DOCkS della Bloody Roses Secret Society

SAMARITAN, Romanzo di Margaret Gaiottina

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margaret gaiottina
view post Posted on 26/6/2015, 14:57




Prologo
15 giugno 2015

La parola sposato mi ha sempre messo i brividi. A volte ancora non riesco a credere di esserlo davvero e aver messo la testa a posto. Mi sembra una specie di sogno dal quale mi sveglierò da un momento all'altro e, giuro, non vorrei mai che accadesse. La colpa, anzi il merito, è di mia moglie, Maya; quando la vedo comparire tutto ciò che la circonda sfuma come la nebbia. Maya mi risucchia ogni energia, mi lascia disarmato, mi mette a nudo. Faccenda ben strana per uno come me. Sono pericoloso, dicono, e nessuno si aspettava certo che perdessi la testa per una donna.
Nei miei giri non ci si sposava. Non c’erano neanche legami blandi, figuriamoci unioni durature. Quando, raramente, mi capitava di pensare al matrimonio, così in generale, mi venivano sempre in mente donne prese a decidere perfino il colore delle mutande dei mariti. E maschi… ridotti da far pena persino a me, che per natura ne provo raramente. Poi Maya ha rivoltato la mia vita come un guanto.
Ancora mi sorprendo quando entra nella mia stanza in clinica, o mi viene vicino e sento la lucidità venire meno. Mi chiedo se mi passerà mai l’istinto di prenderla sul momento, incurante del posto e dei presenti. Circondarla tra le braccia e affondare il naso nel suo collo, o accostarla al muro premendomi tutto contro di lei e aprirle la bocca con la lingua. Adoro farlo, come adoro quando è lei a dominarmi. Dio, devo smetterla di pensarci altrimenti la lipoaspirazione della paziente che ho sotto i ferri non andrà bene e le cosce non risulteranno perfettamente simmetriche.
«Aspirare.»
«Sì, dottore.» L'infermiera obbedisce al comando. Guardo l'orologio appeso alla parete della camera operatoria: sono in perfetto orario, è tutto nei tempi. L’ossessione del controllo ora si limita al lavoro. Per il resto, finalmente posso vivere rilassato.
L’angoscia per la maledizione che ha accompagnato la mia vita è ormai un ricordo. A volte riesco perfino a dimenticarmi che sono il settimo discendente di Helmut Von Sachs, il mostro.
Dovrei invece non scordarmelo mai per prevenire il peggio, e mentalmente anche ora mi ripeto la litania. Da Helmut in poi tutti i Saxton sono maledetti come lui, ma la condizione si manifesta solo in alcuni di noi e il “premio” al momento ce lo godiamo io e Thiago. Ecco questo è il punto. Io e Thiago, meglio non scordarsene mai prima che qualcuno ci rimetta la pelle. Anche lui è settimo discendente ma di un uomo diverso. Condividiamo la stessa madre ma non la medesima linea di sangue paterna. E all’origine della sua condanna, in simmetria perfetta, c’è l’eterno nemico del mio antenato: uno sciamano dell'Amazzonia.
La maledizione di cui parlo è quella dell'animale totemico. Lo zoo di Sussex! Quest'analogia una volta mi faceva ridere e incazzare nello stesso tempo, ma non è sbagliato chiamare la nostra famiglia così perché io e mio fratello, alla fin fine, siamo mezzi uomini e mezze bestie. Per fortuna però ora anche Thiago è in gabbia e a serrare per bene il lucchetto è stata Portia Mantini, la sua salvezza.
Da quando Maya e Portia sono entrate in famiglia, le nostre vite si sono ribaltate.
Prima la rabbia mi faceva trasformare in una creatura mostruosa dalle fattezze di giaguaro, mentre Thiago andava quasi in overdose di cardio depressori per evitare di diventare un pitone in mezzo a una folla di persone. Quando ci ritrovavamo in quelle condizioni, mimetizzarsi in pieno New Jersey era davvero un'impresa. Mille volte siamo stati sul punto di essere scoperti e mille volte ce la siamo cavati, nessuno è ancora a conoscenza del nostro segreto. O quasi, ma non voglio pensarci in questo momento.

La colpa di tutto questo è del mio bisnonno, uno sporco medico nazista che coi suoi esperimenti in Amazzonia ha scatenato l'ira di un potente sciamano del luogo. Il vecchio era un sadico folle che faceva esperimenti sui bambini indios e lo sciamano non l'ha proprio mandata giù. Richiamato dal grido disperato della sua gente che non poteva più sopportare di veder scorrere il sangue di bambini innocenti, lo sciamano ha alzato le braccia al cielo scagliando il suo anatema. La maledizione è ricaduta sul settimo discendente maschio dei Von Sachs, il nostro originario cognome prima che lo cambiassimo in Saxton. Quel settimo discendente sono proprio io, mentre Thiago è il settimo discendente maschio dello sciamano. Eh sì, perché lo sciamano, pur essendo avanti con l'età, violentò per vendetta la moglie di Arthur, ingravidandola.
E questo è solo uno dei motivi per i quali io e mio fratello eravamo destinati a combatterci, oltre al fatto che giaguaro e serpente sono nemici giurati in natura.
Ma la vita ha preso una piega diversa, ora sono passati molti anni e le cose sono cambiate; riusciamo persino a lavorare fianco a fianco come chirurghi nella clinica di medicina estetica di famiglia. La convivenza tra me e Thiago non procede affatto male, se non fosse che nelle nostre discussioni io ho quasi sempre ragione e non ammetto repliche. Quanto a lui, si rifà di questa frustrazione stendendo con la sua bellezza tutto il genere femminile che passa dalla clinica. Portia permettendo. Il merito è ancora una volta tutto delle nostre donne, malgrado nostro padre tutto si sarebbe aspettato, tranne delle nuore di quel tipo.
Maya è figlia dell'autista e Portia poco più di una ragazza di strada e addirittura di una famiglia mezzo mafiosa. Più lontane di così dalle ambizioni del vecchio, non si poteva!
E invece, sono due donne meravigliose. Certo, con questa bella famiglia che si ritrovava alle spalle, mio padre non ha potuto che stare zitto quando Thiago ha deciso che avrebbe portato all'altare proprio Portia. Dovreste proprio vederla la mia futura cognata, perché è davvero impossibile descriverla solo a parole. Thiago fa una fatica dell'anima a tenerla a bada, specialmente nelle occasioni ufficiali. Ma lei è così, autentica e verace, anche un po' sopra le righe.
L'infermiera mi passa il filo per la sutura, ho quasi finito per oggi.
Terminato qui ho le prove per il matrimonio di Thiago. Incredibile a dirsi ma mi hanno coinvolto in questa storia. Mio fratello porterà all'altare Portia per farne una donna onesta. Mi viene dal ridere solo a pensarci. Portia tutto potrebbe essere definita tranne una donna onesta. Certo, difficilmente il loro matrimonio potrà essere fantastico quanto lo è stato quello mio e di Maya. Però sono sicuro che il gusto di mia moglie riuscirà a tenere a freno quel vulcano di Portia e che ne verrà fuori una gran bella cerimonia. No, dire bella è poco. Sono sicuro che questo giugno 2015 aprirà per la mia famiglia la più serena e grandiosa estate di sempre.


 
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margaret gaiottina
view post Posted on 26/6/2015, 16:04




