO, di Emerson Marlow

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emerson
view post Posted on 23/11/2011, 16:03




Gospel di Capodanno
di Emerson Marlow

New Orleans. Cayetano Martinez, pappone, spacciatore e capo di una banda, ha l’oceano tra sé e Roma. Ma non gli è bastato. Nel rutilante capodanno di New Orleans, tra eccessi e puttane, uno straniero con due mani che pestano come mazze ferrate, un insolito sacrestano che tiene una 38 automatica con silenziatore al posto del breviario, incrociano la sua strada. Per l’ultima volta. Tradito da una sottana, frusciante e paonazza. Quella di un cardinale molto ma molto lontano da New Orleans.



EMERSON MARLOW
GOSPEL DI CAPODANNO
Capitolo 1
<i>New Orleans 1 gennaio 2011, ore 4 del mattini

Il cielo era privo di stelle. Gocce microscopiche di pioggia impregnavano l’aria. La berlina nera deviò dall'arteria autostradale autostradale deviò per dirigersi verso i vicini padiglioni grigi, che si profilavano bassi e cupi contro l’orizzonte. L’unica cosa che brillava a intermittenza era l’insegna luminosa “Motel Bay” in varie gradazioni di rosso. La berlina percorse gli ultimi metri a fari e motore spento. Era silenziosa e quasi invisibile nell’oscurità. Si arrestò vicino alla reception. Per qualche decina di secondi non ci fu alcun movimento. Poi l’autista e il compagno seduto sul sedile si girarono a guardare con espressione interrogativa il terzo uomo, disteso sul sedile posteriore. Questi si alzò a sedere con difficoltà. Gli ematomi, i tagli e soprattutto le costole incrinate lo torturavano. La posizione in cui gli era sembrato di soffrire meno era quella distesa. A ogni sobbalzo dell’auto, tuttavia, fitte lancinanti gli avevano tolto il fiato durante la mezzora di viaggio. L’iniezione antidolorifica aveva solamente attenuato il dolore. Abbassò il finestrino appannato e rabbrividì al flusso di aria fredda che penetrò nell’abitacolo. L’uomo girò faticosamente il capo ostacolato dal collare ortopedico. Si guardò intorno. I bungalow avevano l’intonaco sporco e scrostato. L’insegna al neon emetteva un fastidioso ronzio. Sotto gli alberi scheletrici spuntavano le erbacce. Il motel era la solita topaia. Il freddo intenso era penetrato nell’auto ed il fiato degli occupanti formò piccole nuvole bianche che svanivano come fuochi fatui. L’uomo prese dalla tasca del giaccone un flacone di pillole e ne ingoiò una. Sperò che gli desse un po’ di carica, anche a costo di acuire il dolore. Bevve un sorso d'acqua alla bottiglia posta nella tasca della portiera. Avrebbe desiderato essere spaparanzato sul letto di mamma Deborah anziché in quel motel sperduto in mezzo al nulla. Si chiese se quella faccenda valesse veramente la pena e si rispose di sì. Quello stronzo doveva pagare. Diede un ultimo sguardo circolare intorno a sé, soffermandosi poi sulla reception. Non si vedeva in giro anima viva. Anche il self-service era chiuso. Da quelle parti non dovevano passare né molti soldi né molta gente.
«Che posto di merda!», esclamò. Gli altri fecero una risatina.
«E' ora!», ringhiò e tutti e tre si calarono il passamontagna sulla testa «Furetto - continuò - tu e Seppia trovate il numero della camera. Lavoratevi il portiere, senza esagerare. Deve sembrare che cerchiamo soldi. Rovesciate un paio di cassetti.»
Furetto dal posto di guida annuì. Si affrettò a uscire dall’auto e infilò sotto la cintura il coltello recuperato da sotto il sedile. Andò sul retro dell’auto e dal bagagliaio estrasse un piede di porco. Lo passò al compagno ed estrasse una Widley. Cayetano la guardò stupito, chiedendosi dove avesse trovato i soldi per un’arma che sparava a gas proiettili a calibro variabile. Era enorme. Era tipico di Furetto cercare di compensare la statura minuta con armi di dimensioni assurde. In un altro momento avrebbe riso e ci avrebbe scherzato sopra. Furetto era molto permaloso riguardo alla sua altezza.
«Bella, eh? - sorrise Furetto -. Non l’ho ancora provata con i proiettili da 475. Ti immagini che botto?»
«Sta' attento! - brontolò Cayetano -Non voglio che i clienti vengano svegliati dal rumore, manderebbe all’aria tutto.»
«Non ti preoccupare, solo a vederla fa già il suo effetto, no? Fa impressione, vero? Voglio vedere la faccia dello stronzo portiere.»
Si avviò sorridendo verso la reception. Seppia lo seguì a distanza.
Cayetano li guardò allontanarsi, provando un sentimento molto simile alla tenerezza nei loro confronti. Furetto era il suo uomo di fiducia. L’aveva raccattato in carcere, fornendogli una testimonianza a discarico, di quelle che ti restituiscono la verginità. Da allora Furetto era sempre stato al suo fianco. Furetto naturalmente non era il suo vero nome, ma ben si adattava alla sua personalità. Come un furetto era piccolo, veloce e cattivo. Seppia, invece, reclutato qualche tempo dopo, era grande e grosso. Con l’espressione da bruto ritardato, otteneva rispetto senza muovere le mani. In realtà fra i due era il meno pericoloso. E di parecchio. Il soprannome di Seppia gliel’aveva affibbiato Furetto perché, quando parlava, spesso sputava. La gente che non lo conosceva bene non capiva il motivo del nomignolo. Probabilmente pensava che dipendesse dalle lunghe braccia scimmiesche o dal corpaccione informe.
I due tornarono indietro quasi subito, distogliendo Cayetano dai suoi pensieri.
«Bungalow sessantotto», precisò Furetto.
«Immagino che non abbiate avuto problemi», commentò Cayetano rivolgendosi ai due.
«Nessuno - confermò Furetto con aria contrariata - il portiere russava. Gli abbiamo assestato solo un colpetto perché continuasse a dormire. Probabilmente non ce n’era neanche bisogno.»
Furetto era deluso e Cayetano sapeva perchè. Il piccoletto avrebbe voluto vedere il lampo di terrore negli occhi del portiere, entrando a passamontagna calato sul volto e pistola in mano. Si solito a Cayetano piaceva tuttavia questa volta non vedeva l’ora di concludere. Il dolore e la mancanza di sonno lo stavano distruggendo. Gli faceva male perfino respirare. L’uomo che stavano per punire avrebbe pagato anche per quello.
Iniziarono a camminare, cercando di fare meno rumore possibile sulla ghiaia scricchiolante e controllando i numeri delle camere per arrivare a quella che interessava loro. Appena girato l’angolo di un edificio, Furetto si fermò e indietreggiò bruscamente. Col suo improvviso movimento ammaccò con la testa il naso di Seppia che lo seguiva da vicino. Seppia bestemmiò toccandosi il naso dolorante. Furetto soffocò una risata.
