| Capitolo 3° Roma, ore 8.30, 30 dicembre 2010
L’uomo osservò la donna uscire dal palazzo e incamminarsi verso la fermata d’autobus. Era una signora di mezza età, piccola, con un cappello rosso a scodella. La luce di un lampione bastava a rivelare la carnagione e gli occhi assottigliati del popolo filippino. La domestica. L’uomo attese l’autobus. L’automezzo si arrestò in uno stridore di freni e prelevò la donna. Poi ripartì nel lamento dei cambi di marcia e sparì oltre l’angolo portando con sé la filippina. Ora il campo era libero. L’uomo si avvicinò al palazzo e cercò un nome tra i pulsanti del citofono. Ursula Della Croce udì trillare il campanello di casa mentre riposava in poltrona. Il suono era così insistente che decise di andare ad aprire anche se il movimento le costava fatica e dolore. Prese il bastone che aveva a portata di mano e provò ad alzarsi. Il primo tentativo la fece ricadere a sedere con il cuore in tumulto. Al secondo, prese lo slancio e, appoggiandosi al bracciolo da una parte e al bastone dall’altra, riuscì con uno sforzo a levarsi in piedi. Lo sfinimento e il dolore la lasciarono per qualche momento senza fiato. Poi si diresse lentamente verso il videocitofono appoggiandosi faticosamente al bastone e ai mobili antichi. Lo specchio dalla cornice dorata nell’ingresso le rimandò un’immagine. Vide una donna in camicia da notte e vestaglia che arrancava disperatamente per fare quei pochi metri che la separavano dalla porta. Si chiese perché non fosse anche lei morta nell’incidente in cui aveva perso la vita il marito dieci giorni prima. Sarebbe stato tutto più semplice e non avrebbe sofferto tanto. Poi le venne in mente il volto di un uomo e pensò che doveva essere lei a far sapere la verità a quel ragazzo. Chiese mentalmente scusa per quei pensieri al Signore, immaginando che fosse questo il motivo per cui la sua vita era stata preservata. Al videocitofono riconobbe la persona che aveva suonato e spinse il pulsante che apriva il portone del palazzo. Attese in piedi sull’uscio. «Ti disturbo?», chiese l’uomo che saliva le scale quando la vide. «No, hai fatto bene a venire. Dobbiamo parlare. Ti avrei chiamato domani.» «Sono venuto a vedere come stai. Se hai bisogno di qualcosa. Ti trovo bene nel complesso», in realtà a vederla appoggiata al bastone, con la sofferenza evidente nei tratti del viso tirati, sembrava molto più vecchia dei cinquant’anni che aveva. «Come ti senti?», chiese l’uomo in tono sollecito. La donna fece un gesto con la mano che stava probabilmente a significare: come mi vedi. L’uomo inclinò automaticamente le sopracciglia in espressione compassionevole ma la donna stava fin troppo bene per i suoi gusti. Se l’era cavata. Aveva più vite di un gatto. Ursula Della Croce, pur aiutandosi con il bastone, si dovette appoggiare pesantemente a lui per raggiungere la poltrona in cui si accomodò con un sospiro in cui il sollievo per aver finito di stare in piedi si mescolava alla sofferenza. Ma non si abbandonò sullo schienale. L’uomo notò che la postura era rigida. Forse erano i dolori a impedirle di rilassarsi. L’uomo accennò un sorriso, Ma la signora Della Croce non mosse le labbra. C’era qualcosa. Non si trattava solo della sofferenza. Era distaccata. L’uomo si sedette di fronte a lei. E Ursula Della Croce iniziò a parlare. Sillaba dopo sillaba, ogni parola colpiva e affondava i progetti e i traguardi su cui lui aveva fatto conto. Rimase immobile ad ascoltare ma la rabbia gli montava dentro impetuosa e gli afferrò la nuca in una morsa di ghiaccio. «Sono esausta, - esalò la Della Croce alla fine - ho bisogno di un caffè.» Il tono era stato di comando e, per riflesso automatico, l’uomo scattò in piedi. Si diresse in cucina. Una di quelle vecchie cucine. Ricca ma antica. Niente pensili, un armadio a muro, una madia di almeno cent’anni ed il fornello Gasfire con le manopole in bachelite nera. L’uomo faticò non poco a trovare la giusta regolazione del gas perché il fuoco non bruciasse il manico della caffettiera e non rischiasse di spegnersi. Andò all’armadio, prese una tazzina e un piattino del servizio Rosenthal, il preferito dalla signora Della Croce. Allestì un vassoio con centrino e su questo appoggiò un piattino d’argento con un altro centrino più piccolo e infine piattino e tazzina di porcellana. Nell’attesa che il caffè venisse pronto, raggiunse la zona notte in punta di piedi. Il letto di Ursula Della Croce era uno di quei catafalchi ottocenteschi affiancati da comodini alti e stretti. Dovette cercare altrove. Individuò in necessario sopra il comò. Una salvietta di lino proteggeva il legno intarsiato da una lunga fila di flaconi, siringhe, attrezzature per praticare fleboclisi. La milza spappolata era un affare serio. Povera Ursula, sorrise tra sé. Poi si impose di concentrasi. Lo sguardo passò in rassegna le scatole dei medicinali e si fermò su quella con la scritta Stilnox. Era uguale a quella che aveva in tasca e che si era portato per sicurezza. Era compiaciuto della propria cautela. Non ci sarebbe stato bisogno di aprire la nuova confezione. L’uomo estrasse una compressa dalla scatola di Ursula. Tornato in cucina colò il liquido fumante e cremoso. Posò accanto alla tazzina anche un piccolissimo bricco porta latte e una zuccheriera. Accidenti, aveva lasciato acceso il fornello. Poco male. Si avvicinò veloce e ci soffiò sopra. Poi agguantò la presina e ripulì accuratamente la manopola. Già che aveva in mano la presina, fece ruotare un altro paio di rubinetti in bachelite. Un sorriso soddisfatto gli si dipinse in volto. Massì, bisognava festeggiare, e diede un sorso alla tazza colma di caffè. Non male. Sbriciolò le compresse nel caffè e portò il vassoio in soggiorno. L’appoggiò su un tavolino davanti a Ursula Della Croce. Lei bevve a piccoli sorsi e riprese il suo parlare offeso. «Come hai potuto?», ripeté ma sempre più flebilmente e nel giro di dieci minuti si assopì. L’uomo la sollevò tra le braccia e la portò a letto. Le rimboccò le coperte. Tornò in soggiorno, recuperò il bastone e portò in camera anche quello. Infine chiuse le luci e abbandonò la stanza. Le porte erano aperte. L’odore cominciava a diffondersi. Silenzioso e indisturbato imboccò le scale e sparì nella notte. Questa volta nessuna auto imprevista lo avrebbe costretto a frenare e mancare il bersaglio. Dieci giorni prima aveva puntato il furgone diritto verso le due figure che attraversavano di fronte al teatro. L’oscurità e un pelo di foschia aveva reso credibile la svista di un pirata della strada. Aveva accelerato, gli occhi fissi ai coniugi Gherardi Della Croce. Poi, la Chrysler che sbucava dal parcheggio. La sterzata per evitarla e l’impatto con il suo obbiettivo. Le ruote avevano sobbalzato su qualcosa di duro, il povero Augusto Gherardi. L’altro corpo, simile a un fantoccio, era volato di lato, Ursula Della Croce. L’aveva solo ammaccata e ora lei era ancora in grado di sputare veleno. Ma non per molto. Ora non più. Era finita. L’uomo fissò lo specchio retrovisore. Nella notte, il palazzo illuminato di Ursula Della croce diventava sempre più piccolo.
Edited by emerson - 9/12/2011, 10:42
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