Capitolo 1

Linda inchiodò al semaforo e avvertì alle spalle lo stridio di un’altra frenata. Guardò nello specchietto retrovisore.
Una Sable verde stinto aveva rischiato di fracassarsi i fanali sul paraurti dell’Eldorado, indistruttibile come solo una Cadillac dell’85 poteva essere. Pazzesco, ancora stentava a crederci. Non avrebbe potuto ereditare un’utilitaria dalla sua defunta sorella? Un’auto che potesse passare inosservata? Ma quando mai! Si ritrovava alle due del pomeriggio di un lunedì di giugno che sembrava una fornace, su una statale del New Jersey, in cerca di lavoro, a bordo di una Cadillac Eldorado. Cinque metri di macchina, rosa shocking per giunta! E, come se non bastasse, corredata di nipoti pestiferi, due mocciosi che avrebbero messo alla prova la pazienza di chiunque.
Oltre il parabrezza scorse il viso di un uomo con i capelli bianchi. In realtà vedeva solo la fronte, era abbassata come quella di un animale inferocito e i commenti irripetibili poteva immaginarseli.
C’era mancato poco. Guardò il cielo turchese e sospirò una preghiera di ringraziamento. Un incidente sarebbe stato davvero un disastro. Le stelle evidentemente sconsigliavano la mobilità su gomma a ogni membro della famiglia Tanner. Solo a pensarci, gli occhi le si riempirono di lacrime e quella sensazione di essere lì lì per scoppiare si riaffacciò prepotente.
Il senso di sciagura non la voleva abbandonare da quando sua sorella era morta. Cindy si era messa con quel pazzo di Moody e con lui si era sfracellata sotto un tir. E perché? Un nuovo groppo di pianto fu lì lì per chiuderle la gola quando Theresa, dal sedile posteriore, cacciò un urlo di quelli memorabili.
Linda si voltò con gli occhi talmente sgranati da farle male. Anthony stringeva così forte l’orsacchiotto che se fosse stato un animale vero, lo avrebbe soffocato e Theresa strillava ancora.
«Anthony deve fare pipì e io devo bere. Dobbiamo fermarci. E poi, voglio che guidi più piano, zia. Anthony ha sbattuto la faccia!» Un tono che avrebbe spazientito un santo.
Linda si voltò per un momento, appena il tempo di notare gli occhi cobalto della nipotina fremere dalla furia e il ditino del fratello affondare nella narice, come se non avesse una fine. Theresa era tremendamente arrabbiata e lui decisamente smarrito. Perfetto, tutto nella norma.
«Non fare la saputella, bambina, c'era il semaforo rosso e sai che quand'è di quel colore si frena.»
«Beh voglio che freni di meno, zia» replicò con voce di sfida.
Linda sospirò e riavviò il motore della macchina. Ci sarebbe voluta tutta la buona volontà dell'universo per insegnare a Theresa a tenere a freno la lingua. E, guarda guarda, lei quella poca pazienza toccatale in sorte l’aveva esaurita, non ne aveva più nemmeno un grammo.
Si sentiva sfinita, guidava da oltre due ore e il caldo la stava soffocando. Abbassare tutta la capote non era servito a niente. Il sole era a picco e non una nuvola all’orizzonte per tutto il tragitto da Manhattan alla contea di Sussex. I bambini avevano chiesto di fermarsi una quantità innumerevole di volte e quel viaggio stava diventando un pellegrinaggio.
Poi abbassò lo sguardo verso Anthony e si intenerì.
Con quel suo visino bianco e paffuto, era il ritratto del tipico bimbo in cerca di coccole. Un nodo le strinse lo stomaco. Anthony non ne avrebbe più avute, non quelle più importanti dei veri genitori, almeno. Il padre si era dato alla fuga mentre Cindy era ancora in dolce attesa e questa, la madre dei due fratellini nonché sua sorella, ormai se ne era andata in quello stupido incidente. Stupido l'incidente, più stupida lei e ancor più idiota l’amante, quello scriteriato di Moody. Era sbagliato parlare in quel modo dei morti, ma come si poteva definire una che si andava ad ammazzare per colpa di un pompino col brivido mentre Moody era al volante? Una tragedia dentro la tragedia.
Linda superò il semaforo e accostò sulla destra per guardare meglio lo schermo del navigatore. Poteva farcela. Secondo le indicazioni, la clinica Saxton non doveva poi essere lontana. Aveva saputo che c'era un posto vacante da infermiera, aveva telefonato e concordato un colloquio per il giorno dopo. I requisiti li aveva, e forse anche di più. Poi, che nella vita invece di fare l'infermiera facesse la bibliotecaria, era tutto un altro paio di maniche. Si sentì come se il cuore le sprofondasse nelle budella, ma ora non aveva scelta. Doveva pensare ai nipoti e la biblioteca non la pagava abbastanza.
Mosse la mascella di lato come fanno i cavalli quando si rigirano in bocca la biada. Lei invece masticava amaro. Sarebbe finita la pacchia, non sarebbe più stato possibile immergersi per ore nella lettura di storie romantiche capaci di farla sognare. Deglutì e poggiò la testa sul volante per un lungo istante. Un senso di sconforto le inondò il petto rendendole difficoltosa anche la respirazione. Davvero la sua vita era diventata quel groviglio di ansia che le attanagliava le viscere di continuo? E davvero tutto dipendeva da quel maledetto colloquio? Ci sarebbe voluta miss Charity in quel momento, con la sua sicurezza, o qualche lezione aggiuntiva di quel dannato corso motivazionale in cui aveva investito centocinquanta dollari. Argomento: “come sopravvivere quando il destino è leggero e piacevole come un autoarticolato a diciotto ruote”. Il corso non diceva un bel niente a tal proposito. Si occupava solamente di arti di seduzione e di come “uscire dal guscio”. Così diceva Miss Charity, vestita in lurex rosa leopardato, più divinità del “chi osa vince” che semplice coach motivazionale. E poi faceva seguire il grido di guerra: «Ripetete con me, ragazze. Io sono una pantera e i maschi me li sbatto quando voglio". Sì, come no. Linda Tanner, insignificante bibliotecaria con diploma di infermiera, frana assoluta alla sola idea di uscire a cena con un uomo e, per di più, ora con due nipoti orfani. Era un caso disperato. Quel mantra avrebbe potuto ripeterlo anche all'infinito, ma non sarebbe riuscita a farlo funzionare veramente. Linda prese un bel respiro e si stampò un sorriso sul viso. Staccò la mano dal volante per frugare nella tasca del vestito a prendisole. Avvertì sotto la punta delle dita il rilievo metallico del distintivo delle Pantere di Miss Charity. Non aveva trovato ancora il coraggio di appuntarselo sul petto come le avevano raccomandato al corso. Forse lo avrebbe fatto uno di quei giorni ma, per il momento, si limitò a stringerlo come il più potente degli amuleti.
***
In quello stesso istante e sotto un sole ben più cocente, su una pista di decollo poco fuori Manaus, c’erano due uomini. Uno era un tipico cittadino dello Stato di Amazonas in Brasile e si rivolgeva al gigante in piedi accanto a lui che se ne stava assorto nella contemplazione critica del bimotore:
«Gringo, vedi di mandarmi una cartolina appena arrivi a New York.»
Dall’alto dei quasi due metri di statura, l’altro sorrise, increspò la pelle color miele e mise in mostra i denti bianchi ben allineati.
«Non vado a New York, Luiz, vado in una fottutissima cittadina del New Jersey,» Samaritan Araùjo scosse la testa.
«E non sono vicine?»
«Sì, ma non abbastanza,» bofonchiò senza più alzare lo sguardo. Il controllo del piccolo bimotore era terminato con esito positivo, purtroppo. Le scuse per ritardare erano esaurite. Samaritan decise di salire a bordo maledicendo la sorte.
La giornata era cominciata male fin dal mattino. Si era alzato con la consapevolezza che avrebbe visto il tramonto in una terra che non era la sua, negli States dello Zio Sam.
«Non ti eccita l'idea di far il pieno di donne bionde con il sedere bianco e magro?» Stavolta Luiz riuscì a strappargli un sorriso.
«Non penso mai alle donne, se non me ne trovo davanti una.» Ed era vero. Un formicolio gli risalì il ventre e il torace. Non c’era niente di più eccitante che andarsene per la propria strada dopo aver preso una donna. Nulla era più esaltante che ricominciare il cammino con i sensi ancora storditi e la sensazione di aver scaricato le energie in eccesso. Le donne erano importanti al momento, ma una relazione fissa sarebbe stata solo fonte di problemi. A trentotto anni suonati, non ne aveva mai sentito l’esigenza. Poi lo sguardo gli cadde sulla scritta Araujo Fly sulla pinna di coda del bimotore e il sorriso gli morì sulle labbra. Era ora di partire.
Agguantò la pompa idrica in pvc e orientò il getto alla sommità della testa. L’acqua inondò i capelli lunghi e le spalle nude fino a riunirsi in rigagnoli negli incavi tra un muscolo e l’altro, del busto e dei bicipiti, e poi raggiungere la cintura dei jeans e inzupparli. Meglio. I jeans bagnati gli avrebbero assicurato un po’ di fresco. Si sarebbe vestito, in aereo all’arrivo. Avrebbe evitato di spiegazzare il suo unico completo da città. Si spostò di un paio di metri per recuperare lo zaino in cordura naturale color verde militare e mise un piede sull’ala, ma si bloccò subito.
Per via dell'incazzatura e del caldo, stava dimenticando la bandoliera! Se gli capitava un imprevisto non poteva certo girare nudo nel pieno centro di una città americana, come poteva fare nel folto della foresta amazzonica. Corse nel piccolo prefabbricato che gli faceva da ufficio per prendere una specie di cinturone militare da mettere a tracolla. Conteneva il necessario per vestirsi ed era un piccolo fardello prezioso come l'oro. Adesso aveva con sé l'indispensabile per la sopravvivenza.
Mise in moto e partì. Il bimotore accennò a scodare poi sussultò e trovò la traiettoria finché non si librò nell’aria.
Avrebbe messo le cose in chiaro con i parenti. Il pensiero contrastò un po’ il cattivo umore. Quello che stava per intraprendere, sarebbe stato un viaggio a fini esclusivamente privati, per una volta. Il turboelica EMB sarebbe stato tutto e solo per lui e l'avrebbe portato alla volta di Sussex, New Jersey. Essere il proprietario di una piccola flottiglia di bimotori aveva anche dei vantaggi, come decidere di salire sopra un apparecchio e andare a trovare i parenti ricchi che abitavano a nord dell'Equatore.
Anche la laurea in ingegneria, pagata con i soldi del vecchio stronzo, era servita a qualcosa: quantomeno a occuparsi di persona della meccanica e delle riparazioni. Per l'istruzione ricevuta doveva ringraziare la madre, santa donna. Aveva tenuto da parte per lui il gruzzolo sborsato dal vecchio per mettere a tacere lo scandalo. Il solo pensare a Helmut Von Sachs come al proprio padre, anche se solo per via di un atto rapido inferto a sua madre con la forza, gli dava la nausea. Nei trentotto anni della sua esistenza non aveva trascorso giorno senza interrogarsi almeno una volta su quanti e quali geni del vecchio nazista riposavano silenti in lui .
Dei soldi della famiglia americana, poteva dire in tutta onestà che non gliene fregava un bel niente. Ne aveva più che abbastanza ormai grazie alla Araùjo Fly. Samaritan azionò il microfono ad alta impedenza della cuffia e parlò:
«Tieni tutto in caldo, Luiz. Tornerò tra un paio di settimane al massimo.» E il piccolo velivolo si stabilizzò a quota di crociera.


Capitolo 2

Eccomi.» Ventidue ore dopo, a Sussex, Valter Atkin entrò nello studio socchiudendo la porta, senza fare rumore.
Seduto dietro la scrivania, David Saxton serrò la mandibola per trattenere un gemito, ma se lo sarebbe lasciato sfuggire volentieri. Valter, in carne ossa, era lì, di nuovo, davanti a lui. Come non bastasse averlo sempre ben fisso nella mente. Signore onnipotente, quell’uomo era l'unica cosa a cui riusciva a pensare, giorno e notte... E non per motivi professionali. Valter xx avrebbe potuto essere chiunque, anche il ragazzo delle consegne. Il problema sarebbe stato esattamente lo stesso: spalle strette, alto e magro, un taglio di occhi quasi a mandorla e una pelle bianchissima. Un palmo premuto con intenzione su quella pelle, avrebbe lasciato il segno. Ogni bacio e affondo sul collo avrebbe fatto fiorire una rosa rossa di capillari infiammati. La sola idea di poter essere il protagonista e l’autore di quell’azzardo, fece accelerare il battito di David.
No. Valter non era il ragazzo delle consegne. Era invece il dottor Atkin eccellente giovane medico anestesista lanciato verso una quanto mai promettente carriera professionale. E David, nella sua posizione di Amministratore Delegato presso la clinica di famiglia, era costretto a incontrarlo tutti i giorni, più volte al giorno e con l’angoscia continua di perdere tempo prezioso.
Prima o poi Valter avrebbe preso il volo verso un ospedale rinomato della Grande Mela, o dovunque lo avesse portato la sua carriera brillante. Quella prospettiva faceva deprimere David come poche altre cose.
Avrebbe perso il suo treno. L’immagine di un convoglio in partenza gli balenò nella mente e lo fece sprofondare del tutto nel malumore.
«Entra, Valter, volevo parlarti un momento.»
Il suo tormento personale aveva ancora indosso ancora la divisa verde della sala operatoria e i capelli spettinati e ritti in testa. Adorabile.
Valter si avvicinò alla scrivania come un collega qualunque, ma David gli fece cenno con la mano per invitarlo a girare dal proprio lato.
«Vieni qui, per favore. Avevo intenzione di parlarti dalla paziente che ha avuto il rigetto della protesi mammaria. Ha sottoscritto “i consensi informati” necessari ma bisogna ricontrollarli con l’ufficio legale…» Quella faccenda sarebbe stata una bella grana. David sperò con tutte le forze che Valter avesse rispettato il protocollo.
Se aveva commesso la più piccola dimenticanza, gli avvocati avrebbero sollevato il caso e la posizione di Valter si sarebbe fatta difficile.
L'anestesista fece il giro completo della scrivania e gli si andò a posizionare accanto. Chinato in quel modo verso i documenti sulla scrivania, David intravide una porzione di collo che si affacciava dalla casacca verde. Il petto doveva essere completamente glabro.
O Dio, gli stava salendo la pressione alle stelle.
Valter passò una mano tra i capelli come a volerli domare, sortendo l'effetto contrario. Erano ancora più ritti. Si chinò ancora ancora un po’ verso David, fino a quando i loro visi furono così vicini, che sarebbe bastato appena sporgersi impercettibilmente per potersi toccare. Anche solo con le labbra.
Valter sferrò il colpo di grazia posandogli una mano sulla spalla.
Game over. Andato. Cervello in pappa. Quella mano bruciava come un tizzone acceso attraverso la stoffa della giacca del completo elegante. E Valter doveva averne piena consapevolezza. Glielo poteva leggere negli occhi.
Lo sguardo gli si era fatto leggermente velato e gonfio di qualcosa che poteva essere solo una voglia tanto intensa da essere soffocante. Sembrava dirgli “dai, andiamo, dimmelo una buona volta”.
«Dimmi tutto, David.» David ingoiò un boccone di amara frustrazione e assaporò il gusto acre della sconfitta. Sarebbe stata una richiesta legittima, ma del tutto assurda. David avrebbe detto molto cose ma non avrebbe avuto il coraggio di dire “tutto”.
Non poteva. Un coming out era totalmente escluso. Si schiarì la voce:
«Volevo commentare i “consensi” con te. Li ho controllati molte volte e credo che siano a posto. Ma vorrei anche sentire dalla tua viva voce se hai seguito il protocollo alla lettera.»
Valter guardò il carteggio a poche spanne da lui e si soffermò sulla propria firma e su quella della paziente.
«Credo che i documenti siano a posto, eseguo sempre la stessa procedura. Mi sono accertato che non fosse sotto l’effetto di farmaci e ho fatto una bella chiacchierata con la signora per assicurarmi che avesse compreso bene la natura dell'operazione e i possibili effetti collaterali. »
David ne era sicuro. Valter era scrupoloso quasi quanto delicato.
«Bene, allora sono certo che non avremo nessun tipo di problema,» rispose asciutto.
No, nessuna grana legale, solo il solito subbuglio ormonale. L'interfono spezzò il momento d’intimità.
«Dottor Saxton, suo padre vuole sapere se rientrerà in villa per il pranzo.»
Il pranzo. Se ne era completamente dimenticato. Alzò lo sguardo su Valter.
L’anestesista più irresistibile di sempre aveva infilato le mani nelle tasche della divisa e lo guardava con la bocca socchiusa.
David abbassò le palpebre per ritrovare un minimo di concentrazione con la segretaria.
«Ci saranno anche i miei fratelli?» Sarebbe stato un buon momento per integrare il pasto con una riunione consuntiva sul budget. Thiago si sarebbe distratto come sempre, ma bisognava pur parlare ogni tanto di numeri e proiezioni.
«Sì, dottore.»
Un pensiero improvviso prese forma nella mente, una specie di speranza.
«Grazie, ci penso io a dargli una risposta.» David chiuse la comunicazione e sollevò il viso. Quanto gli sarebbe piaciuta una compagnia diversa per il pranzo. Mollare i fratelli e il padre e prendersi tre ore piene di libertà con chi voleva lui. Sarebbe stato come realizzare un sogno impossibile. Poteva farlo, poteva... Invece, si obbligò a far uscire le parole di bocca: «Valter, devi scusarmi...»
Una scintilla di emozione si accese negli occhi scuri del bell'anestesista. Ma durò solo per pochi secondi.
«Sono vegano, lo so, è difficile invitarmi. Magari la prossima volta.»
No, non era affatto difficile. Nelle cucine di casa Saxton potevano sfornare qualsiasi piatto a qualsiasi ora. Gli sarebbe bastato chiedere.
«La prossima settimana lavoro ogni giorno di mattina,» le labbra di Valter si muovevano con un'armonia mai vista, un ondeggiare di carne contro carne da far perdere la testa. Era un suggerimento?
“Invitami”, dicevano i suoi occhi. David si alzò sovrastandolo. Non che Valter non fosse alto, ma lui lo era maggiormente e di corporatura molto più robusta. Se si fossero stretti in un abbraccio, il viso di Valter gli si sarebbe benissimo incastonato nello spazio tra il collo e il mento…
«Molto bene,» borbottò infuriato con se stesso. Si diresse alla porta e insieme lasciarono la stanza.
Valter attraversò l’anticamera della Direzione alla volta degli ascensori mentre David girò a sinistra verso l'ufficio immediatamente vicino.
Doveva smettere di farsi illusioni.
Bussò per pura formalità sotto la targa “Presidente Arthur Saxton” e aprì la porta.
L’ufficio era pieno di luce e affollato. David era arrivato per ultimo. Orlando era in piedi alle spalle della poltrona presidenziale e scuro in volto come sempre, Thiago se ne stava seduto sul divano con le gambe allargate e gli occhi puntati sul telefono concentrato a digitare un messaggio. In fondo, seduto alla scrivania c’era Arthur.
Il padre aveva le spalle incassate e il collo era quasi scomparso nella posa ingobbita. Stava concentrato davanti al PC con gli occhiali ben assestati sul naso e una ruga al centro tra le sopracciglia. Poi gli parlò con un cenno, senza neanche alzare lo sguardo.
«David, vieni qui a vedere. È appena arrivata una lettera del nostro avvocato. La paziente col rigetto…» Ma non fece in tempo a finire la frase.
Alcuni suoni concitati filtrarono nella stanza. Si voltarono tutti verso la porta.
Le voci provenivano dal corridoio, appartenevano a un uomo e una donna. Si riconosceva chiaramente il tono ansioso della segretaria di Arthur. L’altra era maschile e profonda. Si udirono delle grida.
Arthur scattò in piedi, Thiago lo imitò e David si , ma fu Orlando il primo ad aprire la porta. Tutto successe in un attimo.
Un uomo dall'aspetto selvaggio vestito come un vagabondo si precipitò dentro l'ufficio. Era corpulento, alto e massiccio, aveva una faccia dai tratti esotici e una massa di capelli sciolti sulle spalle. Sembrava appena uscito dalla foresta. E gli occhi.
Socchiusi dalla rabbia gettavano lampi verdi. Misericordia, dovevano chiamare la sicurezza. David allungò la mano sul telefono della scrivania.
Mentre sollevava il ricevitore, nella stanza era calato il silenzio.
Tutti erano ammutoliti mentre lo sconosciuto passava lo sguardo su David, Orlando, Thiago, Arthur. Poi alla fine si soffermò su Arthur.
Il vecchio Saxton avanzò di un passo. Era stranamente pallido.
«Chi è costui?» Si rivolse a David, quasi che “il pirata ” non fosse presente ma l’uomo si fece avanti.
Lo sconosciuto si piazzò a gambe divaricate al centro della stanza. Incrociò lentamente le braccia nerborute sul petto e allargò le labbra in un sorriso smentito dallo sguardo gelido. Quando parlò la voce era bassa e vibrante ma senza incertezze.
«Rivendicare la mia appartenenza alla famiglia, Arthur Saxton.»