«Sta uscendo dalla camera», intimò sottovoce grugnendo per non ridere.
Anche Cayetano aveva sentito l’impulso di ridere, non fosse altro che per sciogliere la tensione. Una fitta alle costole però l’aveva bloccato e il dolore gli aveva contratto i lineamenti. Si affacciò a sua volta all’angolo e constatò che lo stronzo era appena uscito dal bungalow. Elegante il tipo: impermeabile e cappello. Peccato che ora si sarebbe stropicciato un po’. L’uomo si avviò, borsa in mano, verso il parcheggio.
Un secondo ancora ed estrarlo dall’auto sarebbe stato un casino. Cayetano si chiese come mai l’uomo stesse lasciando il motel prima dell’alba. Si era accorto di essere stato seguito? Qualunque fosse il motivo, l’avevano raggiunto in tempo e non avrebbero avuto bisogno nemmeno di forzare la porta della camera. La fortuna era dalla loro parte.
«Raggiungiamo quel bastardo prima che scappi e vediamo di non farlo gridare troppo», sussurrò.
«Il primo colpo è mio!» esclamò Furetto mettendosi a correre seguito da Seppia con il piede di porco in mano.
Cayetano li vide schizzare via e pensò con un misto di tenerezza e divertimento che sembravano dei ragazzini.
Osservò il bastardo girarsi al rumore dei passi in corsa e vide per un attimo la lama del coltello luccicare, prima di affondare sulla natica dell’uomo. Erano d’accordo di conciarlo a festa, non di ucciderlo. Il bastardo, tuttavia, aveva i riflessi abbastanza pronti. Era ruotato di lato. Il coltello lo aveva colpito solo di striscio. La lama penetrò nella carne per pochi centimetri senza riuscire a metterlo fuori combattimento.
Cayetano si sarebbe aspettato un urlo di dolore. Invece, prima che Furetto riuscisse a sferrare un secondo colpo, l’uomo aveva estratto una pistola dalla giacca e faceva fuoco. La fiammata riverberò sull’asfalto umido. Ma lo sparo non si udì. Ci fu solo un rumore attutito, come uno scoppio sordo, e Cayetano vide Furetto stramazzare a terra. Il silenzio in cui si era svolta la scena aveva qualcosa di irreale. Cayetano sussultò, troppo stupito per badare al dolore alle costole. Digrignò i denti, era stato tutto troppo facile fino a quel momento.
Purtroppo Seppia stava davanti al bersaglio. “Spostati!” pensò, cercando una posizione che gli permettesse di inquadrare l’italiano e prenderlo di mira con la propria pistola.
Seppia ondeggiava con l’intero corpo, puntava la pistola senza sollevarla. Barcollava come ubriaco. Come fosse indeciso. Ma il bastardo non gli diede tempo di pensare. Seppia fu abbattuto dal secondo proiettile e, appena cadde a terra, Cayetano fu libero di sparare. La sua nove millimetri deflagrò nel silenzio della sera come il rombo di una valanga. L’uomo, colpito dal proiettile calibro 357, fu letteralmente spostato di peso e ricadde un passo più indietro.
Cayetano, compatibilmente con la velocità che gli consentivano le costole rotte e il collo immobilizzato, si precipitò a vedere come stesse Furetto. Si inginocchiò vicino a lui incurante delle luci che iniziavano a illuminare le finestre.
Il colpo gli aveva squarciato il petto. Una pozza nera si allargava sul giubbotto dei Saints. La grossa Widley gli era scivolata dalle dita e giaceva lì a fianco.
Cayetano si alzò di scatto. L’urlo di dolore represso si mescolò alle fitte al torace. Un’ondata di rabbia cieca gli diede l’impulso di correre. Ma non poteva, i dolori gli tolsero il respiro. Allora si avvicinò al bastardo a terra due metri più in là. Gli sferrò un calcio con tutta la forza, sul fianco. Una pedata tanto violenta da rovesciare il cadavere.
Sotto la luce fredda del lampione, gli occhi di Cayetano fissarono sbarrati i lineamenti dello sconosciuto. Non sapeva chi fosse, né perché si trovasse lì a un passo dal bungalow del bastardo. Un errore nel numero della stanza. Fu questo il primo pensiero. Maledetti asini. Ma ormai era troppo tardi e fece per arretrare. Almeno poteva recuperare la pistola di Furetto.
In quell’istante tuttavia un colpo esplose nella notte. Proveniva da un punto imprecisato alle sue spalle. Cayetano si voltò.
Un altro colpo. La fiammata lampeggiò nel buio del parcheggio, all’altezza della reception.
Cayetano strinse i denti per il dolore e tenendosi basso si diresse verso un nucleo d’ombra fitta. Si rannicchiò dietro un’auto. Era quella cui lo sconosciuto in impermeabile si era diretto poco prima.
Un terzo colpo risuonò nel piazzale deserto. Più vicino questa volta e un rumore metallico rivelò che a essere colpita era stata la lamiera dell’auto.
Cayetano puntò la nove millimetri in direzione della fiammata e fece fuoco.
In quel momento esatto dei fari illuminarono il parcheggio. Era un’auto che svoltava per il motel.
Il buio venne attraversato da una lama di luce e la sagoma di un uomo accucciato si delineò con chiarezza. Era chino in avanti e procedeva verso di lui. Cayetano sparò di nuovo. L’auto allora frenò bruscamente e si arrestò storta nel bel mezzo del piazzale.
Ne uscì una donna. Il corpo aggraziato di una bruna si delineò contro le luci rossastre dell’insegna riflesse dall’asfalto bagnato.
Una voce maschile, sconosciuta, gridò: «Vai via, allontanati!»
Ma la bruna continuò a venire avanti, verso l’uomo e verso Cayetano. Poi parve ripensarci perché si arrestò. Si guardò intorno. Si nascose dietro un’auto.
Leoanard fece ricadere la mano che brandiva l’automatica. Appoggiò le spalle alla portiera dell’auto. Era stremato. Estrasse di tasca un pizzico di coca e si massaggiò le narici. Aveva avuto un colpo di genio. Uno dei suoi. Uno di quelli che lo cavavano d’impaccio quando individui più forti andavano sotto. Si tirò in piedi. A fatica ma ci riuscì e, sebbene i dolori al petto lo squassassero, arretrò cercando l’ombra che costeggiava il bungalow. Seppia e Furetto erano morti, ma lui era solo ammaccato. Ce la poteva ancora fare. Si impose di non badare alle fitte e in silenzio, con una corsetta, aggirò il bungalow e poi il corpo centrale della reception, fino a spuntare alle spalle della ragazza. Si avvicinò alla donna, la bocca della nove millimetri ben protesa in avanti. Spinse la canna sulla nuca della bruna mentre con l’altra mano rinserrò le labbra della ragazza. Era fatta. Se voleva salvare la ragazza, quello che sparava sarebbe stato costretto ad abbandonare l’arma.
Cayetano non si era accorto di un individuo rimasto a lungo immobile, celato nell’ombra. Questi raccolse senza far rumore la pistola sfuggita di mano al cadavere in impermeabile e, aggirando la reception, gli si avvicinò, a sua volta, cautamente alle spalle.