***
Samaritan vide scattare in piedi il fotomodello giovane e quell'altro che pareva il diavolo in persona. Sembravano intenzionati a menare le mani. Il tipo con il pizzetto e l’aspetto freddo invece si era irrigidito ed era immobile come una statua. Ma il vero spettacolo era il vecchio. Samaritan lo aveva visto sbiancare letteralmente e vacillare in cerca di un appoggio. Arthur Saxton aveva dovuto tenersi alla spalliera della poltrona presidenziale per non cadere.
Il patriarca sembrava del tutto impreparato. Evidentemente non aveva preso sul serio la lettera inviata da Samaritan diversi mesi prima.
«Io…» balbettò il vecchio.
C'era da aspettarselo. Non sapeva dove andare a nascondersi. Sporca razza i Saxton, bastardi dentro.
Samaritan allargò le narici e scosse la testa. Il disprezzo coltivato per anni verso i parenti americani gli provocava la nausea. Ed era sempre più forte man mano respirava l'aria della fottuta stanza:
«Sarà un bel mucchio di soldi. Non posso darti torto.» Doveva parlare di denaro o meglio della perdita di grosse quantità di denaro tutte insieme. Era l’unica lingua intesa da gente simile. «Voglio esattamente tutta la mia parte della baracca. Per la legge sono tuo figlio, d'altronde.»
Le parole calarono come macigni. Il quel momento furono i ragazzi a impallidire.
Quello dall’aria luciferina si era rabbuiato, il biondino si frugava tra i capelli come cercando di ficcarsi in testa la nuova realtà. Quello impettito aveva mosso il muscolo del sopracciglio. Finalmente! Grande sforzo.
Il padre adottivo si limitò a strofinarsi le mani a tenere gli occhi bassi. Sembrava un becchino.
«Non avrei mai dovuto prestarmi al ricatto di mio nonno!» sibilò il vecchio.
L’argomento soldi aveva fatto il miracolo. Ad Arthur Saxton stava tornando la memoria. Fatti successi tanti anni prima riprendevano lentamente forma nella mente del vecchio. Bene.
«In condizioni normali me ne fotterei dei vostri sporchi quattrini – Samaritan alzò le spalle - ma lo devo alla mia gente. Altrimenti non sarei venuto fino a qui. Devo dimostrare alla mia famiglia, quella vera, che l'onta è stata riscattata. Poi me ne tornerò in Brasile e vi giuro che non rivedrete mai più la mia faccia. Sono qui per esigere la quota societaria della clinica che mi spetta.»
Arthur si lasciò cadere sulla poltrona di presidente.
Samaritan scoprì i denti in un sorriso che non coinvolgeva gli occhi.
«Prenditela pure con quel gran bastardo di tuo nonno, Arthur.»
Preceduto da un fremito, quello che sembrava il diavolo incarnato si fece sentire:
«Comodo, venire a pretendere il frutto della fatica degli altri.» Il tono era tremante di collera.
«Si può sapere chi è lei,» la mummia si era decisa a parlare.
Samaritan spostò il peso impaziente:
«Non sono uno spiantato. Non che la cosa vi riguardi, peraltro. Ma ho del mio. Ho potuto studiare. Niente meno che ingegneria grazie alla mancia data dal vecchio pazzo a mia madre dopo averla stuprata. Ho una piccola compagnia di aerotaxi.»
«Sull’orlo del fallimento?» il biondino aveva sogghignato e faceva ondeggiare lo sguardo “baywatch” dal basso in alto lungo la gigantesca statura di Samaritan.
Lui ricambiò il sorriso:
«Una piccola flottiglia di bimotori per i trasporti nella foresta amazzonica. Impossibile fallire. Ci vuole gente che sappia di aerei e di aree adatte per l’atterraggio. Non ho concorrenza.»
Tutti lo fissarono come se fosse solo un'allucinazione.
«E allora, cos’è questa storia dell’onore? Cosa c’entro io? Cosa c’entrano i miei figli?» sibilò Arthur tra i denti.
«Voi niente, personalmente. Ma gli esperimenti di tuo nonno tormentano ancora di incubi la mia gente. I soldi li darò a loro. Te l'ho detto, la mia fetta della torta o niente più segreto sull’avo nazista. E poi, se ho fatto bene i conti, tra voi c’è un mostro da baraccone. Avete intenzione di far sapere anche questo? Con il mestiere che fate? Non credo.»
Un lampo di sorpresa passò negli occhi del biondino.
Tutta quella storia doveva averlo sconvolto. Poveri ragazzi viziati! Samaritan guardò l’orologio: non avrebbe ottenuto niente in pochi minuti. Doveva lasciar a quei signorini inamidati il tempo di adattarsi alla nuova situazione e riflettere. E oltretutto, aveva un gran fame.
«Per domani mattina voglio trovare un prospetto aggiornato delle entrate e uscite, previsioni di bilancio, preventivi e consuntivi della clinica. Datevi da fare.»
Nessuno si mosse. Le parole parvero cadere nel vuoto tra lo smarrimento generale. Samaritan alzò le spalle. Aveva fatto la sua parte, ora doveva solo aspettare.
«Mentre voi ci pensate, vado a farmi una doccia in albergo.»
Arthur Saxton allungò un braccio verso di lui.
«No, non vai da nessuna parte. Sarai ospite nella dependance della villa di famiglia.» Il vecchio lo guardò con determinazione.
Samaritan sostenenne lo sguardo poi annuì con un colpo secco del mento. Athur voleva controllarlo, era evidente. Voleva essere certo che non se ne andasse in giro a svelare i loro segreti ai quattro venti. Peggio per lui. Si sarebbe preso la briga di dargli vitto e alloggio.

***
Dopo il viaggio estenuante con i ragazzi, Linda aveva preso una stanza al motel e concordato con la donna delle pulizie che si occupasse dei bambini per qualche ora. Adesso, a ventidue ore dall’arrivo, annusava l’aria rarefatta della sala riunioni direzionale della clinica Saxton.
Era stata indirizzata con gentilezza ed efficienza all'ultimo piano. Guardò oltre la vetrata panoramica dell’ascensore. La zona della città era residenziale ed esclusiva, niente da dire, e anche all’interno l'ambiente era così lussuoso da mettere ansia. L'impiegata che le aveva dato indicazioni portava capelli sensazionali, di un grigio alluminio perfettamente acconciati e un tailleur impeccabile.
Il colloquio si sarebbe svolto direttamente con il dottor Arthur Saxton, titolare della clinica. Che ansia! Storse la bocca in una smorfia: sarebbe stato mille volte meglio incontrare una donna dal sorriso cordiale tipo miss capelli anodizzati, piuttosto che il capo dei capi. Linda deglutì tutta la sua preoccupazione, sentiva un rimescolio all'altezza del petto, come se le potesse prendere un colpo da un momento all'altro. Continuava a pensare che da quel faccia a faccia dipendeva il proprio futuro e quello dei nipotini, almeno nell'immediato. E quel rimuginare non le era di nessun aiuto. Non doveva pensarci. Era talmente assorta nello sforzo di svuotare la mente che, uscendo dall'ascensore, per poco non finì dritta addosso a un torace. Era chiaramente maschile e largo come il frigorifero quattro stagioni acquistato da Cindy poco prima di morire.
«Mi scusi tanto» bisbigliò. Prima ancora di sollevare lo sguardo era certa che si trattasse di un uomo da mozzare il fiato. Lo rivelavano una serie di particolari, ognuno dei quali fece crescere in lei il solito senso di disagio. Stivali neri consumati, pantaloni mimetici, maglietta nera che non aveva mai visto in vita sua un ferro da stiro, collo ben piantato su un massiccio paio di spalle e… il viso più selvaggio di sempre. Dall’alto di venti centimetri buoni sopra la sua testa, la stavano fissando due mezzelune ridenti e verdissime.
«Sono io a scusarmi.» Occhi magnetici aveva anche una voce profonda da far vibrare le orecchie, indurire i capezzoli e procedere giù giù fino alle parti delicate. Linda rimase con il viso alzato a guardare a bocca aperta lo sconosciuto alto quasi due metri su cui era finita. Quei capelli sciolti sulle spalle la fecero deglutire senza che lei riuscisse a impedirselo in alcun modo. Era un selvaggio appena uscito dalla foresta appositamente per scombinarla nel momento meno opportuno? Quando si rese conto che in effetti lo stava proprio fissando, Linda abbassò subito lo sguardo e lo diresse verso l'anticamera.
«Mi scusi. - Balbettò di nuovo. - Io proprio non l'ho vista, ero sovrappensiero e non guardavo dove mettevo i piedi.»
«Mi chiamo Samaritan Arujo.»
Si stava presentando? Un palmo gigante le entrò nel campo visivo e lei non poté fare a meno di stendere la propria mano. Samaritan Arujo gliela strinse in una morsa salda e forte, di quelle che le avrebbero impedito di vacillare. Mio Dio, che accidenti andava a pensare!
«Linda Tanner,» riuscì a biascicare a stento.
Quegli occhi neri promettevano Dio solo sapeva cosa e quell'inglese misto all'accento portoghese… Una musica per le orecchie… Un maschio alto, massiccio, tutto muscoli e forza, con una voce così... La totale mancanza di sicurezza di Linda in fatto di uomini divenne paralisi e gelatina di fronte a quell'uomo. Così, sbrigate le presentazioni, Samaritan Arujo, ritrasse la mano e proseguì verso gli ascensori.
Il panico di Linda si affievolì e si mescolò allo sconforto di vederlo andare via. Lo spiò ancora con la coda dell’occhio cercò in tasca la superficie familiare del distintivo delle Pantere per farsi coraggio. Quando le porte di un secondo ascensore si aprirono e ricomparve la donna con i capelli grigio ferro.
«Sì sono sempre io, - le sorrise. - E questo è il mio ufficio,» le disse indicando una scrivania dall’altro lato dell' atrio circondato di porte.
Venne fatta accomodare nella sala riunioni. Le pratiche per l'assunzione dovevano essere complesse.
Linda si accorse di tenere ancora le braccia contratte e le mani strette saldamente una all'altra. Nonostante l'aria condizionata, sentiva di avere i palmi sudati. Se li passò sulla fantasia minuscola della gonna. La stessa segretaria di prima, quella con i capelli anodizzati, ricomparve.
«Allora, può prendere servizio domani stesso, signorina Tanner.» La frase fu accompagnata da un gran sorriso.
«Bene,» deglutì Linda. Dentro di sé avrebbe voluto saltare dalla gioia e fare una danza propiziatoria, forse le cose cominciavano a girare per il verso giusto!
«Per il momento il dottor Saxton non può riceverla, le faremo firmare il contratto nei prossimi giorni.»
Linda rilassò le spalle sul divanetto. Era fatta, almeno aveva un lavoro. Forse le cose non si sarebbero messe poi così male. Superato il primo sollievo tuttavia si disse che quell’Arthur Saxton doveva essere un tipo spocchioso. Teneva davvero poco in considerazione i nuovi assunti per disdire un appuntamento così all’ultimo momento.

***
Arthur, in realtà si sentiva del tutto incolpevole, almeno nei confronti della nuova infermiera. In quel momento sprofondò nella poltrona, i palmi saldamente stretti sui braccioli, la fronte corrucciata. Una sciagura si era abbattuta sulla sua famiglia e avrebbe prodotto un danno incalcolabile. Ciò che era successo poco prima in quello stesso ufficio, non era altro che il preludio di una serie di circostanza rovinose. E potevano precipitare da un momento all’altro! Si passò il palmo davanti alla faccia soffermandosi a coprire la bocca.
Orlando batté un pugno sulla scrivania facendo tremare tutto ciò che c'era sopra: «Ma davvero quell'uomo è tuo figlio?»
Arthur ingobbì le spalle. «Purtroppo è così. L’unica cosa che possiamo fare ora è pensare uno stratagemma per liberarcene.»
«Vuoi dire che tutto quello che ha raccontato…»
«Maledizione, sì, è tutto vero. Ma ora dobbiamo trovare un modo per metterlo a tacere. Non possiamo correre il rischio che questo bastardo vada spifferando in giro!» L’idea che uno scandalo potesse travolgere l'impero e la rispettabilità della famiglia lo travolse lasciandolo quasi senza respiro.
La decisione era stata già presa, non c’era margine per le trattative. Per quanto la cosa gli bruciasse come fuoco vivo, non si poteva agire diversamente.
Arthur parlò a bassa voce, con piglio cupo e determinato. «Lo accoglieremo in famiglia, farà parte dei Saxton, sarà uno di noi. Per il momento.»
Alzò la testa per vedere la reazione dei figli. Orlando era furioso, David sembrava una statua di sale e Thiago… Beh Thiago giocherellava col portachiavi lanciandolo da una mano all’altra. Arthur schioccò la lingua e chiuse gli occhi mentre esponeva il piano.
«Lo faremo entrare tra noi come socio della clinica, lo renderemo inoffensivo e poi ce ne liberemo con un pretesto.» Il solo pensiero gli faceva venire la nausea. Maledetto il pazzo nazista che li aveva generati tutti!
Orlando rovesciò una pila di fogli:
«Siete fuori di testa!»
David lo ignorò:
«Potremmo spacciarlo per un cugino lontano. In fondo si chiama Saxton anche lui, anche se usa il cognome della madre: Arujo. Hai sentito che ha detto? Del nostro si vergogna.»
Thiago interruppe il gioco col portachiavi: «Non credo sia una buona idea, la stampa lo sommergerebbe di domande. Un tipo così rozzo non mi sembra poi tanto in grado di gestire la situazione.»
Arthur sbuffò esasperato: «Se avessi una figlia, gliela farei sposare e tutto sarebbe risolto. Diventerebbe un Saxton a tutti gli effetti e ci caveremmo d'impiccio.»
«Ma una sorella non ce l’abbiamo e ringrazio Dio, perché io non gliela farei sposare di certo.» David e Thiago annuirono alla volta di Orlando. Almeno su quello erano tutti e tre d'accordo.
«Bisogna assolutamente trovare una soluzione per sbarazzarci di quest’uomo.»
Nella stanza calò il silenzio fino a quando Thiago non fece la domanda che ribolliva nella mente di tutti e tre i fratelli.
«Papà, ma davvero Samaritan è tuo figlio?»
Arthur sospirò guardando lontano, ricordando un passato ormai molto lontano nel tempo.
«Sapete tutti la storia dell’anatema dello sciamano lanciato contro mio nonno, il medico nazista. Ebbene nonostante avesse sessantanove anni, il nonno aveva deciso di ingravidare quante più giovani indigene potesse, nella speranza di tramandare loro la maledizione.»
«È disgustoso.»
«Si, lo è, ed è anche la verità. Se le faceva portare nella sua fazenda e le violentava. Tra queste fu presa anche la giovanissima moglie dello sciamano. Da quello stupro trentotto anni fa nacque Samaritan. Ma non fu un atto senza conseguenze. I narcos locali andarono da mio nonno facendogli capire chiaro e tondo che doveva riparare a quell'onta altrimenti la famiglia sarebbe stata annientata e la tenuta data alle fiamme. E poi lo avrebbero consegnato agli israeliani. Per questo motivo il nonno mi costrinse a riconoscere Samaritan come mio figlio.»
«Avevi l’età per farlo?»
«Ero giovane ma non era poi così assurdo. Erano altri tempi. Helmut, mio nonno, sperava che la storia sarebbe stata dimenticata con gli anni. E in effetti così è stato. Non ricordavo neanche più quelle carte.»
Thiago continuava a giocherellare col portachiavi.
«Certo che la nostra famiglia ne ha di scheletrucci nell'armadio. Non abbiamo, che so, una parente a cui far sposare questo Samaritan? Insomma, non c'è neanche una Saxton disponibile?» Si appoggiò alla scrivania con un gomito e si lasciò scappare un sorrisino. «Perché io una mezza idea ce l’avrei…»
Il suo sguardo filò dritto verso quello di Orlando che sollevò un sopracciglio interdetto.
Entrambi guardarono allora in direzione di David. David abbassò d’istinto gli occhi per poi rialzarli repentinamente verso i fratelli, prima l'uno poi l'altro.
«No. So cosa state pensando: toglietevelo dalla testa.»
«Potrebbe essere il fidanzato di David!» Thiago diede voce ai pensieri di tutti con un candore che avrebbe fatto invidia a una dodicenne.
Arthur sollevò la testa di scatto prima ancora che terminasse la frase.
«Ma siete impazziti? Saremmo travolti da uno scandalo…»
Orlando fece due passi in avanti fino a ritrovarsi proprio sotto suo padre:
«A quale scandalo ti riferisci, papà? A quello per il quale siamo una famiglia di bestie, nel vero senso della parola?» Arthur restò immobile. «Non dobbiamo dimenticarci di Michelle. O forse devo rinfrescarvi la memoria su ciò che sarebbe capace di fare alla famiglia l'ex fidanzata di David?»
Thiago storse la bocca.«Non mi fare ricordare quella stronza, ti prego.» Era difficile dimenticare che quell'arrampicatrice sociale di Michelle, dopo essere stata lasciata da David per ovvie ragioni, volesse sistemarsi con l'ultimo fratello rimasto libero, ovvero Thiago. …E che nel rimetterla al suo posto, Thiago aveva rivelato il suo vero volto.
«Sono già due persone che sanno del nostro segreto. Sapete che vuol dire? Che se eravamo in pericolo con Michelle, ora con l’aggiunta di Samaritan, siamo sull’orlo del baratro.»
Thiago intervenne calando la mannaia senza pietà:
«Puoi scegliere, David: o ci ripensi e sposi Michelle o ti fidanzi con Samaritan.»
David sembrava sul punto di esplodere:
«Siete impazziti davvero! Una terza alternativa ci sarebbe, sempre che papà sia disposto a dichiarare al mondo di avere un figlio illegittimo che ha sempre ignorato e fatto crescere impunemente nella foresta amazzonica! Mi sembrate tutti folli. State dicendo un’assurdità che non si può neanche sentire. Non mi fidanzerò con questo Samaritan, né sposerò Michelle. Punto.»
«Bisogna scegliere il male minore – borbottò Arthur come parlando con se stesso - un figlio illegittimo o un figlio omosessuale.»
Il silenzio scese nella stanza e il volto di David si fece di marmo.
«Non mi nasconderò per sempre, papà. La verità su di me verrà fuori e non passerà ancora molto tempo prima che accada.»
Orlando era già oltre quella sciagurata ipotesi. «E quando David troverà un compagno vero, come giustificheremo la presenza di Samaritan negli affari di famiglia?»
«Ce ne preoccuperemo a tempo debito. Per quel momento lo avremmo già convinto a ritornarsene in quel buco di foresta da dove è venuto.»
 
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mandar
view post Posted on 28/6/2015, 19:51




Le mie revisioni.
Ne evidenzio solo una in maiuscolo perché ho lavorato su word. scusa se non lo faccio su html ma mi sono accorta che così riesco meglio...