Edited by folgorata - 12/1/2012, 11:43
 
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folgorata
view post Posted on 24/11/2011, 01:48




Bene ragioniamo pure, ora che la versione on line è quella giusta! :-)
 
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emerson
view post Posted on 24/11/2011, 14:45




Sono un imbranato e questa può essere la causa dei miei divorzi. Però so essere anche un buon ascoltatore che è il presupposto per i matrimoni.
 
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mandar
view post Posted on 24/11/2011, 18:07




Capitolo 1

New Orleans 1 gennaio 2011, ore 4 del mattino



Il cielo era privo di stelle. Gocce microscopiche di pioggia impregnavano l’aria come fosse una spugna. La berlina nera che correva sull’arteria autostradale deviò dall’arteria autostradale per dirigersi verso i vicini padiglioni grigi,. Questi che si profilavano bassi e cupi contro l’orizzonte. L’unica cosa che brillava a intermittenza era l’insegna luminosa “Motel Bay” in varie gradazioni di rosso. La berlina percorse gli ultimi metri a fari e motore spentoi. Era silenziosa e quasi invisibile nell’oscurità. Si arrestò vicino alla reception. Per qualche decina di secondi nell’auto non ci fu alcun movimento. Poi l’autista e il compagno seduto sul sedile a fianco del passeggero si girarono a guardare con espressione interrogativa il terzo uomo VIRGOLA disteso sul sedile posteriore. Questi si alzò a sedere con difficoltà. Mostrava evidenti segni di sofferenza. Stava soffrendo, le costole rotte lo torturavano. La posizione in cui gli era sembrato di soffrire meno era quella distesa. A ogni sobbalzo dell’auto, tuttavia, fitte lancinanti gli avevano tolto il fiato durante la mezzora di viaggio. L’iniezione antidolorifica aveva solamente attenuato il dolore. Abbassò il finestrino appannato e rabbrividì al flusso di aria fredda che penetrò nell’abitacolo. L’uomo girò faticosamente il capo ostacolato dal collare ortopedico. Si guardò intorno. I bungalow avevano l’intonaco sporco e scrostato. L’insegna al neon emetteva un fastidioso ronzio. Sotto gli alberi scheletrici spuntavano solo le erbacce. Il motel era la solita topaia. Il freddo intenso era penetrato nell’auto ed il fiato degli occupanti formò piccole nuvole bianche che svanivano come fuochi fatui. L’uomo prese dalla tasca del giaccone un flacone di pillole e ne ingoiò una. Sperò che gli desse un po’ di carica, anche a costo di acuire il dolore. Bevve un sorso di 'acqua da una alla bottiglia posta nella tasca della portiera. Avrebbe desiderato essere spaparanzato sul letto di mamma Deborah anziché in quel motel sperduto in mezzo al nulla. Si chiese se quella faccenda valesse veramente la pena e si rispose di sì. Quello stronzo doveva pagare. Diede un ultimo sguardo circolare intorno a sé, soffermandosi poi sulla reception. Non si vedeva in giro anima viva. Anche il self-service era chiuso. Da quelle parti non dovevano passare né molti soldi né molta gente.
«Che posto di merda!», esclamò. Gli altri fecero una risatina.
«IniziamoE' ora!», ringhiò e tutti e tre si calarono il passamontagna sulla testa «Furetto - continuò - tu e Seppia trovate il numero della camera. Lavoratevi il portiere, senza esagerare. Deve sembrare che cerchiamo soldi. Rovesciate un paio di cassetti.»
Furetto dal posto di guida annuì. Si affrettò a uscire dall’auto e infilò alla sotto la cintura il coltello recuperato da sotto il sedile. Andò sul retro dell’auto e dal bagagliaio estrasse un piede di porco. Lo passò al compagno ed estrasse una Widley. Leonard la guardò stupito, chiedendosi dove avesse trovato i soldi per un’arma che sparava a gas proiettili a calibro variabile. Era enorme. Era tipico di Furetto cercare di compensare la statura minuta con armi di dimensioni assurde. In un altro momento avrebbe riso e ci avrebbe scherzato sopra. Furetto era molto permaloso riguardo alla sua altezza.
«Bella, eh? - sorrise Furetto -. Non l’ho ancora provata con i proiettili da 475. Ti immagini che botto?»
«StaAPOSTROFO attento! - brontolò Leonard -Non voglio che i clienti vengano svegliati dal rumore, manderebbe all’aria tutta la spedizioneo.»
«Non ti preoccupare, solo a vederla fa già il suo effetto, no? Fa impressione, vero? Voglio vedere la faccia dello stronzo portiere.»
Si avviò sorridendo verso la reception. Seppia lo seguì a distanza.
Leonard li guardò allontanarsi, provando un sentimento molto simile alla tenerezza nei loro confronti. Furetto era il suo uomo di fiducia. L’aveva raccattato in carcere con una testimonianza pulita, di quelle che ti restituiscono la verginità. Da allora Furetto era sempre stato al suo fianco. Furetto naturalmente non era il suo vero nome, ma ben si adattava alla sua personalità. Come un furetto era piccolo, veloce e cattivo. Seppia, invece, reclutato qualche tempo dopo, era grande e grosso. Con l’espressione da bruto ritardato, otteneva rispetto senza muovere le mani. In realtà fra i due era il meno pericoloso. E di parecchio. Il soprannome di Seppia gliel’aveva affibbiato Furetto perché, quando parlava, spesso sputava. La gente che non lo conosceva bene non capiva il motivo del nomignolo. Probabilmente pensava che dipendesse dalle lunghe braccia scimmiesche o dal corpaccione informe.
I due tornarono indietro quasi subito, distogliendo Leonard dai suoi pensieri.
«Bungalow sessantotto», precisò Furetto.
«Immagino che non abbiate avuto problemi», commentò Leonard rivolgendosi ai due.
«Nessuno - confermò Furetto con aria contrariata - il portiere russava. Gli abbiamo assestato solo un colpetto perché continuasse a dormire. Probabilmente non ce n’era neanche bisogno.»
Furetto era deluso e Leonard sapeva perchè. Il piccoletto avrebbe voluto vedere il lampo di terrore negli occhi del portiere, entrando a passamontagna calato sul volto pistola in mano. SiDi solito a Leonard piaceva e tuttavia questa volta non vedeva l’ora di concludere. Il dolore e la mancanza di sonno lo stavano distruggendo. Gli faceva male perfino respirare. L’uomo che stavano per punire avrebbe pagato anche per quello.
Iniziarono a camminare, cercando di fare meno rumore possibile sulla ghiaia scricchiolante e controllando i numeri delle camere per arrivare a quella che gli interessava loro. Appena girato l’angolo di un edificio, Furetto si fermò e indietreggiò bruscamente. Col suo improvviso movimento ammaccò con la testa il naso di Seppia che lo seguiva da vicino. Seppia bestemmiò toccandosi il naso dolorante. Furetto soffocò una risata.
«Sta uscendo dalla camera», intimò sottovoce grugnendo per non ridere.