Prologo
15 giugno 2015

La parola sposato mi ha sempre messo i brividi. A volte ancora non riesco a credere di esserlo davvero. Mi sembra una specie di sogno dal quale mi sveglierò da un momento all'altro e, giuro, non vorrei mai che accadesse. La colpa, anzi il merito, è di mia moglie, Maya; quando la vedo comparire tutto ciò che la circonda sfuma come la nebbia. Maya mi risucchia ogni energia, mi lascia disarmato, mi mette a nudo. Faccenda strana per uno come me. Sono pericoloso, dicono, e nessuno si aspettava certo che perdessi la testa per una donna.
Nei giri che frequentavo (MI PARE Più SENSATO) non ci si sposa. Non ci sono neanche legami blandi, figuriamoci unioni durature. Quando, raramente, mi capitava di pensare al matrimonio, così in generale, mi venivano sempre in mente donne prese a decidere perfino il colore delle mutande dei mariti. E maschi… ridotti da far pena persino a me, che per natura ne provo raramente. Poi Maya ha rivoltato la mia vita come un guanto.
Ancora mi sorprendo quando entra nella mia stanza in clinica, o mi viene vicino e sento la lucidità venire meno. Mi chiedo se mi passerà mai l’istinto di prenderla sul momento, incurante del posto e dei presenti. Circondarla tra le braccia e affondare il naso nel suo collo, o accostarla al muro premendomi tutto contro di lei e aprirle la bocca con la lingua. Adoro farlo, come adoro quando è lei a dominarmi. Dio, devo smetterla di pensarci altrimenti la lipoaspirazione della paziente che ho sotto i ferri non andrà bene e le cosce non risulteranno perfettamente simmetriche.
«Aspirare.»
«Sì, dottore.» L'infermiera obbedisce al comando. Guardo l'orologio appeso alla parete della camera operatoria: sono in perfetto orario, è tutto nei tempi. L’ossessione del controllo ora si limita al lavoro. Per il resto, finalmente posso vivere rilassato.
L’angoscia per la maledizione che ha accompagnato la mia vita è ormai un ricordo. A volte riesco perfino a dimenticare che sono il settimo discendente di Helmut Von Sachs, il mostro.
Dovrei invece non scordarmelo mai per prevenire il peggio, e mentalmente anche ora mi ripeto la litania. Da Helmut in poi tutti i Saxton sono maledetti come lui, ma la condizione si manifesta solo in alcuni di noi e il “premio” al momento ce lo godiamo io e Thiago. Ecco, questo è il punto. Io e Thiago, meglio non scordarsene mai prima che qualcuno ci rimetta la pelle. Anche lui è settimo discendente ma di un uomo diverso. Condividiamo la stessa madre ma non la medesima linea di sangue paterna. E all’origine della sua condanna, in simmetria perfetta, c’è l’eterno nemico del mio antenato: uno sciamano dell'Amazzonia.
La maledizione di cui parlo è quella dell'animale totemico. Lo zoo di Sussex! Quest'analogia una volta mi faceva ridere e incazzare nello stesso tempo, ma non è sbagliato chiamare la nostra famiglia così perché io e mio fratello, alla fin fine, siamo mezzi uomini e mezze bestie. Per fortuna però ora anche Thiago è in gabbia e a serrare per bene il lucchetto è stata Portia Mantini, la sua salvezza.
Da quando Maya e Portia sono entrate in famiglia, le nostre vite si sono ribaltate.
Prima la rabbia mi faceva trasformare in una creatura mostruosa dalle fattezze di giaguaro, mentre Thiago andava quasi in overdose di cardio depressori per evitare di diventare un pitone in mezzo a una folla di persone. Quando ci ritrovavamo in quelle condizioni, mimetizzarsi in pieno New Jersey era davvero un'impresa. Mille volte siamo stati sul punto di essere scoperti e mille volte ce la siamo cavata, nessuno è ancora a conoscenza del nostro segreto. O quasi, ma non voglio pensarci in questo momento.

La colpa di tutto questo è del mio bisnonno, uno sporco medico nazista che coi suoi esperimenti in Amazzonia ha scatenato l'ira di un potente sciamano. Il vecchio era un sadico folle che faceva esperimenti sui bambini indios e lo sciamano non l'ha proprio mandata giù. Richiamato dal grido disperato della sua gente che non poteva più sopportare di veder scorrere il sangue di bambini innocenti, lo sciamano ha alzato le braccia al cielo scagliando il suo anatema. La maledizione è ricaduta sul settimo discendente maschio dei Von Sachs, il nostro originario cognome prima che lo cambiassimo in Saxton. Quel settimo discendente sono proprio io, mentre Thiago è il settimo discendente maschio dello sciamano. Eh sì, perché lo sciamano, pur essendo avanti con l'età, violentò per vendetta la moglie di Arthur, ingravidandola.
E questo è solo uno dei motivi per i quali io e mio fratello eravamo destinati a combatterci, oltre al fatto che giaguaro e serpente sono nemici giurati in natura.
Ma la vita ha preso una piega diversa, ora sono passati molti anni e le cose sono cambiate; riusciamo persino a lavorare fianco a fianco come chirurghi nella clinica di medicina estetica di famiglia. La convivenza tra me e Thiago non procede affatto male, se non fosse che nelle nostre discussioni io ho quasi sempre ragione e non ammetto repliche. Quanto a lui, si rifà di questa frustrazione stendendo con la sua bellezza tutto il genere femminile che passa dalla clinica.
Portia permettendo.
Il merito è ancora una volta tutto delle nostre donne, malgrado nostro padre tutto si sarebbe aspettato, tranne delle nuore di quel tipo.
Maya è figlia dell'autista e Portia poco più di una ragazza di strada e addirittura di una famiglia mezzo mafiosa. Più lontane di così dalle ambizioni del vecchio, non si poteva!
E invece, sono due donne meravigliose. Certo, con questa bella famiglia che si ritrovava alle spalle, mio padre non ha potuto che stare zitto quando Thiago ha deciso che avrebbe portato all'altare proprio Portia. Dovreste proprio vederla la mia futura cognata, perché è davvero impossibile descriverla solo a parole. Thiago fa una fatica dell'anima a tenerla a bada, specialmente nelle occasioni ufficiali. Ma lei è così, autentica e verace, anche un po' sopra le righe.
L'infermiera mi passa il filo per la sutura, ho quasi finito per oggi.
Terminato qui ho le prove per il matrimonio di Thiago. Incredibile a dirsi ma mi hanno coinvolto in questa storia. Mio fratello porterà all'altare Portia per farne una donna onesta. Mi viene dal ridere solo a pensarci. Portia tutto potrebbe essere definita tranne una donna onesta. Certo, difficilmente il loro matrimonio potrà essere fantastico quanto lo è stato quello mio e di Maya. Però sono sicuro che il gusto di mia moglie riuscirà a tenere a freno quel vulcano di Portia e che ne verrà fuori una gran bella cerimonia. No, dire bella è poco. Sono sicuro che questo giugno 2015 aprirà per la mia famiglia la più serena e grandiosa estate di sempre.
 
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mandar
view post Posted on 28/6/2015, 21:25




Idem coem sopra.
La doccia sexy in jenas a petto nudo mi ha fatto ridere. :D e ho cambaito non mi frega neinte con non mi frega un cazzo. Per coerenza con la situazione, vedi tu.
Ho sforbiciato e cambiato cosine qua e là. tutte cose di forma.
mi pare coerente. appena posso passo al due.,



Capitolo 1

Linda inchiodò al semaforo e avvertì alle spalle lo stridio di un’altra frenata. Guardò nello specchietto retrovisore.
Una Sable verde stinto aveva rischiato di fracassarsi i fanali sul paraurti dell’Eldorado, indistruttibile come solo una Cadillac dell’85 poteva essere. Pazzesco, ancora stentava a crederci. Non avrebbe potuto ereditare un’utilitaria dalla sua defunta sorella? Un’auto che potesse passare inosservata? Ma quando mai! Si ritrovava alle due del pomeriggio di un lunedì di giugno che sembrava una fornace, su una statale del New Jersey METTI IL NOME DELLA STATALE, in cerca di lavoro, a bordo di una Cadillac Eldorado. Cinque metri di macchina rosa shocking. E, come se non bastasse, corredata di nipoti pestiferi, due mocciosi che avrebbero messo alla prova la pazienza di chiunque.
Oltre il parabrezza scorse il viso di un uomo con i capelli bianchi. In realtà vedeva solo la fronte, era abbassata come quella di un animale inferocito e i commenti irripetibili poteva immaginarseli.
C’era mancato poco. Guardò il cielo turchese e sospirò una preghiera di ringraziamento. Un incidente sarebbe stato davvero un disastro. Le stelle evidentemente sconsigliavano la mobilità su gomma a ogni membro della famiglia Tanner. Solo a pensarci, gli occhi le si riempirono di lacrime e quella sensazione di essere lì lì per scoppiare si riaffacciò prepotente.
Il senso di sciagura non la voleva abbandonare da quando sua sorella era morta. Cindy si era messa con quel pazzo di Moody e con lui si era sfracellata sotto un tir. E perché? Un nuovo groppo di pianto fu lì lì per chiuderle la gola quando Theresa, dal sedile posteriore, cacciò un urlo di quelli memorabili.
Linda si voltò con gli occhi talmente sgranati da farle male. Anthony stringeva così forte l’orsacchiotto che se fosse stato un animale vero, lo avrebbe soffocato. E Theresa strillava ancora.
«Anthony deve fare pipì e io devo bere. Dobbiamo fermarci. E poi, voglio che guidi più piano, zia. Anthony ha sbattuto la faccia!» Un tono che avrebbe spazientito un santo.
Linda si voltò per un momento, appena il tempo di notare gli occhi cobalto della nipotina fremere dalla furia e il ditino del fratello affondare nella narice, come se non avesse una fine. Theresa era tremendamente arrabbiata e lui decisamente smarrito. Perfetto, tutto nella norma.
«Non fare la saputella, bambina, c'era il semaforo rosso e sai che quand'è di quel colore BISOGNA FRENARE.»
«Beh voglio che freni di meno, zia» replicò con voce di sfida.
Linda sospirò e riavviò il motore della macchina. Ci sarebbe voluta tutta la buona volontà dell'universo per insegnare a Theresa a tenere a freno la lingua. E, guarda guarda, lei quella poca pazienza toccatale in sorte l’aveva esaurita, non ne aveva più nemmeno un grammo.
Si sentiva sfinita, guidava da oltre due ore e il caldo la stava soffocando. Abbassare tutta la capote non era servito a niente. Il sole era a picco e non una nuvola all’orizzonte per tutto il tragitto da Manhattan alla contea di Sussex. I bambini avevano chiesto di fermarsi una quantità innumerevole di volte e quel viaggio stava diventando un pellegrinaggio.
Poi abbassò lo sguardo verso Anthony, IL VISINO BIANCO E PAFFUTO, e si intenerì.
Un nodo le strinse lo stomaco. Anthony non ne avrebbe più avute, non quelle più importanti dei veri genitori, almeno. Il padre si era dato alla fuga mentre Cindy era ancora in dolce attesa e questa, la madre dei due fratellini nonché sua sorella, ormai se ne era andata in quello stupido incidente. Stupido l'incidente, più stupida lei e ancor più idiota l’amante, quello scriteriato di Moody. Era sbagliato parlare in quel modo dei morti, ma come si poteva definire una che si andava ad ammazzare per colpa di un pompino col brivido mentre Moody era al volante? Una tragedia dentro la tragedia.
Linda superò il semaforo e accostò sulla destra per guardare meglio lo schermo del navigatore. Poteva farcela. Secondo le indicazioni, la clinica Saxton non doveva essere lontana. Aveva saputo che c'era un posto vacante da infermiera, aveva telefonato e concordato un colloquio per il giorno dopo. I requisiti li aveva, e forse anche di più. Poi, che nella vita invece di fare l'infermiera facesse la bibliotecaria, era tutto un altro paio di maniche. Si sentì UL CUORE SPROFONDARE nelle budella, ma ora non aveva scelta. Doveva pensare ai nipoti e la biblioteca non la pagava abbastanza.
Mosse la mascella di lato come fanno i cavalli quando si rigirano in bocca la biada. Lei invece masticava amaro. Sarebbe finita la pacchia, non sarebbe più stato possibile immergersi per ore nella lettura di storie romantiche capaci di farla sognare. Deglutì e poggiò la testa sul volante per un lungo istante. Un senso di sconforto le inondò il petto rendendole difficoltosa anche la respirazione. Davvero la sua vita era diventata quel groviglio di ansia che le attanagliava le viscere di continuo? E davvero tutto dipendeva da quel maledetto colloquio? Ci sarebbe voluta miss Charity in quel momento, con la sua sicurezza, o qualche lezione aggiuntiva di quel dannato corso motivazionale in cui aveva investito centocinquanta dollari. Argomento: “come sopravvivere quando il destino è leggero e piacevole come un autoarticolato a diciotto ruote”. Il corso non diceva un bel niente a tal proposito. Si occupava solamente di arti di seduzione e di come “uscire dal guscio”. Così diceva Miss Charity, vestita in lurex rosa leopardato, più divinità del “chi osa vince” che semplice coach motivazionale. E poi faceva seguire il grido di guerra: «Ripetete con me, ragazze. Io sono una pantera e i maschi me li sbatto quando voglio". Sì, come no. Linda Tanner, insignificante bibliotecaria con diploma di infermiera, frana assoluta alla sola idea di uscire a cena con un uomo e, per di più, ora con due nipoti orfani. Era un caso disperato. Quel mantra avrebbe potuto ripeterlo anche all'infinito, ma non sarebbe riuscita a farlo funzionare veramente. Linda prese un bel respiro e si stampò un sorriso sul viso. Staccò la mano dal volante per frugare nella tasca del vestito a prendisole. Avvertì sotto la punta delle dita il rilievo metallico del distintivo delle Pantere di Miss Charity. Non aveva trovato ancora il coraggio di appuntarselo sul petto come le avevano raccomandato al corso. Forse lo avrebbe fatto uno di quei giorni ma, per il momento, si limitò a stringerlo come il più potente degli amuleti.
***
In quello stesso istante e sotto un sole ben più cocente, su una pista di decollo poco fuori Manaus, c’erano due uomini. Uno era un tipico cittadino dello Stato di Amazonas in Brasile e si rivolgeva al gigante in piedi accanto a lui che se ne stava assorto nella contemplazione critica del bimotore:
«Gringo, vedi di mandarmi una cartolina appena arrivi a New York.»
Dall’alto dei quasi due metri di statura, l’altro sorrise, increspò la pelle color miele e mise in mostra i denti bianchi ben allineati.
«Non vado a New York, Luiz, vado in una fottutissima cittadina del New Jersey,» Samaritan Araùjo scosse la testa.
«E non sono vicine?»
«Sì, ma non abbastanza,» bofonchiò senza più alzare lo sguardo. Il controllo del piccolo bimotore era terminato con esito positivo, purtroppo. Le scuse per ritardare erano esaurite. Samaritan decise di salire a bordo maledicendo la sorte.
La giornata era cominciata male fin DA SUBITO. Si era alzato con la consapevolezza che avrebbe visto il tramonto in una terra che non era la sua, negli States dello Zio Sam.
«Non ti eccita l'idea di far il pieno di donne bionde con il sedere bianco e magro?» Stavolta Luiz riuscì a strappargli un sorriso.
«Non penso mai alle donne, se non me ne trovo davanti una.» Ed era vero. Un formicolio gli risalì il ventre e il torace. Non c’era niente di più eccitante che andarsene per la propria strada dopo aver preso una donna. Nulla era più esaltante che ricominciare il cammino con i sensi ancora storditi e la sensazione di aver scaricato le energie in eccesso. Le donne erano importanti al momento, ma una relazione fissa sarebbe stata solo fonte di problemi. A trentotto anni suonati, non ne aveva mai sentito l’esigenza. Poi lo sguardo gli cadde sulla scritta Araujo Fly sulla pinna di coda del bimotore e il sorriso gli morì sulle labbra. Era ora di partire.
Agguantò la pompa idrica in pvc e orientò il getto alla sommità della testa. L’acqua inondò i capelli lunghi e le spalle nude fino a riunirsi in rigagnoli negli incavi tra un muscolo e l’altro, del busto e dei bicipiti, e poi raggiungere la cintura dei jeans e inzupparli. Meglio. I jeans bagnati gli avrebbero assicurato un po’ di fresco. Si sarebbe CAMBIATO in aereo all’arrivo, COSì Avrebbe evitato di spiegazzare il suo unico completo da città. Si spostò di un paio di metri per recuperare lo zaino in cordura naturale color verde militare e mise un piede sull’ala, ma si bloccò subito.
Per via dell'incazzatura e del caldo, stava dimenticando la bandoliera! Se gli capitava un imprevisto non poteva certo girare nudo nel pieno centro di una città americana, come poteva fare nel folto della foresta amazzonica. Corse nel piccolo prefabbricato che gli faceva da ufficio per prendere QUELLA specie di cinturone militare da mettere a tracolla. Conteneva il necessario per vestirsi ed era un piccolo fardello prezioso come l'oro. Adesso aveva con sé l'indispensabile per la sopravvivenza.
Mise in moto e partì. Il bimotore accennò a scodare poi sussultò e trovò la traiettoria finché non si librò nell’aria.
Avrebbe messo le cose in chiaro con i parenti. Il pensiero contrastò un po’ il cattivo umore. Quello che stava per intraprendere, sarebbe stato un viaggio a fini esclusivamente privati, per una volta. Il turboelica EMB sarebbe stato tutto e solo per lui e l'avrebbe portato alla volta di Sussex, New Jersey. Essere il proprietario di una piccola flottiglia di bimotori aveva anche dei vantaggi, come decidere di salire sopra un apparecchio e andare a trovare i parenti ricchi che abitavano a nord dell'Equatore.
Anche la laurea in ingegneria, pagata con i soldi del vecchio stronzo, era servita a qualcosa: quantomeno a occuparsi di persona della meccanica e delle riparazioni. Per l'istruzione ricevuta doveva ringraziare la madre, santa donna. Aveva tenuto da parte per lui il gruzzolo sborsato dal vecchio per mettere a tacere lo scandalo. Il solo pensare a Helmut Von Sachs come al proprio padre, anche se solo per via di un atto rapido inferto a sua madre con la forza, gli dava la nausea. Nei trentotto anni della sua esistenza non aveva trascorso giorno senza interrogarsi almeno una volta su quanti e quali geni del vecchio nazista riposavano silenti in lui .
Dei soldi della famiglia americana, poteva dire in tutta onestà che non gliene fregava un CAZZO. Ne aveva più che abbastanza ormai grazie alla Araùjo Fly. Samaritan azionò il microfono ad alta impedenza della cuffia e parlò:
«Tieni tutto in caldo, Luiz. Tornerò tra un paio di settimane al massimo.» E il piccolo velivolo si stabilizzò a quota di crociera.
 
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mandar
view post Posted on 5/7/2015, 21:14




Capitolo 2

Qui qulche problemuccio,
perché Valter XX? pochi righi dall'inizio.
Minchia, Gaia, NO LE VIRGOLE TR A SOGGETTO E VERBO!!!!!! :D
Ovviamnete te le ho sistmeate.

Arthur scattò in piedi, Thiago lo imitò e David si , ma fu Orlando CHE MANCA QUI?

Mi suona strano come assumono Linda, senza che abbia parlato con qualcuno, metti che abbia fatto il colloquio con qualcuno , e che poi ha l'appuntamento con Saxton Vecchio, che salta. Così sembra che l'abbaino assunta mentre era in ascnesore.... :D


«Papà, ma davvero Samaritan è tuo figlio?» MA NON LO HA CHIESTO TRE RIGHE SOPRA, SE CIò CHE sAMARITAN HA DETTO FOSSE VERO????

Altro problema: perché è così importante falro fidanzare con un Saxton? perché questo gli chiuederebbe la bocca? Non è più facile dargli isoldi e fargli firmare un accordo dio riservatezza, invece di un matrimonio? in cosa è meglio? sciusate ma non capisco..

perchè i narcos intervengono? che ne cavano? non se ne fregano un tubo degli indios, va giustiifcata sta cosa...

è scritto molto bene ma bisogna riflettere su quei puntoi logici.

ora di le revisioni sul resto...