Anche Leonard aveva sentito l’impulso di ridere, non fosse altro che per sciogliere la tensione. Una fitta alle costole però l’aveva bloccato e il dolore gli aveva contratto i lineamenti. Si affacciò a sua volta all’angolo e constatò che lo stronzo era appena uscito dal bungalow. Elegante l’italiano: impermeabile e cappello. Peccato che ora si sarebbe stropicciato un po’. L’uomo, NO VIRGOLA si avviò, borsa in mano, verso il parcheggio.
Un secondo ancora ed estrarlo dall’auto sarebbe stato un casino. Leonard si chiese come mai l’uomo stesse lasciando il motel prima dell’alba. Si era accorto di essere stato seguito? Qualunque fosse il motivo, l’avevano raggiunto in tempo e non avrebbero avuto bisogno nemmeno di forzare la porta della camera. La fortuna era dalla loro parte.
«Raggiungiamo quel bastardo prima che scappi e vediamo di non farlo gridare troppo», sussurrò.
«Il primo colpo è mio!» esclamò Furetto mettendosi a correre seguito da Seppia con il piede di porco in mano.
Leonard li vide schizzare via e pensò con un misto di tenerezza e divertimento che sembravano dei ue ragazzini.
Osservò il bastardo girarsi al rumore dei passi in corsa e vide per un attimo la lama del coltello luccicare VIRGOLA prima di affondare sulla natica dell’uomo. Erano d’accordo di conciarlo a festa VIRGOLA non di ucciderlo. Il bastardo, tuttavia, aveva i riflessi abbastanza pronti. Era ruotato di lato. Il coltello lo aveva colpito solo di striscio. La lama penetrò nella carne per pochi centimetri senza riuscire a metterlo fuori combattimento.
Leonard si sarebbe aspettato un urlo di dolore. Invece, prima che Furetto riuscisse a sferrare un secondo colpo, l’uomo aveva estratto una pistola dalla giacca e feceACEVA fuoco. La fiammata riverberò sull’asfalto umido. Ma lo sparo non si udì. Ci fu solo un rumore attutito, come uno scoppio sordo, e Leonard vide Furetto stramazzare a terra. Il silenzio in cui si era svolta la scena aveva qualcosa di irreale. Leonard sussultò, troppo stupito per badare al dolore alle costole. Digrignò i denti, era stato tutto troppo facile fino a quel momento.
Purtroppo Seppia stava davanti al bersaglio. “Spostati!” pensò, cercando una posizione che gli permettesse di inquadrare l’italiano e prenderlo di mira con la propria pistola.
Seppia ondeggiava con l’intero corpo, puntava la pistola senza sollevarla. Barcollava come ubriaco. Come fosse indeciso. Ma il bastardo non gli diede tempo di pensare. Seppia fu abbattuto dal secondo proiettile e, appena cadde a terra, Leonard fu libero di sparare. La sua nove millimetri,NO VRIGOLA rimbombò nel silenzio della sera come un colpo di cannone (Qui mi piacerebbe un'aktra metafora, meno ovvia) . L’uomo, colpito dal proiettile calibro 357, fu letteralmente spostato di peso e ricadde un passo più indietro.
Leonard, compatibilmente con la velocità che gli consentivano le costole rotte e il collo immobilizzato, si precipitò a vedere come stesse Furetto. Si inginocchiò vicino a lui incurante delle luci che iniziavano a illuminare le finestre.
Il colpo gli aveva squarciato il petto. Una pozza nera si allargava sul giubbotto dei Saints. La grossa Widley gli era scivolata dalle dita e giaceva lì a fianco.
Leonard si alzò di scatto. L’urlo di dolore represso si mescolò alle fitte al torace. Un’ondata di rabbia cieca gli diede l’impulso di correre. Ma non poteva, i dolori gli tolseroglievano il respiro. Allora si avvicinò al bastardo a terra due metri più in là. Gli sferrò un calcio con tutta la forza, sul fianco. Una pedata tanto violenta da rovesciare il cadavere.
Sotto la luce fredda del lampione, gli occhi di Leonard fissarono sbarrati i lineamenti dello sconosciuto. Non sapeva chi fosse, né perché si trovasse lì a un passo dal bungalow del bastardo. Un errore nel numero della stanza. Fu questo il primo pensiero. Maledetti asini. Ma ormai era troppo tardi e fece per arretrare. Almeno poteva recuperare la pistola di Furetto.
In quell’istante tuttavia un colpo esplose nella notte. Proveniva da un punto imprecisato alle sue spalle. Leonard si voltò.
Un altro colpo. La fiammata lampeggiò nel buio del parcheggio, all’altezza della reception.
Leonard strinse i denti per il dolore e tenendosi basso si diresse verso un nucleo d’ombra fitta. Si rannicchiò dietro un’auto. Era quella cui lo sconosciuto in impermeabile si era diretto poco prima.
Un terzo colpo risuonò nel piazzale deserto. Più vicino questa volta e un rumore metallico rivelò che a essere colpita era stata la lamiera dell’auto.
Leonard puntò la nove millimetri in direzione della fiammata e fece fuoco.
In quel momento esatto dei fari illuminarono il parcheggio. Era un’auto che svoltava per il motel.
Il buio venne attraversato da una lama di luce e la sagoma di un uomo accucciato si delineò con chiarezza. Era chino in avanti e procedeva verso di lui. Leonard sparò di nuovo. L’auto allora frenò bruscamente e si arrestò storta nel bel mezzo del piazzale.
Ne uscì una donna. Il corpo aggraziato di una bruna si delineò contro le luci rossastre dell’insegna riflesse dall’asfalto bagnato.
Una voce maschile, sconosciuta, gridò: «Vai via, allontanati!»
Ma la bruna continuò a venire avanti, verso l’uomo e verso Leonard. Poi parve ripensarci perché si arrestò. Si guardò intorno. Si nascose dietro un’auto.
Leoanard fece ricadere la mano che brandiva l’automatica. Appoggiò le spalle alla portiera dell’auto. Era stremato. Estrasse di tasca un pizzico di coca e si massaggiò le narici. Aveva avuto un colpo di genio. Uno dei suoi. Uno di quelli che lo cavavano d’impaccio quando individui più forti andavano sotto. Si tirò in piedi. A fatica ma ci riuscì e, sebbene i dolori al petto lo squassassero, arretrò cercando l’ombra che costeggiava il bungalow. Seppia e Furetto erano morti, ma lui era solo ammaccato. Ce la poteva ancora fare. Si impose di non badare alle fitte e in silenzio, con una corsetta, aggirò il bungalow e poi il corpo centrale della reception, fino a spuntare alle spalle della ragazza. Si avvicinò alla donna, la bocca della nove millimetri ben protesa in avanti. Spinse la canna sulla nuca della bruna mentre con l’altra mano rinserrò le labbra della ragazza. Era fatta. Se voleva salvare la ragazza, quello che sparava sarebbe stato costretto ad abbandonare l’arma.
Leonard non si era accorto di un individuo rimasto a lungo immobile, celato nell’ombra. Questi raccolse senza far rumore la pistola sfuggita di mano al cadavere in impermeabile e, aggirando la reception, gli si avvicinò, a sua volta, cautamente alle spalle.

Po che succede? :D
molto James Ellroy. Prende. consiglio solo più coraggio nelle metafore e nella lingua. ma è solo l'inizio e uno siu scioglie man mano. comunque, è buono.
 
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folgorata
view post Posted on 24/11/2011, 18:21




Evviva buonissimo responso Emerson, Madar è la più autorevole in fatto di stile. Adesso ci vorrebbe una letturina di Gaia che non ha peli sulla lingua e Tyreen magari...
Apporta al capitolo le correzioni che dice Mandar.

Appro Emerson questi sono i libri in uscita vai a leggerti qualche pagina e dì la tua!
Un nido di terra per la donna cristallo di MArgaret Gaiottina (genere fantasy romantico brillante)
Apocalypse Kebab di J.Tangerine (genere fantasy catastrofico guerresco romantico filosofico)
La fantasia dello scarafaggio di Edward Punch (giallo-thriller sentimentale brillante)

tra due o tre giorni poi posta il secondo cap
 
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margaret gaiottina
view post Posted on 24/11/2011, 21:55




E' interessante: ti faccio i miei appunti, non spaventarti perchè sembro cattiva ma ti assicuro che non lo sono, evito solo i giri di parole:-)

1)Se uno ha una o più costole rotte e sta sdraiato sul sedile dietro non ci pensa proprio ad alzarsi spontaneamente per mettersi seduto.

2) Che vuol dire:L’aveva raccattato in carcere con una testimonianza pulita, di quelle che ti restituiscono la verginità.?

3)Secondo me stride un po' che leonard pensi due volte di provare quasi tenerezza per i suoi mastini e poi li chiami fra sè asini perchè crede che si siano fatti ammazzare solo per aver sbagliato stanza.

4) Poi non capisco perchè Leonard mandi i due in avanscoperta per poi aspettare che ritornino da lui alla macchina e allora rivanno tutti e tre. O scendono tutti e tre insieme dalla macchina o leonard segue tutto dalla distanza e interviene solo quando i due suoi sono a terra.

mi sembra un ottimo inizio, interessante davvero. Coraggio!
 