Capitolo 2

«Eccomi.» Ventidue ore dopo, a Sussex, Valter Atkin entrò nello studio socchiudendo la porta, senza fare rumore.
Seduto dietro la scrivania, David Saxton serrò la mandibola per trattenere un gemito, ma se lo sarebbe lasciato sfuggire volentieri. Valter, in carne ossa, era lì, di nuovo, davanti a lui. Come non bastasse averlo sempre ben fisso nella mente. Signore onnipotente, quell’uomo era l'unica cosa a cui riusciva a pensare, giorno e notte... E non per motivi professionali. Valter xx avrebbe potuto essere chiunque, anche il ragazzo delle consegne. Il problema sarebbe stato esattamente lo stesso: spalle strette, alto e magro, un taglio di occhi quasi a mandorla e una pelle bianchissima. Un palmo premuto con intenzione su quella pelle avrebbe lasciato il segno. Ogni bacio e affondo sul collo avrebbe fatto fiorire una rosa rossa di capillari infiammati. La sola idea di poter essere il protagonista e l’autore di quell’azzardo fece accelerare il battito di David.
No. Valter non era il ragazzo delle consegne. Era invece il dottor Atkin, eccellente giovane medico anestesista lanciato verso una quanto mai promettente carriera professionale. E David, nella sua posizione di Amministratore Delegato presso la clinica di famiglia, era costretto a incontrarlo tutti i giorni, più volte al giorno, e con l’angoscia continua di perdere tempo prezioso.
Prima o poi Valter avrebbe preso il volo verso un ospedale rinomato della Grande Mela, o dovunque lo avesse portato la sua carriera brillante. Quella prospettiva faceva deprimere David come poche altre cose.
Avrebbe perso il suo treno. L’immagine di un convoglio in partenza gli balenò nella mente e lo fece sprofondare del tutto nel malumore.
«Entra, Valter, volevo parlarti un momento.»
Il suo tormento personale aveva ancora indosso la divisa verde della sala operatoria e i capelli spettinati e ritti in testa. Adorabile.
Valter si avvicinò alla scrivania come un collega qualunque, ma David gli fece cenno con la mano per invitarlo a girare dal proprio lato.
«Vieni qui, per favore. Avevo intenzione di parlarti dalla paziente che ha avuto il rigetto della protesi mammaria. Ha sottoscritto “i consensi informati” necessari ma bisogna ricontrollarli con l’ufficio legale…» Quella faccenda sarebbe stata una bella grana. David sperò con tutte le forze che Valter avesse rispettato il protocollo.
Se aveva commesso la più piccola dimenticanza, gli avvocati avrebbero sollevato il caso e la posizione di Valter si sarebbe fatta difficile.
L'anestesista fece il giro completo della scrivania e gli si andò a posizionare accanto. Chinato in quel modo verso i documenti sulla scrivania, David intravide una porzione di collo che si affacciava dalla casacca verde. Il petto doveva essere completamente glabro.
O Dio, gli stava salendo la pressione alle stelle.
Valter si passò una mano tra i capelli come a volerli domare, sortendo l'effetto contrario. Erano ancora più ritti. Si chinò ancora ancora un po’ verso David, fino a quando i loro visi furono così vicini, che sarebbe bastato appena sporgersi impercettibilmente per potersi toccare. Anche solo con le labbra.
Valter sferrò il colpo di grazia posandogli una mano sulla spalla.
Game over. Andato. Cervello in pappa. Quella mano bruciava come un tizzone acceso attraverso la stoffa della giacca del completo elegante. E Valter doveva averne piena consapevolezza. Glielo poteva leggere negli occhi.
Lo sguardo gli si era fatto leggermente velato e gonfio di qualcosa che poteva essere solo una voglia tanto intensa da essere soffocante. Sembrava dirgli “dai, andiamo, dimmelo una buona volta”.
«Dimmi tutto, David.»
David ingoiò un boccone di amara frustrazione e assaporò il gusto acre della sconfitta. Sarebbe stata una richiesta legittima, ma del tutto assurda. David avrebbe detto molto cose ma non avrebbe avuto il coraggio di dire “tutto”.
Non poteva. Un coming out era totalmente escluso. Si schiarì la voce:
«Volevo commentare i “consensi” con te. Li ho controllati molte volte e credo che siano a posto. Ma vorrei anche sentire dalla tua viva voce se hai seguito il protocollo alla lettera.»
Valter guardò il carteggio a poche spanne da lui e si soffermò sulla propria firma e su quella della paziente.
«Credo che i documenti siano a posto, eseguo sempre la stessa procedura. Mi sono accertato che non fosse sotto l’effetto di farmaci e ho fatto una bella chiacchierata con la signora per assicurarmi che avesse compreso bene la natura dell'operazione e i possibili effetti collaterali. »
David ne era sicuro. Valter era scrupoloso quasi quanto delicato.
«Bene, allora sono certo che non avremo nessun tipo di problema,» rispose asciutto.
No, nessuna grana legale, solo il solito subbuglio ormonale. L'interfono spezzò il momento d’intimità.
«Dottor Saxton, suo padre vuole sapere se rientrerà in villa per il pranzo.»
Il pranzo. Se ne era completamente dimenticato. Alzò lo sguardo su Valter.
L’anestesista più irresistibile di sempre aveva infilato le mani nelle tasche della divisa e lo guardava con la bocca socchiusa.
David abbassò le palpebre per ritrovare un minimo di concentrazione con la segretaria.
«Ci saranno anche i miei fratelli?» Sarebbe stato un buon momento per integrare il pasto con una riunione consuntiva sul budget. Thiago si sarebbe distratto come sempre, ma bisognava pur parlare ogni tanto di numeri e proiezioni.
«Sì, dottore.»
Un pensiero improvviso prese forma nella mente, una specie di speranza.
«Grazie, ci penso io a dargli una risposta.» David chiuse la comunicazione e sollevò il viso. Quanto gli sarebbe piaciuta una compagnia diversa per il pranzo. Mollare i fratelli e il padre e prendersi tre ore piene di libertà con chi voleva lui. Sarebbe stato come realizzare un sogno impossibile. Poteva farlo, poteva... Invece, si obbligò a far uscire le parole di bocca: «Valter, devi scusarmi...»
Una scintilla di emozione si accese negli occhi scuri del bell'anestesista. Ma durò solo per pochi secondi.
«Sono vegano, lo so, è difficile invitarmi. Magari la prossima volta.»
No, non era affatto difficile. Nelle cucine di casa Saxton potevano sfornare qualsiasi piatto a qualsiasi ora. Gli sarebbe bastato chiedere.
«La prossima settimana lavoro ogni giorno di mattina,» le labbra di Valter si muovevano con un'armonia mai vista, un ondeggiare di carne contro carne da far perdere la testa. Era un suggerimento?
“Invitami”, dicevano i suoi occhi. David si alzò sovrastandolo. Non che Valter non fosse alto, ma lui lo era maggiormente e di corporatura molto più robusta. Se si fossero stretti in un abbraccio, il viso di Valter gli si sarebbe benissimo incastonato nello spazio tra il collo e il mento…
«Molto bene,» borbottò infuriato con se stesso. Si diresse alla porta e insieme lasciarono la stanza.
Valter attraversò l’anticamera della Direzione alla volta degli ascensori mentre David girò a sinistra verso l'ufficio immediatamente vicino.
Doveva smettere di farsi illusioni.
Bussò per pura formalità sotto la targa “Presidente Arthur Saxton” e aprì la porta.
L’ufficio era pieno di luce e affollato. David era arrivato per ultimo. Orlando era in piedi alle spalle della poltrona presidenziale e scuro in volto come sempre, Thiago se ne stava seduto sul divano con le gambe allargate e gli occhi puntati sul telefono, concentrato a digitare un messaggio. In fondo, seduto alla scrivania c’era Arthur.
Il padre aveva le spalle incassate e il collo era quasi scomparso nella posa ingobbita. Stava concentrato davanti al PC con gli occhiali ben assestati sul naso e una ruga al centro tra le sopracciglia. Poi gli parlò con un cenno, senza neanche alzare lo sguardo.
«David, vieni qui a vedere. È appena arrivata una lettera del nostro avvocato. La paziente col rigetto…» Ma non fece in tempo a finire la frase.
Alcuni suoni concitati filtrarono nella stanza. Si voltarono tutti verso la porta.
Le voci provenivano dal corridoio, appartenevano a un uomo e una donna. Si riconosceva chiaramente il tono ansioso della segretaria di Arthur. L’altra era maschile e profonda. Si udirono delle grida.
Arthur scattò in piedi, Thiago lo imitò e David si , ma fu Orlando il primo ad aprire la porta. Tutto successe in un attimo.
Un uomo dall'aspetto selvaggio vestito come un vagabondo si precipitò dentro l'ufficio. Era corpulento, alto e massiccio, aveva una faccia dai tratti esotici e una massa di capelli sciolti sulle spalle. Sembrava appena uscito dalla foresta. E gli occhi.
Socchiusi dalla rabbia gettavano lampi verdi. Misericordia, dovevano chiamare la sicurezza. David allungò la mano sul telefono della scrivania.
Mentre sollevava il ricevitore, nella stanza era calato il silenzio.
Tutti erano ammutoliti mentre lo sconosciuto passava lo sguardo su David, Orlando, Thiago, Arthur. Alla fine si soffermò su Arthur.
Il vecchio Saxton avanzò di un passo. Era stranamente pallido.
«Chi è costui?» Si rivolse a David, quasi che “il pirata ” non fosse presente ma l’uomo si fece avanti.
Lo sconosciuto si piazzò a gambe divaricate al centro della stanza. Incrociò lentamente le braccia nerborute sul petto e allargò le labbra in un sorriso smentito dallo sguardo gelido. Quando parlò la voce era bassa e vibrante ma senza incertezze.
«VENGO A rivendicare la mia appartenenza alla famiglia, Arthur Saxton.»

***
Samaritan vide scattare in piedi il fotomodello giovane e quell'altro che pareva il diavolo in persona. Sembravano intenzionati a menare le mani. Il tipo con il pizzetto e l’aspetto freddo invece si era irrigidito, immobile come una statua. Ma il vero spettacolo era il vecchio. Samaritan lo aveva visto sbiancare letteralmente e vacillare in cerca di un appoggio. Arthur Saxton aveva dovuto tenersi alla spalliera della poltrona presidenziale per non cadere.
Il patriarca sembrava del tutto impreparato. Evidentemente non aveva preso sul serio la lettera inviata da Samaritan diversi mesi prima.
«Io…» balbettò il vecchio.
C'era da aspettarselo. Non sapeva dove andare a nascondersi. Sporca razza i Saxton, bastardi dentro.
Samaritan allargò le narici e scosse la testa. Il disprezzo coltivato per anni verso i parenti americani gli provocava la nausea. Ed era sempre più forte man mano CHE respirava l'aria della fottuta stanza:
«Sarà un bel mucchio di soldi. Non posso darti torto.» Doveva parlare di denaro o meglio della perdita di grosse quantità di denaro tutte insieme. Era l’unica lingua intesa da gente simile. «Voglio esattamente tutta la mia parte della baracca. Per la legge sono tuo figlio, d'altronde.»
Le parole calarono come macigni. Il quel momento furono i ragazzi a impallidire.
Quello dall’aria luciferina si era rabbuiato, il biondino si frugava tra i capelli come cercando di ficcarsi in testa la nuova realtà. Quello impettito aveva mosso il muscolo del sopracciglio. Finalmente! Grande sforzo.
Il padre adottivo si limitò a strofinarsi le mani a tenere gli occhi bassi. Sembrava un becchino.
«Non avrei mai dovuto prestarmi al ricatto di mio nonno!» sibilò il vecchio.
L’argomento soldi aveva fatto il miracolo. Ad Arthur Saxton stava tornando la memoria. Fatti successi tanti anni prima riprendevano lentamente forma nella mente del vecchio. Bene.
«In condizioni normali me ne fotterei dei vostri sporchi quattrini – Samaritan alzò le spalle - ma lo devo alla mia gente. Altrimenti non sarei venuto fino a qui. Devo dimostrare alla mia famiglia, quella vera, che l'onta è stata riscattata. Poi me ne tornerò in Brasile e vi giuro che non rivedrete mai più la mia faccia. Sono qui per esigere la quota societaria della clinica che mi spetta.»
Arthur si lasciò cadere sulla poltrona di presidente.
Samaritan scoprì i denti in un sorriso che non coinvolgeva gli occhi.
«Prenditela pure con quel gran bastardo di tuo nonno, Arthur.»
Preceduto da un fremito, quello che sembrava il diavolo incarnato si fece sentire:
«Comodo, venire a pretendere il frutto della fatica degli altri.» Il tono era tremante di collera.
«Si può sapere chi è lei?» la mummia si era decisa a parlare.
Samaritan spostò il peso impaziente:
«Non sono uno spiantato. Non che la cosa vi riguardi, peraltro. Ma ho del mio. Ho potuto studiare. Niente meno che ingegneria grazie alla mancia data dal vecchio pazzo a mia madre dopo averla stuprata. Ho una piccola compagnia di aerotaxi.»
«Sull’orlo del fallimento?» il biondino aveva sogghignato e faceva ondeggiare lo sguardo “baywatch” dal basso in alto lungo la gigantesca statura di Samaritan.
Lui ricambiò il sorriso:
«Una piccola flottiglia di bimotori per i trasporti nella foresta amazzonica. Impossibile fallire. Ci vuole gente che sappia di aerei e di aree adatte per l’atterraggio. Non ho concorrenza.»
Tutti lo fissarono come se fosse solo un'allucinazione.
«E allora, cos’è questa storia dell’onore? Cosa c’entro io? Cosa c’entrano i miei figli?» sibilò Arthur tra i denti.
«Voi niente, personalmente. Ma gli esperimenti di tuo nonno tormentano ancora di incubi la mia gente. I soldi li darò a loro. Te l'ho detto, la mia fetta della torta o niente più segreto sull’avo nazista. E poi, se ho fatto bene i conti, tra voi c’è un mostro da baraccone. Avete intenzione di far sapere anche questo? Con il mestiere che fate? Non credo.»
Un lampo di sorpresa passò negli occhi del biondino.
Tutta quella storia doveva averlo sconvolto. Poveri ragazzi viziati! Samaritan guardò l’orologio: non avrebbe ottenuto niente in pochi minuti. Doveva lasciar a quei signorini inamidati il tempo di adattarsi alla nuova situazione e riflettere. E oltretutto, aveva un gran fame.
«Per domani mattina voglio trovare un prospetto aggiornato delle entrate e uscite, previsioni di bilancio, preventivi e consuntivi della clinica. Datevi da fare.»
Nessuno si mosse. Le parole parvero cadere nel vuoto tra lo smarrimento generale. Samaritan alzò le spalle. Aveva fatto la sua parte, ora doveva solo aspettare.
«Mentre voi ci pensate, vado a farmi una doccia in albergo.»
Arthur Saxton allungò un braccio verso di lui.
«No, non vai da nessuna parte. Sarai ospite nella dependance della villa di famiglia.» Il vecchio lo guardò con determinazione.
Samaritan sostenne lo sguardo poi annuì con un colpo secco del mento. Athur voleva controllarlo, era evidente. Voleva essere certo che non se ne andasse in giro a svelare i loro segreti ai quattro venti. Peggio per lui. Si sarebbe preso la briga di dargli vitto e alloggio.