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emerson
view post Posted on 25/11/2011, 10:10




Spaventarmi io per le critiche? Guarda che quando voglio fare un pò di moto vado a giocare con il toro che tengo in giardino. Ho solo l'accortezza di mettermi a torso nudo perché il toro s'incazza quando vede le camicia hawaiane con prevalenti sfumature rosse.
Sono il primo a pregarvi ad essere dirette nelle critiche. Uno che si è sposato quattro volte, infatti, è evidentemente restio ad imparare dai propri errori.
Vi ringrazio quindi tutte, assicurandovi di aver preso nota delle obiezioni.
 
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emerson
view post Posted on 25/11/2011, 11:27




Ammetto, non sono un esperto in costole rotte. Se fossero solo incrinate potrebbe avere più autonimia?
Per quanto riguarda la restituzione della verginità, ammetto che la frase possa sembrare criptica ma volevo solo dire che è riuscito a liberarlo dal carcere testimoniando a suo favore.
Il fatto che un momento Leonard provi tenerezza per i suoi tirapiedi ed in un altro li chiami asini direi che non provoca contrasti. L'umore delle persone cambia continuamente a seconda delle circostanze. Te lo può assicurare un esperto: ho avuto quattro mogli.
Ultima obbiezione: non trovo significativo che Leonard esca o meno dall'auto quando manda i suoi in perlustrazione. Ciò che importa è che vadano a piedi insieme in cerca della camera del motel.
 
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mandar
view post Posted on 25/11/2011, 11:31




La frase sulla verginità va aggiustata: non si capisce bene.
sulle costole non mi esprimo, non so.
sul fatto che aspetti in macchina mentre i suoi vanno a prendere informazioni secondo me ci sta. è credibile.
 
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emerson
view post Posted on 25/11/2011, 14:34




CITAZIONE (mandar @ 25/11/2011, 11:31) 
La frase sulla verginità va aggiustata: non si capisce bene.
sulle costole non mi esprimo, non so.
sul fatto che aspetti in macchina mentre i suoi vanno a prendere informazioni secondo me ci sta. è credibile.

Sono pienamente d'accordo.
 
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folgorata
view post Posted on 25/11/2011, 22:48




1)Se uno ha una o più costole rotte e sta sdraiato sul sedile dietro non ci pensa proprio ad alzarsi spontaneamente per mettersi seduto.

MAGARI QUI EMERSON POTRESTI ATTENUARE PARLANDO DI TAGLI LIVIDI E COSTOLE INCRINATE. COMUNQUE GAIA è UN GRANDE CLASSICO L'EROE CHE GIRA CON COSTOLE ROTTE E SPUTA SANGUE. HO APPENA FINITO DI LEGGERE UN GIALLO COSì DI CRISTOPHER MOORE

2) Che vuol dire:L’aveva raccattato in carcere con una testimonianza pulita, di quelle che ti restituiscono la verginità.?
ROBA PER ADDETTI AI THRILLER GAIA. PERò POTREMMO RENDERLO PIù CHIARO DICENDO "SERVENDOGLI UNA TESTIMONIANZA A DISCARICO CHE GLI AVEVA RESTITUITO LA VERGINITà"

3)Secondo me stride un po' che leonard pensi due volte di provare quasi tenerezza per i suoi mastini e poi li chiami fra sè asini perchè crede che si siano fatti ammazzare solo per aver sbagliato stanza.
Sì STRIDE, COME STRIDE PER FORZA LA TESTA DI UNO CHE VIAGGIA A COCAINA, HA FATTO DELLA SUA VITA UN TABOOGA E VIVE FACENDO IL PAPPA

4) Poi non capisco perchè Leonard mandi i due in avanscoperta per poi aspettare che ritornino da lui alla macchina e allora rivanno tutti e tre. O scendono tutti e tre insieme dalla macchina o leonard segue tutto dalla distanza e interviene solo quando i due suoi sono a terra.
COSA VUOL DIRE CHE NON HAI CAPITO? CHE NON TE LO SPIEGHI? L'AZIONE SI SVOLGE ESATTAMENTE COME HAI DESCRITTO.

 
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emerson
view post Posted on 26/11/2011, 17:24




Capitolo 2°

Roma, 15 dicembre 2010, ore 11 del mattino
Un uomo alto e distinto, vestito di grigio, suonò il campanello di un vecchio stabile poco distante da Piazza San Pietro. Lo spioncino si aprì e occhi sospettosi lo squadrarono. «Sono Ciro Della Croce - dichiarò con una certa altezzosità -, sono atteso da Monsignor Bentivoglio.» Il portone gli venne aperto da un giovane prete in tonaca. Il chierico gli fece cenno di seguirlo. Salirono due rampe di scale e percorsero corridoi semibui fino ad arrivare a un salottino. Gli fu detto di attendere. Ciro Della Croce si guardò attorno. Nella stanza, come arredamento, c’era solo un divanetto sopra il quale si vedeva un quadro raffigurante un Gesù Cristo con l’aria estatica e un cuore in mano. Pennellata sfumata effetto aerografo e velature. Forse era stato appeso per nascondere qualche screpolatura nella carta da parati. Ciro Della Croce passeggiò su e giù per la camera per diverso tempo poi si sedette. Guardò l'orologio. Erano trascorsi appena dieci minuti. Si rialzò e ricominciò a camminare. Ritornò a fermarsi davanti al Cristo. Cercò di specchiarsi nel vetro del quadro. Si aggiustò con la mano una ciocca di capelli grigi che gli sembrava fuori posto. Continuava a rimanere sollevata. Bagnò la mano di saliva e la passò nuovamente sulla ciocca ribelle che s'incollò alle altre. Adesso andava bene. Cercò di sorridersi. Riuscì a farsi solo una smorfia. Controllò nuovamente l'orologio: erano trascorsi altri cinque minuti. Sospirò. Contò i passi che necessitavano per andare da una parete all'altra della camera: sette. Un numero che ricorre tante volte nella bibbia e considerato il numero perfetto nell'esoterismo. Sperò che fosse di buono auspicio per quel colloquio che non era stato chiesto da lui.
Quando finalmente un prete diverso dal precedente lo fece entrare nell’ufficio di monsignor Bentivoglio, era già trascorsa mezzora. Il prelato sedeva dietro una scrivania scura. Alzò appena la mano come saluto. Non solo Monsignore lo aveva fatto aspettare ma neppure sollevava lo sguardo. Della Croce sorrise. Presto le cose sarebbero cambiate. Sarebbero stati i Bentivoglio a far anticamera per pietire regalie dalla Fondazione.
«Siedi pure», disse il prelato con tono condiscendente. Si ostinava a dargli familiarmente del tu. Non aveva alcun rispetto per Della Croce, né per la sua funzione, né per il suo lavoro.
Ciro Dalla Croce si sedette lentamente mentre la palpebra dell’occhio sinistro gli batteva frenetica. Riuscì a reprimere l’impulso di digrignare i denti ma la rabbia gli impedì questa volta di sorridere.
Monsignor Fabrizio Bentivoglio aprì una cartella e iniziò a girare le carte spuntandole con una penna. Dallo zuccotto paonazzo uscivano alcune ciocche di capelli scuri. Eppure il prete doveva avere almeno dieci anni più di lui, rifletté Della Croce accarezzandosi la nuca brizzolata. I preti non avevano vite stressanti, di certo almeno non stressante quanto la sua. Della Croce volse lo sguardo all'intorno. Non era cambiato niente nell'ufficio dall’ultima volta che era stato lì. La solita carta da parati con corone viola che sovrastavano piccole croci. La vetrinetta in ebano sormontata da un timpano alla cui sommità svettava una croce, le colonnine istoriate con i temi della via crucis. All’interno, i tomi rilegati in pelle recavano sul dorso il Chi Ro o il trigramma di Cristo. Il calamaio con il portapenne era una piccola acquasantiera riadattata. Ogni oggetto doveva essere “firmato” dai nomina sacra come per rimarcare che i chierici erano l’aristocrazia del mondo. Monsignore doveva essere molto fiero del proprio status. Poi lo sguardo di Della Croce intercettò lo sguardo di Dio. Dalla croce appesa alla parete, un cristo, dall’espressione particolarmente addolorata, sembrava fissare impotente sulla scrivania il fermacarte in bronzo. Questo rappresentava San Giovanni nell’atto di essere decapitato. Un povero santo che inutilmente sembrava lanciare un grido per impetrare la pietà del Cielo. Una scena cruenta. Doveva esserci della crudeltà non comune in chi aveva scelto di tenersela davanti ogni giorno. Qualche secolo prima Bentivoglio magari avrebbe scelto l’Inquisizione come ambito ecclesiastico. In quell’istante il Monsignore alzò lo sguardo su di lui. Come se fosse riuscito a leggere i suoi pensieri. Della Croce sussultò. Istintivamente si mise in posizione di difesa.
«Ho letto il tuo rapporto e sono rimasto deluso per due motivi: gli scarsi risultati delle indagini e l’enorme richiesta di denaro.- disse il prelato -C’è inoltre il caso di suicidio di uno fra i sospettati. Tu come lo spieghi?»
«Vede Monsignore - provò a giustificarsi Della Croce -, talvolta la vergogna delle proprie azioni può spingere ad atti estremi.»
«Hai lasciato filtrare qualcosa? Si sentiva sospettato?»
Della Croce allargò le braccia in segno di impotenza. «Sono sempre stato discreto. Chissà piuttosto quali paure costanti serpeggiano in personalità tanto contraddittorie!»
Bentivoglio lo guardò poco convinto e tirò invece fuori dal cassetto della scrivania un foglio. «Qui vedo elencati oneri per circa centomila euro con la causale “spese informatiche”. Mi piacerebbe proprio sapere a cosa si riferiscono.»
Della Croce aveva immaginato che, prima o poi, quel burocrate ecclesiastico sarebbe stato capace di rinfacciargli gli spiccioli. Come se il lavoro non fosse uno dei più schifosi e pericolosi. E quel prete pidocchioso aveva anche il coraggio di lamentarsi! In ogni caso non c’erano misteri. «Vede monsignore, ho dovuto trovare uno strumento efficace per accreditarmi. Le persone con il vizio patologico della pedofilia vivono di scambi di materiale fotografico, non ho potuto realizzare un fotomontaggio artigianale. Sono circuiti in cui per una foto efficace si sborsano cifre da capogiro. Si può dire che non vi siano migliori esperti per giudicare se uno scatto sia autentico o sia un falso. Ho dovuto ricorrere a uno studio fotografico francese e a un laboratorio grafico molto avanzato, capirà», dichiarò distogliendo gli occhi castani da quelli cerulei del prelato.
Monsignor Bentivoglio ricambiò lo sguardo senza abbassare le sopracciglia. «Ma centomila euro…»
Della Croce notò l’espressione incredula e decise che era venuto il momento di sferrare il colpo risolutivo. «Se mi consente, adesso le mostrerò il materiale», disse e, estratta dalla tasca interna della giacca una busta, la depose sulla scrivania.
Bentivoglio prese un lungo sospiro e tirò fuori una decina di rettangoli di carta lucida. Ritraevano Della Croce. L’uomo era ripreso di tre quarti, dalla vita in su. Il busto era nudo. Davanti c’erano viluppi di carni tenere e rosate. Gli atteggiamenti erano tali da non lasciare dubbi.
Il prelato fece scorrere una o due immagini poi le impilò nella busta e la richiuse. La riga delle labbra era piegata in basso alle estremità. Allungò una mano porgendo il plico.
Della Croce scosse la testa: «No, le tenga per cortesia. Ho bisogno che qualcuno certifichi che si tratta di falsi realizzati a solo scopo investigativo. Anzi… - mormorò estraendo un foglio - ho preparato una ricevuta protocollare.»
La mano del Monsignore si posò sul campanello. L’agitò brevemente. Sulla superficie argentea barbagliò il cristogramma. Le dita lanciavano lampi dall’anello di dignità. Effetto del prodigio un prete alto e magro comparve sulla piccola porta alle spalle del prelato.
Il chierico si avvicinò alla scrivania.
Della Croce si soffermò con gli occhi sugli inconfondibili capelli rossi. Era Tomas Connelly l’assistente.
Senza neppure sollevare lo sguardo, Bentivoglio estrasse le fotografie e le fece scorrere velocemente tra le dita verso Connelly.
L’assistente curvò il corpo segaligno e protese lo sguardo.
Poi si raddrizzò bruscamente, irrigidendosi. Le guance lentigginose impallidirono e gli occhi acquosi si sgranarono. Fissavano la parete di fronte.
«Padre Connelly voglia prendere atto della consegna di questo materiale», mormorò Bentivoglio senza espressione e fece scivolare il foglio della ricevuta sulla superficie della scrivania in direzione del sottoposto.
Tomas Connelly si chinò nuovamente e firmò. La mano non tremava, il viso mostrava di nuovo un colore naturale. Aveva ripreso il controllo.
In calce alla firma del chierico Monsignore vergò la propria. Poi fece un cenno veloce con il dorso della mano. Lanciò uno sguardo in tralice a Connelly e questi raccolse la busta. Aveva capito al volo.
Gli occhi di Monsignore si spostarono allora su Ciro Della Croce, e restarono fissi su di lui.
Anche Ciro capì alla prima.
Si alzò, si schiarì la gola e accennò un inchino con la testa.
Monsignore si sollevò in piedi accanto a Connelly e i due religiosi restarono a fissarlo, l’uno di fianco all’altro.
Ciro Della Croce voltò le spalle e si insinuò oltre la porta da cui era entrato, sentiva ancora gli sguardi sulla nuca. Sembravano trapassarlo, appuntati come spilli su una bambola voodo.
Monsignor Bentivoglio mantenne lo sguardo sul contractor. La porta si chiuse con delicatezza. Eppure quel Della Croce non gli piaceva. Certo una persona che investiga nell’ombra, frugando nel torbido, è inquietante. Era inevitabile che fosse così. E anche per i modi non c’era da sorprendersi che fossero impercettibilmente sfuggenti. Eppure Della Croce non era come gli altri agenti. Coloro che lo avevano preceduto ce l’avevano scritto in faccia, nelle rughe scavate, nella piega amara delle labbra, il disgusto per le brutture su cui indagavano. Della Croce no. Guardava in basso troppo spesso e non sorrideva mai con gli occhi. Non c’era da fidarsi. Monsignore sbirciò Connelly ancora al suo fianco. L’assistente stava armeggiando con un dipinto che rappresentava Santa Lucia con gli occhi in mano. Spostato il quadro, faceva ruotare la manopola della cassaforte. Non badava a lui. Nemmeno il fido padre Tomas condivideva il suo scetticismo su Della Croce.
Monsignor Federico Bentivoglio si lasciò andare sulla poltroncina. Piaceva a tutti Della Croce. Aveva dei veri propri mentori tra i porporati. Forse era per la parentela con la presidentessa della Fondazione Della Croce. Bentivoglio si chiuse il viso tra le mani. Nessuno gli toglieva dalla testa che sarebbe stato meglio affidare le indagini a personale appartenente al clero. Come avveniva in passato. Erano questioni troppo delicate per lasciarle ad estranei. Le conseguenze potevano essere disastrose.
Come gli accadeva spesso, lo sguardo si fermò sul filo della scure a pochi millimetri dalla nuca di San Giovanni. L’urlo del santo sembrava aver pietrificato il tempo. La lama, per quanto minacciosa, restava immobile senza recidergli il collo. La scure andava fermata, almanaccò Monsignore, poco importava quanto tortuose oltre che infinite potessero sembrare le vie del Signore.
Della Croce, intanto, abbandonò il palazzo e si avviò pensieroso sotto il colonnato. Ripensò ai modi aristocratici di Bentivoglio, allo snobismo, al disgusto manifestato ogni volta. In mesi di collaborazione il prete non gli aveva mai sfiorato la pelle per stringergli la mano. Detestava Bentivoglio. Della Croce alzò la mano per richiamare un taxi. Sarebbe giunta l’ora della riscossa, prima o poi, era inevitabile, si disse, salendo sull’auto bianca ferma oltre l’abbraccio del Bernini. Spettava a lui la Presidenza della Fondazione quando fosse venuto il momento.
Ciro Della Croce si passò la lingua sul labbro superiore. Gli occhi erano fissi oltre il finestrino. Non osservarono i palazzi di viale della Conciliazione. Davanti, stavano passandogli le immagini della nuova vita. Da Presidente della Fondazione Della Croce, basta coperture, basta con i travestimenti, le barbe finte e i camuffamenti vari; basta con i nomi falsi e soprattutto basta con l’abiezione e l’odore della paura, il sudore rancido di uomini che considerano se stessi indegni di vivere.