***
Dopo il viaggio estenuante con i ragazzi, Linda aveva preso una stanza al motel e concordato con la donna delle pulizie che si occupasse dei bambini per qualche ora. Adesso, a ventidue ore dall’arrivo, annusava l’aria rarefatta della sala riunioni direzionale della clinica Saxton.
Era stata indirizzata con gentilezza ed efficienza all'ultimo piano. Guardò oltre la vetrata panoramica dell’ascensore. La zona della città era residenziale ed esclusiva, niente da dire, e anche all’interno l'ambiente era così lussuoso da mettere ansia. L'impiegata che le aveva dato indicazioni portava capelli sensazionali, di un grigio alluminio perfettamente acconciati e un tailleur impeccabile.
Il colloquio si sarebbe svolto direttamente con il dottor Arthur Saxton, titolare della clinica. Che ansia! Storse la bocca in una smorfia: sarebbe stato mille volte meglio incontrare una donna dal sorriso cordiale tipo miss capelli anodizzati, piuttosto che il capo dei capi. Linda deglutì tutta la sua preoccupazione, sentiva un rimescolio all'altezza del petto, come se le potesse prendere un colpo da un momento all'altro. Continuava a pensare che da quel faccia a faccia dipendeva il proprio futuro e quello dei nipotini, almeno nell'immediato. E quel rimuginare non le era di nessun aiuto. Non doveva pensarci. Era talmente assorta nello sforzo di svuotare la mente che, uscendo dall'ascensore, per poco non finì dritta addosso a un torace. Era chiaramente maschile e largo come il frigorifero quattro stagioni acquistato da Cindy poco prima di morire.
«Mi scusi tanto» bisbigliò. Prima ancora di sollevare lo sguardo era certa che si trattasse di un uomo da mozzare il fiato. Lo rivelavano una serie di particolari, ognuno dei quali fece crescere in lei il solito senso di disagio. Stivali neri consumati, pantaloni mimetici, maglietta nera che non aveva mai visto in vita sua un ferro da stiro, collo ben piantato su un massiccio paio di spalle e… il viso più selvaggio di sempre. Dall’alto di venti centimetri buoni sopra la sua testa, la stavano fissando due mezzelune ridenti e verdissime.
«Sono io a scusarmi.» Occhi magnetici aveva anche una voce profonda da far vibrare le orecchie, indurire i capezzoli e procedere giù giù fino alle parti delicate. Linda rimase con il viso alzato a guardare a bocca aperta lo sconosciuto alto quasi due metri su cui era finita. Quei capelli sciolti sulle spalle la fecero deglutire senza che lei riuscisse a impedirselo in alcun modo. Era un selvaggio appena uscito dalla foresta appositamente per scombinarla nel momento meno opportuno? Quando si rese conto che in effetti lo stava proprio fissando, Linda abbassò subito lo sguardo e lo diresse verso l'anticamera.
«Mi scusi. - Balbettò di nuovo. - Io proprio non l'ho vista, ero sovrappensiero e non guardavo dove mettevo i piedi.»
«Mi chiamo Samaritan Arujo.»
Si stava presentando? Un palmo gigante le entrò nel campo visivo e lei non poté fare a meno di stendere la propria mano. Samaritan Arujo gliela strinse in una morsa salda e forte, di quelle che le avrebbero impedito di vacillare. Mio Dio, che accidenti andava a pensare!
«Linda Tanner,» riuscì a biascicare a stento.
Quegli occhi neri promettevano Dio solo sapeva cosa e quell'inglese misto all'accento portoghese… Una musica per le orecchie… Un maschio alto, massiccio, tutto muscoli e forza, con una voce così... La totale mancanza di sicurezza di Linda in fatto di uomini divenne paralisi e gelatina di fronte a quell'uomo. Così, sbrigate le presentazioni, Samaritan Arujo ritrasse la mano e proseguì verso gli ascensori.
Il panico di Linda si affievolì e si mescolò allo sconforto di vederlo andare via. Lo spiò ancora con la coda dell’occhio cercò in tasca la superficie familiare del distintivo delle Pantere per farsi coraggio. Quando le porte di un secondo ascensore si aprirono e ricomparve la donna con i capelli grigio ferro.
«Sì sono sempre io, - le sorrise. - E questo è il mio ufficio,» le disse indicando una scrivania dall’altro lato dell'atrio circondato di porte.
Venne fatta accomodare nella sala riunioni. Le pratiche per l'assunzione dovevano essere complesse.
Linda si accorse di tenere ancora le braccia contratte e le mani strette saldamente una all'altra. Nonostante l'aria condizionata, sentiva di avere i palmi sudati. Se li passò sulla fantasia minuscola della gonna. La stessa segretaria di prima, quella con i capelli anodizzati, ricomparve.
«Allora, può prendere servizio domani stesso, signorina Tanner.» La frase fu accompagnata da un gran sorriso.
«Bene,» deglutì Linda. Dentro di sé avrebbe voluto saltare dalla gioia e fare una danza propiziatoria, forse le cose cominciavano a girare per il verso giusto!
«Per il momento il dottor Saxton non può riceverla, le faremo firmare il contratto nei prossimi giorni.»
Linda rilassò le spalle sul divanetto. Era fatta, almeno aveva un lavoro. Forse le cose non si sarebbero messe poi così male. Superato il primo sollievo tuttavia si disse che quell’Arthur Saxton doveva essere un tipo spocchioso. Teneva davvero poco in considerazione i nuovi assunti per disdire un appuntamento così all’ultimo momento.

***
Arthur, in realtà si sentiva del tutto incolpevole, almeno nei confronti della nuova infermiera. In quel momento sprofondò nella poltrona, i palmi saldamente stretti sui braccioli, la fronte corrucciata. Una sciagura si era abbattuta sulla sua famiglia e avrebbe prodotto un danno incalcolabile. Ciò che era successo poco prima in quello stesso ufficio non era altro che il preludio a una serie di circostanza rovinose. E potevano precipitare da un momento all’altro! Si passò il palmo davanti alla faccia soffermandosi a coprire la bocca.
Orlando batté un pugno sulla scrivania facendo tremare tutto ciò che c'era sopra: «Ma davvero quell'uomo è tuo figlio?»
Arthur ingobbì le spalle. «Purtroppo è così. L’unica cosa che possiamo fare ora è pensare uno stratagemma per liberarcene.»
«Vuoi dire che tutto quello che ha raccontato…»
«Maledizione, sì, è tutto vero. Ma ora dobbiamo trovare un modo per metterlo a tacere. Non possiamo correre il rischio che questo bastardo vada spifferando in giro!» L’idea che uno scandalo potesse travolgere l'impero e la rispettabilità della famiglia lo travolse lasciandolo quasi senza respiro.
La decisione era stata già presa, non c’era margine per le trattative. Per quanto la cosa gli bruciasse, non si poteva agire diversamente.
Arthur parlò a bassa voce, con piglio cupo e determinato. «Lo accoglieremo in famiglia, farà parte dei Saxton, sarà uno di noi. Per il momento.»
Alzò la testa per vedere la reazione dei figli. Orlando era furioso, David sembrava una statua di sale e Thiago… Beh Thiago giocherellava col portachiavi lanciandolo da una mano all’altra. Arthur schioccò la lingua e chiuse gli occhi mentre esponeva il piano.
«Lo faremo entrare tra noi come socio della clinica, lo renderemo inoffensivo e poi ce ne liberemo con un pretesto.» Il solo pensiero gli faceva venire la nausea. Maledetto il pazzo nazista che li aveva generati tutti!
Orlando rovesciò una pila di fogli:
«Siete fuori di testa!»
David lo ignorò:
«Potremmo spacciarlo per un cugino lontano. In fondo si chiama Saxton anche lui, anche se usa il cognome della madre: Arujo. Hai sentito che ha detto? Del nostro si vergogna.»
Thiago interruppe il gioco col portachiavi: «Non credo sia una buona idea, la stampa lo sommergerebbe di domande. Un tipo così rozzo non mi sembra poi tanto in grado di gestire la situazione.»
Arthur sbuffò esasperato: «Se avessi una figlia, gliela farei sposare e tutto sarebbe risolto. Diventerebbe un Saxton a tutti gli effetti e ci caveremmo d'impiccio.»
«Ma una sorella non ce l’abbiamo e ringrazio Dio, perché io non gliela farei sposare di certo.» David e Thiago annuirono alla volta di Orlando. Almeno su quello erano tutti e tre d'accordo.
«Bisogna assolutamente trovare una soluzione per sbarazzarci di quest’uomo.»
Nella stanza calò il silenzio fino a quando Thiago non fece la domanda che ribolliva nella mente di tutti e tre i fratelli.
«Papà, ma davvero Samaritan è tuo figlio?»
Arthur sospirò guardando lontano, ricordando un passato ormai molto lontano nel tempo.
«Sapete tutti la storia dell’anatema dello sciamano lanciato contro mio nonno, il medico nazista. Ebbene nonostante avesse sessantanove anni, il nonno aveva deciso di ingravidare quante più giovani indigene potesse, nella speranza di tramandare loro la maledizione.»
«È disgustoso.»
«Sì, lo è, ed è anche la verità. Se le faceva portare nella sua fazenda e le violentava. Tra queste fu presa anche la giovanissima moglie dello sciamano. Da quello stupro trentotto anni fa nacque Samaritan. Ma non fu un atto senza conseguenze. I narcos locali andarono da mio nonno facendogli capire chiaro e tondo che doveva riparare a quell'onta altrimenti la famiglia sarebbe stata annientata e la tenuta data alle fiamme. E poi lo avrebbero consegnato agli israeliani. Per questo motivo il nonno mi costrinse a riconoscere Samaritan come mio figlio.»
«Avevi l’età per farlo?»
«Ero giovane ma non era poi così assurdo. Erano altri tempi. Helmut, mio nonno, sperava che la storia sarebbe stata dimenticata con gli anni. E in effetti così è stato. Non ricordavo neanche più quelle carte.»
Thiago continuava a giocherellare col portachiavi.
«Certo che la nostra famiglia ne ha di scheletrucci nell'armadio. Non abbiamo, che so, una parente a cui far sposare questo Samaritan? Insomma, non c'è neanche una Saxton disponibile?» Si appoggiò alla scrivania con un gomito e si lasciò scappare un sorrisino. «Perché io una mezza idea ce l’avrei…»
Il suo sguardo filò dritto verso quello di Orlando che sollevò un sopracciglio interdetto.
Entrambi guardarono allora in direzione di David. David abbassò d’istinto gli occhi per poi rialzarli repentinamente verso i fratelli, prima l'uno poi l'altro.
«No. So cosa state pensando: toglietevelo dalla testa.»
«Potrebbe essere il fidanzato di David!» Thiago diede voce ai pensieri di tutti con un candore che avrebbe fatto invidia a una dodicenne.
Arthur sollevò la testa di scatto prima ancora che terminasse la frase.
«Ma siete impazziti? Saremmo travolti da uno scandalo…»
Orlando fece due passi in avanti fino a ritrovarsi proprio sotto suo padre:
«A quale scandalo ti riferisci, papà? A quello per il quale siamo una famiglia di bestie, nel vero senso della parola?» Arthur restò immobile. «Non dobbiamo dimenticarci di Michelle. O forse devo rinfrescarvi la memoria su ciò che sarebbe capace di fare alla famiglia l'ex fidanzata di David?»
Thiago storse la bocca.«Non mi fare ricordare quella stronza, ti prego.» Era difficile dimenticare che quell'arrampicatrice sociale di Michelle, dopo essere stata lasciata da David per ovvie ragioni, volesse sistemarsi con l'ultimo fratello rimasto libero, ovvero Thiago. …E che nel rimetterla al suo posto, Thiago aveva rivelato il suo vero volto.
«Sono già due persone che sanno del nostro segreto. Sapete che vuol dire? Che se eravamo in pericolo con Michelle, ora con l’aggiunta di Samaritan, siamo sull’orlo del baratro.»
Thiago intervenne calando la mannaia senza pietà:
«Puoi scegliere, David: o ci ripensi e sposi Michelle o ti fidanzi con Samaritan.»
David sembrava sul punto di esplodere:
«Siete impazziti davvero! Una terza alternativa ci sarebbe, sempre che papà sia disposto a dichiarare al mondo di avere un figlio illegittimo che ha sempre ignorato e fatto crescere impunemente nella foresta amazzonica! Mi sembrate tutti folli. State dicendo un’assurdità che non si può neanche sentire. Non mi fidanzerò con questo Samaritan, né sposerò Michelle. Punto.»
«Bisogna scegliere il male minore – borbottò Arthur come parlando con se stesso - un figlio illegittimo o un figlio omosessuale.»
Il silenzio scese nella stanza e il volto di David si fece di marmo.
«Non mi nasconderò per sempre, papà. La verità su di me verrà fuori e non passerà ancora molto tempo prima che accada.»
Orlando era già oltre quella sciagurata ipotesi. «E quando David troverà un compagno vero, come giustificheremo la presenza di Samaritan negli affari di famiglia?»
«Ce ne preoccuperemo a tempo debito. Per quel momento lo avremmo già convinto a ritornarsene in quel buco di foresta da dove è venuto.»

perchè i narcos intervengono? che ne cavano?

è scritto molto bene ma bisogna riflettere su quei puntoi logici.
 
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Mollie Miles
view post Posted on 5/7/2015, 22:33




Diciamo che siamo in fase narrativa e il lettore dovrebbe essere chiamato a fidarsi.

Comunque grazie di aver evidenziato il punto del colloquio e dei narcos provvediamo. Sono modifiche di un paio di parole Gaia.

Dunque le xx e la frase mozza sono cadaveri editoriali... cioè miei :-)

Grazie Giusy.
 
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5 replies since 26/6/2015, 14:57   92 views
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