Ho spedito il secondo capitolo. Spero che vi chiediate alla Di Pietro "che ci azzecca il primo con il secondo capitolo?". Lo scoprirete (se avrete voglia) solo più avanti.
Sto leggendo il romanzo di Mandar. Non sono un grande fautore della fantascienza ma lo trovo molto simpatico per l'ironia con cui è tessuto. Un autore che si prenda troppo sul serio non mi piace molto.

Edited by emerson - 11/12/2011, 16:19
 
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folgorata
view post Posted on 27/11/2011, 11:49




Rileggendolo mi pare un po' sincopato, sentiamo cosa dicono le altre.
 
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mandar
view post Posted on 27/11/2011, 12:26




a me piace, è intirgante. appena ho 2 minuti propongo delle revisioni, ma l'ho letto molto volentieri.
 
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emerson
view post Posted on 27/11/2011, 16:06




Messaggio per Mandar.
Trovare un riferimento erudito a Catullo, da parte di una Burda dipendente, in un romanzo di fantascienza è una vera piacevole sorpresa. Per fare un paragone grossolano, da americano quale sono, è come trovare, durante la funzione serale in un convento di frati, un confratello che invece di pregare tira fuori da sotto la tonaca playboy e si mette a guardare il paginone centrale.
Per il resto, essendo un americano pragmatico, è facile per me risolvere il dubbio di Alessandra applicando la proprietà transitiva: quando l'amore è tormento, tanto maggiore è il tormento, tanto maggiore sarà l'amore.
Forse dovrei tenere per me i commenti un pò stupidi? Ditemelo pure, non mi offendo.
 
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83 replies since 23/11/2011, 16:03   594 views
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